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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Rimaniamo sempre nell’area della prima distanza, quella del Self, introducendo però una nuova disciplina chiamata Analisi Transazionale, di cui osserveremo principi chiave ed utilizzi.

L’Analisi Transazionale è una metodologia di studio della comunicazione tra le più consolidate e utili e fu sviluppata da Eric Berne, che riprese e semplificò gli studi di Freud sulla personalità e sulla psicanalisi,  per insegnare ai soggetti ad emettere segnali comportamentali più coerenti con i ruoli sociali nei quali essi dovevano inserirsi, avvalendosi di una terapia di gruppo. Attualmente si usa invece in campo aziendale e sociale, sia per migliorare la comunicazione interna ed esterna ai gruppi, sia per lo studio delle conversazioni quotidiane. 

Nello specifico questa disciplina si occupa di analizzare come diverse personalità vengono a contatto e come comunicano tra di loro. Tratta nello specifico lo stato della personalità che in un certo momento sta prendendo il palco, sta interagendo, sta comunicando, soffermandosi sul “ruolo che parla”. Ciò aiuta a capire come molte comunicazioni siano in realtà forme di espressione della personalità, di un ruolo, e non solo messaggi centrati su cose, oggetti, o informazioni fini a sé stesse. 

In altre parole, si comunica spesso per affermare la propria identità e personalità, e qualsiasi “scusa di contenuto” diventa buona per farlo. Le “scuse di contenuto” sono le occasioni o gli argomenti di cui di volta in volta si parla, i temi delle conversazioni, e le personalità tirano questo brutto scherzo: cercano qualsiasi scusa di contenuto per manifestarsi. 

L’unità di analisi dell’AT è la “transazione”, ovvero uno scambio comunicativo tra un mittente e un ricevente.

Come Berne stesso afferma: “Se due persone s’incontrano per formare un aggregato sociale, prima o poi, una di loro parlerà, o manifesterà con qualche altro segno di riconoscere la presenza dell’altro. Questo fenomeno si chiama stimolo transazionale. A questo punto l’altro dirà o farà qualche cosa che si collega in qualche modo a questo stimolo che si chiama reazione transazionale”.  

Quando due persone comunicano, afferma Berne, ognuno utilizza, in ciascuna transazione, un particolare stato mentale.  

I vari stadi primari che compongono la struttura della personalità, o stati dell’Io, sono: Genitore (G), Adulto (A), e Bambino (B). 

L’analisi transazionale, nella sua forma semplificata, consiste nel rendersi conto di quale stato dell’Io ha prodotto lo stimolo transazionale e da quale stato proviene la reazione transazionale.  

Genitore

Lo stato G ha come base comportamentale i valori dell’autorità, le norme e pregiudizi, i dogmi, i meriti, regole etiche o morali. Esige dagli altri o da sé stesso l’osservanza di norme di comportamento. Il comportamento esteriore è conformista e spesso rigido. 

Questo stato viene suddiviso in due categorie:

  • Genitore naturale o affettivo: comportamento materno e compassionevole, risponde ai bisogni, è amorevole e protettivo, mostra interesse, offre aiuto e supporto. Ha gesti invitanti e di incoraggiamento, tono del linguaggio rassicurante. 
  • Genitore critico o normativo: impone norme e divieti, con atteggiamenti del tipo “sarai punito se” o “è male che”. Dà ordini, trova difetti, biasima, è esigente, a volte sarcastico, a volte arrogante. Il comportamento è severo, il corpo rigido, il tono del linguaggio deciso e autoritario.
Adulto

Lo stato A rappresenta la parte logica, obiettiva, che valuta i problemi in base ai dati, ricerca verifiche concrete, ragiona e razionalizza. Ricerca le cause, esamina le situazioni e le alternative, calcolando le diverse probabilità di successo, fa domande e convalida dati.  Il comportamento esteriore è logico, il tono del linguaggio regolare e neutro. Si esprime con chiarezza senza lasciare trapelare emozioni.

Bambino

Lo stato B è quello della creatività e della fantasia, dei desideri, del “voglio tutto ciò che desidero”, con le relative frustrazioni, ma anche lo stato dei sensi di colpa, della gioia e dello spavento, dell’entusiasmo e dello sconforto, della vita emotiva. Il comportamento esteriore è emotivo ed egocentrico. 

Lo stato B viene suddiviso anch’esso in categorie: 

  • Bambino libero o bambino spontaneo: mostra eccitazione, divertimento, benessere, atteggiamento positivo, ama giocare e fantasticare. Utilizza espressioni ed esclamazioni di gioia. 
  • Bambino adattato: è sottomesso, evasivo, mostra imbarazzo, spesso mente, è indeciso, mostra sfiducia e disadattamento. Obbedisce agli ordini ricevuti. Si comporta sempre in funzione delle attese degli altri. Ha comportamento riservato, voce moderata tono a volte esitante e lamentoso.
  • Bambino ribelle: è caratterizzato da una serie di manifestazioni negative e polemiche, aggressività, volontà di farsi notare dicendo “no”, speranza di attirare l’attenzione altrui opponendosi a tutti indistintamente. Ha comportamenti bruschi, voce dura che esprime rabbia. 
  • Bambino “piccolo professore” o “Bambino saccente”: è curioso di sapere e di capire. È spesso convinto di sapere tutto. È agitato e chiassoso. È anche una sede di creazione e ingegnosità. 

La presenza dei tre livelli di personalità è motivata dalla stratificazione delle esperienze e delle percezioni che avvengono durante la crescita e lo sviluppo. Queste fasi ed esperienze non vengono perse durante lo sviluppo, ma rimangono e si stratificano, fino a formare il bagaglio psicologico dell’individuo, al quale l’individuo attinge nelle diverse situazioni. 

L’analisi transazionale può quindi aiutare gli individui ad analizzare il proprio atteggiamento ed il modo con cui si comunica, e quindi a conoscersi meglio e sviluppare rapporti interpersonali più soddisfacenti. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuando a parlare di distanza del Self, ci immergiamo oggi nei territori psicologici, cercando di capire come creare e invaderne i confini, sempre nel rispetto dell’altro e pronti ad affrontarne le conseguenze.

Il tentativo di controllo dell’identità altrui è uno dei fattori di incomunicabilità e conflitto più forti. Voler prendere e pretendere il possesso del territorio psicologico altrui è una forma di sopruso che si accetta solo quando costretti. Quando uno dei due soggetti, senza interpellare l’altro, decide in autonomia quale sia l’area di interessi comune o la sfera condivisa, si apre un possibile conflitto.

È vero che qualcuno deve “fare la prima mossa”, ma si tratta di un insieme di mosse cooperative, di un “sondarsi reciprocamente”, e non di un imporsi reciprocamente.  L’imposizione negoziale richiede un potere contrattuale enorme e non è la formula ideale per la crescita di un rapporto. 

L’imposizione è possibile solo sotto forma di proposta, che può sembrare una comunicazione dura, ma è invece una comunicazione in stile “parliamoci chiaro” e offre spazio per dire che le cose non devono essere esattamente così. Si chiariscono in questo modo i punti fondamentali, esplicitando la propria visione delle cose e la propria prospettiva dell’area condivisa e, nello stesso tempo, si offre la necessaria marginalità discrezionale (fosse anche solo un prendere o lasciare, nel caso peggiore).  Vi è quindi una ricerca della zona comune, dove si esplorano i possibili confini e l’area condivisa può essere negoziata.

La mancanza di esplicitazione è un problema molto forte che crea conflitto e incomunicabilità. Caso diverso è quello in cui qualcuno menta, dichiari il falso, o anche solo affermi ciò che non sa. Questo discorso è diverso e ci porta verso il tema del riconoscimento delle bugie (lie detection), che richiede forte abilità sia a livello percettivo che di comunicazione non verbale. 

Quello che preme, adesso, è evidenziare che nessuno ha il potere di imporre l’identità di qualcun altro, perciò bisogna chiedersi: “la sfera d’interessi comune tra persone che negoziano è stata sufficientemente esplorata?”

Esiste chiaramente anche un’area della propria sfera di interessi o di ruolo che non si vuole condividere con l’interlocutore e viceversa, e questo va bene! Nel tempo, le cose potrebbero variare, l’area condivisa potrebbe allargarsi, ma la cosa essenziale in una relazione e in un parlarsi chiaro, è che la mia vita è mia e ne condivido la parte che voglio, la tua vita è tua e ne condividi la parte che vuoi. Se qualcuno obbliga l’altro, ci devono essere ottimi motivi per farlo, e potrebbe in ogni caso non funzionare. 

Mosse di invasione e mosse di rispetto

Una qualsiasi delle nostre affermazioni o risposte può assumere il valore di “mossa relazionale” se in qualche modo va ad alterare lo scacchiere delle forze in corso tra due persone. 

Una mossa di invasione dei territori psicologici è l’uso dell’imperativo, anche se usato in tono pacato. Questo rende subito la comunicazione di tipo top-down, da superiore ad inferiore, e non è assolutamente detto che funzioni se l’altro non si percepisce tale.

Una mossa di rispetto dei territori psicologici è invece: “se puoi, mentre vai a fare le fotocopie, potresti fare anche questa per me? A buon rendere ovviamente!”. Tale approccio, oltre ad essere più “leggero”, si pone come comunicazione da pari a pari. E non è detto che questo vada bene, se invece la comunicazione deve essere da capo a subordinato. 

L’essenziale è capire il valore relazionale e strategico che una mossa comunicativa porta con sé. Ogni parola, gesto del corpo, lettera, messaggio, ha valore di azione e come tale ha valore strategico.

Quando si applicano mosse di invasione o appropriazione impropria dello spazio dell’interlocutore, possono innescarsi sistemi di reazione basati sulla fuga e l’allontanamento, ma anche sul contro-attacco e  sull’aggressione.  

L’invasione dei territori psicologici consiste appunto nel percepire un ingresso indebito nella sfera dei propri interessi senza che questo ingresso sia voluto né gradito. Ma anche la mancata consultazione su una materia di nostra pertinenza, quando dovuta, è una forma di non rispetto del territorio psicologico. 

Mancata cultura dei confini

I limiti di autonomia sono uno dei fattori più incisivi sul piano delle comunicazioni aziendali interne. Quando questi limiti sono poco chiari, l’invasione dei territori psicologici diventa continua, alimentata da una scarsa cultura dei confini, da un’assenza di cultura della definizione degli spazi. 

Nella comunicazione assertiva, è possibile applicare un meccanismo che possiamo denominare “fino a qui” e “non oltre qui”, che definisce chiaramente qual è l’area entro la quale l’altro potrà giocare e qual è l’area in cui non accettiamo invasioni di campo. Come è evidente, senza applicare questo metodo, non si produrrà alcuna comunicazione assertiva. E a forza di ingurgitare invasioni di campo, si rischia il botto finale, l’esplosione di rabbia dovuta a tanta, troppa sopportazione. Meglio segnalare le mosse quando non vanno, che aspettare di esplodere. Questo è un principio sacro del “parlarsi chiaro”. 

Conclusioni

Per concludere, la comunicazione efficace richiede: 

  • comprensione di quali siano i territori psicologici altrui; 
  • comprensione di quali territori psicologici siano determinati dalla cultura di appartenenza della controparte (etnica, religiosa, professionale);
  • atteggiamenti iniziali di rispetto e limitazione degli ingressi nei territori altrui ove non si siano creati gli spazi di relazione adeguati; 
  • difesa attiva dei propri territori psicologici e dei propri confini e margini di decisionalità, quando il non farlo minacci la sovranità del proprio spazio psicologico. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Come anticipato nel precedente articolo, andremo ora a sviluppare in maniera più dettagliata ciascuna distanza, iniziando dalla prima, quella del Self. Poiché i concetti sono molti e spesso densi, cercherò di dividere la D1 in più articoli, in modo da avere più spazio per singoli approfondimenti. In questa pagina, come suggerisce il titolo, ci concentreremo sulle differenze biologiche, cronemiche, di identità e di ruolo.

La prima distanza tra soggetto A e soggetto B è data:

  1. dalla differenza biologica tra soggetti;
  2. dalle differenze nel loro ruolo, identità e tipo di personalità. 
Differenze biologiche

Le differenze biologiche riguardano molti aspetti: 

  • divergenze di sesso: sappiamo che il cervello maschile è conformato in modo diverso dal cervello femminile. I due emisferi, quello sinistro con stile cognitivo verbale, analitico e locale, e quello destro, spaziale sintetico e globale, sono molto più collegati tra di loro nelle femmine che nei maschi, a livello del corpo calloso. Questo produce una maggiore separazione tra atteggiamenti comunicativi: razionali (tipo A) o comunicazioni emotive-creative (di tipo B). Momenti A e momenti B sono nell’uomo di tipo acceso-spento, presente-assente, mentre nella donna sono molto più miscelati; 
  • divergenze di età: lo sviluppo evolutivo modifica le strutture cerebrali, incide sulla memoria, sulla lucidità del pensiero e quindi sulla comunicazione esterna; 
  • divergenze fisiche funzionali: diversi tipi di handicap possono impedire un funzionamento corretto degli apparati sia percettivi che emissivi, limitando di fatto la possibilità fisica di emettere messaggi o riceverli. 
  • divergenze negli stati organismici: sono dati da stati di forma individualmente diversi, stati soggettivi, temporanei. L’esempio chiaro è la condizione nella quale un medico intervista un malato che ha la febbre, prova dolore, ma non riesce a descrivere esattamente la propria condizione, proprio perché “interna” e quasi impossibile da descrivere con parole “esterne” al proprio vissuto.

Tutti questi aspetti possono rendere due persone biologicamente diverse con implicazioni per la comunicazione. 

La cronemica

Un altro aspetto fondamentale è la cronemica. Abbiamo distanza cronemica quando un messaggio richiede tempo tra il momento in cui viene emesso, e quello in cui viene ricevuto. La cronemica è un fattore hard che ci permette di riflettere sulla domanda: sto usando il canale giusto per comunicare? Se pensiamo alla comunicazione emozionale, ad esempio, sedurre o emozionare tramite email e sms è certamente meno efficace del face to face.

differenze di identità e di ruolo

L’aspetto sul quale ci concentreremo maggiormente, tuttavia, è la dimensione dell’identità e del ruolo

Le distanze di ruolo e identità sono presenti in quasi tutte le interazioni umane, e sono questioni assolutamente normali. Ma ad ogni ruolo e identità si associa una sfera di interessi, di aspettative, di bisogni. Se non vi sono aree di collimazione nella sfera d’interessi e bisogni tra due persone, l’incomunicabilità, che parte in questo caso dal disinteresse reciproco, è un risultato molto probabile. 

La ricerca del Common Ground, o base comune, è la ricerca di quegli spazi di collimazione dove alcune parti della nostra identità e ruolo possono avere spazi comuni con quella altrui, senza che per forza esse coincidano completamente. 

Esiste infine un altro fenomeno da prendere in considerazione: la pluralità di identità e ruoli che le persone ricoprono, la pluralità dei sistemi di appartenenza dell’attore sociale.  

Ogni persona può essere considerata un “attore sociale” che è in grado di assumere più ruoli nella vita, a volte anche addirittura nella stessa giornata. 

Possono coesistere nella persona più ruoli, più sub-identità, dotate ciascuna di una sfera di interessi. Una donna può essere al tempo stesso madre, figlia, professionista, atleta, amica, e tanti altri ruoli, e lo stesso per un uomo. Da quale ruolo a quale ruolo partono e arrivano le comunicazioni?  

Siamo sfere d’identità liquida che in alcuni momenti si cristallizza in un ruolo denominabile, e quando queste vengono a contatto un possibile canale di comunicabilità è creato.  

Ciò che si crea infatti è l’area di cooperazione, o common ground, un’area nella quale due persone possono “lavorare insieme” o “stare insieme” per fare qualcosa, dal risolvere un problema a condividere un interesse o una “finestra temporale”. 

Quando siamo a contatto con le persone, nella vita, non sempre i ruoli si incastrano alla perfezione. I possibili errori che generano incomunicabilità esistono e ne esamineremo alcuni nell’articolo a seguire.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Ogni atto comunicativo può essere autentico o meno. Questa autenticità si lega all’espressione sincera del proprio pensiero e della propria interiorità, che ognuno ha il compito di far emergere. Nell’articolo a seguire analizzeremo più nel dettaglio questo concetto e i suoi effetti comunicativi.

La comunicazione implica uno scambio d’informazioni e di emozioni. Ragionare sulla nostra identità ci chiede di fare luce sulla nostra vera natura, sul nostro essere. Una grande fonte d’incomunicabilità avviene quando noi stessi non abbiamo fatto chiarezza prima di tutto su di noi e sui confini del nostro spazio mentale e di ruolo nel mondo.

Fare introspezione mirata ha un nome in psicologia: fare focusing. Il focusing ci permette di chiarire, prima di tutto a noi stessi, quello che vogliamo trasmettere, quello che ci sembra importante trasmettere e quello che vogliamo che accada in seguito alla nostra comunicazione (effetto o risultato comunicativo). 

Il tema dell’incomunicabilità ci porta a chiederci quale sia il possibile “common ground”, cosa “io e te” abbiamo potenzialmente da condividere, quali interessi comuni abbiamo o potremmo avere, di cosa potremmo parlare.  

Il tema delle quattro distanze ci chiede anche di cercare possibili aree di interesse comune sul ruolo che le persone ci presentano, sui codici comunicativi comuni che potremmo avere, sui valori comuni che ci sono o ci potrebbero essere, sui nostri passati condivisi, anche solo a livello emotivo o esperienziale. 

Chiederci in cosa crediamo veramente, chiederci se stiamo davvero comunicando in modo autentico, non è tempo perso. Interiorizzare valori, sentirli nostri, volere fortemente rompere le barriere dell’incomunicabilità, è un compito sacro e nobile. 

Fare emergere il contenuto della nostra “nuvoletta dei pensieri”, i pensieri che ci accompagnano sempre anche se non formulati a parole, ci consente di poter interagire tra “il mio mondo” e “il tuo mondo” per cercare spazi comuni.  

Esplicitare il dialogo interno è una tecnica chiamata think aloud (esporre a voce il proprio dialogo interno): una modalità di avvicinamento alla comunicazione autentica. Non tutti ci dicono sempre cosa stanno pensando. Dire cosa stiamo pensando è un atto liberatorio. Dire le cose chiaramente è molto meglio che tenerle dentro a marcire, ma richiede di lasciar perdere tutta quella serie di timori comunicativi, la paura del rifiuto, del giudizio, per far spazio alla voglia di cercare un flusso libero di scambio comunicativo. 

L’importante è che non si crei una sorta di “sincerità distruttiva” che mette la verità e il “dire” prima dei diritti delle altre persone, tra cui, a volte, il diritto di essere lasciati in pace o di non sapere. 

Le Quattro Distanze entrano prepotentemente nella possibilità o meno di avere uno scambio comunicativo centrato sulla comunicazione autentica, diretta, vera, e non sulla falsità che emerge da maschere e ruoli obbligati. 

Non tutta la comunicazione può però considerarsi autentica. Esistono infatti 3 strati comunicativi: 

  1. Una parte di informazione che noi consideriamo “la nostra verità”, qualcosa che crediamo sia vero, almeno per noi. Queste “credenze” sono molto importanti, perché quando vengono messe in dubbio o attaccate, percepiamo un attacco al nostro essere, al nostro ruolo, un attacco alla nostra persona, e non solo un’opinione diversa sul fatto in oggetto. Imparare a scollegare le nostre credenze dalla nostra identità e giudizio di valore è una competenza fondamentale per chi vuole comunicare e negoziare con grande consapevolezza e senza venirne distrutto.  Bisogna però mettere in guardia da tutto ciò: la verità fortemente creduta è in molti casi frutto di autosuggestione, di invenzione, di autoinganni.  Sono elementi che crediamo in tutta fede veri, ma che potrebbero non reggere ad una confutazione scientifica o ad una prova dei fatti, e sono spesso anche inutili depotenzianti;
  1. Le verità parziali: contengono elementi di “nostra verità” mescolate ad una parte di comunicazione non autentica: comunicazione di ruolo, informazioni o messaggi su noi stessi che esponiamo per realizzare un impressions management, un’impressione sugli altri, ma che non corrisponde alla nostra verità più profonda;
  1. Una parte di non-detto, di nostre verità interiori non dette, taciute per motivi di convenienza o di timore delle conseguenze.

Esprimere liberamente se stessi e il proprio pensiero non è semplice, ma per creare una comunicazione autentica, oltre che efficace, è sufficiente che ci sia qualcosa, anche di minimale, che faccia da punto di unione tra gli interlocutori: poi si potrà ampliarlo, allargando la profondità di una relazione. 

Il common ground, o territorio di intersezione, è ciò che ci accomuna. La quantità e qualità di questo common ground offre spazi alla comunicazione costruttiva, ma esso va ricercato, non arriva per magia, e trovarlo non è solo piacevole. È vitale. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Vediamo oggi in quali situazioni o aree di competenza è utile applicare il Modello delle Quattro Distanze della Comunicazione, che evolve o involve seguendo l’evoluzione o l’involuzione umana comunicativa e relazionale.

Il modello 4DM (4 Distances Model, o Modello delle Quattro Distanze) può essere utile: 

  • per le comunicazioni che avvengono in una famiglia; 
  • per le dinamiche di coppia; 
  • per migliorare le relazioni di aiuto come il coaching, il counseling, la terapia, la didattica, la formazione; 
  • nella leadership e nella direzione di team; 
  • per lavorare alle relazioni umane in ambienti sfidanti e confinati come i gruppi di lavoro che operano in ambienti estremi o ostili; 
  • nel caso della comunicazione per la sicurezza sui luoghi di lavoro; 
  • per la comunicazione tra persone di culture diverse, siano esse di tipo etnico, religioso, regionale o altro; 
  • per esaminare mondi di comunicazione poco esplorati come la comunicazione interspecifica; 
  • per la comunicazione uomo-macchina e tra uomo e intelligenza artificiale (AI); 
  • per avventurarsi in territori ancora ignoti all’essere umano, come quelli delle missioni spaziali di lungo periodo e dei viaggi prolungati in ambienti confinati;  
  • per anticipare futuri prossimi e affrontare le criticità comunicative che riguardano le sfide dell’umanità, come la creazione della pace ove vi sia conflitto; 
  • per progetti molto concreti di collaborazione industriale tra nazioni e tra imprese di diverse nazioni; 
  • per fare ricerca e sviluppo vera, che assorba concetti e culture anche da discipline molto diverse, creando gruppi di lavoro veramente efficaci anche se interdisciplinari e interculturali; 
  • e in un sogno non tanto lontano… per stabilire basi comunicative con culture e civiltà ancora non scoperte ma che un giorno potrebbero manifestarsi, e con le quali ogni forma di comunicazione nota potrebbe risultare inutile o non funzionante. 

Tutto ciò non è fantascienza: sono stati scoperti molti pianeti situati nella “zona abitabile” o golden lucky zone, del proprio sistema solare, cioè non troppo vicino al proprio sole, né troppo lontano. 

Questo dato offre spazio a forme di possibile comunicazione e contatto sulle quali le Quattro Distanze possono fare luce. Ma anche senza andare a cercare mondi lontani e remoti, la nostra stessa Terra è un luogo in cui le persone, homo sapiens con homo sapiens, non si comprendono, si ammazzano per un nulla apparente, e i conflitti scoppiano in modo devastante, tra gruppi etnici, religiosi, nelle famiglie, nelle coppie, tra gruppi di tifoserie opposte, tra nazioni, e tra gang nella stessa città, per cui riconoscere le incomunicabilità e combatterle è davvero una missione fondamentale. 

Nel campo del Business, un dato di fatto molto semplice è che se domina incomunicabilità non si vende, non si fanno affari, tra venditore e cliente non ci si capisce, non si realizza proprio niente di niente. A livello di ascolto, non vengono nemmeno capite le esigenze vere, forti, dei clienti e dei consumatori.  

I possibili messaggi utili e le informazioni importanti non passano la barriera comunicativa, per cui i clienti rimangono insoddisfatti, o meno soddisfatti di quanto potrebbero essere. I prodotti vengono progettati male, o peggio di quanto potrebbero essere progettati se solo vi fosse una buona comunicazione con i clienti, soprattutto nella capacità di ascoltarli e coinvolgerli nella ricerca e sviluppo (R&D). 

Questo processo può essere esaminato con il modello delle Quattro Distanze perché aiuta a capire che le distanze non sono un fatto “statico” ma dinamico. Esse cambiano, si evolvono, a volte negli anni, a volte in frazioni di secondo (soprattutto per gli stati umorali ed emotivi), a volte “involvono”, nel senso che peggiorano man mano che il tempo fa scoprire cose nuove dell’altro e lo stress mette alla prova il nostro rapporto, costringendoci alle corde e facendo venire fuori parti della personalità che altrimenti non sarebbero uscite.  

Le persone cambiano, si evolvono, le loro identità, i loro valori, le loro emozioni, persino i loro corpi, sono soggetti a cambiamenti, e questo incide sulla qualità della comunicazione. 

Confrontarsi su un modello quindi è sempre produttivo. 

Moltissimi antropologi e psicologi hanno esposto concetti che “nascondono” modelli, ma non hanno mai prodotto un vero e proprio schema operativo, grafico, visuale, comprensibile.

Perché gli schemi? Perché manager e operatori hanno bisogno di modelli operativi: le loro estrazioni professionali li hanno abituati a comprenderli, e uno schema ci offre anche vere e proprie “etichette”, parole, concetti utilizzabili, linguaggi comprensibili, e lo stesso vale per le persone che operano come promotori di relazioni d’aiuto (educatori, consulenti, terapeuti). 

Il modello delle Quattro Distanze è nato per questo scopo, ma dalla prima esposizione ad oggi ha subito notevoli evoluzioni e miglioramenti, e continua a cambiare includendo nuove aree di ricerca, arricchimenti, chiarificazioni e confronti con altre scienze.  

È utile quindi per far evolvere la comunicazione di persone e manager, e per chiunque trovi che comunicare bene e cooperare sia una necessità vitale. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nelle prossime righe parleremo della differenza tra comunicazione positiva e comunicazione costruttiva, dalla cui combinazione nascono i quattro grandi tipi di comunicazione, che andremo a scoprire nel dettaglio.

Si, è vero, quando si comunica, spesso, spessissimo, si fallisce, ma quello che conta qui è l’intento. 

La Comunicazione Costruttiva (CC) è caratterizzata dall’intento e dalla capacità di costruire qualcosa, sia esso un progetto, un avanzamento in un progetto, il fatto di prendere una decisione o fare qualche passo avanti per concretizzare qualcosa.  Come tale, è una dote indispensabile in chi opera nella leadership, nel management, nell’educazione e in tanti altri ambiti dove, alla fine dei conti, vi sarà qualcosa, un progetto o un’idea, che deve arrivare a compimento. 

La Comunicazione Positiva (CP) è invece caratterizzata dalla positività del rapporto, dal clima emotivo positivo che si respira, dai rapporti umani che possono essere rilassati o felici, euforici o tranquilli, ma comunque positivi, ed è una comunicazione che ricarica le batterie di chi vi è immerso e vi prende parte. Chi non vive mai in luoghi e tempi di comunicazione positiva finisce per intossicarsi, e non recupera mai. 

Considerando la combinazione delle due variabili, ne emergono quattro grandi tipi di comunicazione: 

  • Stato A – la prigione tossica: una forma di comunicazione orientata a distruggere, a non costruire niente, a bloccare, ad ostruire, a rallentare o non facilitare, accompagnata da un vissuto emotivo tossico. Questo è il peggiore caso di Leadership Tossica esistente, in quanto le persone che vivono in questo ambiente non riescono a portare a casa progetti né a concluderli, e il loro vissuto quotidiano è emotivamente misero o addirittura dannoso per la loro salute fisica e mentale. 
  • Stato B – lavorare duro e silenzio: una forma di comunicazione orientata a costruire, a far partire progetti, a farli concludere, dominata da chiarezza e precisione del linguaggio, da obiettivi, ma solo da quelli: nessuno spazio per il fattore umano se non obbligati. Questa condizione è accompagnata da un vissuto emotivo negativo, come nel caso della troppa fretta o dell’ansia che si respira tra le persone, e produce un “acquario comunicativo” abbastanza inquinato. Nei casi di Leadership, questo è un caso molto comune, in cui le cose si fanno, ma a costo di un vissuto negativo, di odio e astio tra le persone, di competizione negativa e inutile dove vince il più cattivo o il più orientato al risultato senza alcuna attenzione per le persone. 
  • Stato C – la rigenerazione: una forma di comunicazione non pratica, non pragmatica, poco orientata al fare, abbastanza lasciva e con poco o nessun interesse per il raggiungimento degli obiettivi. Le emozioni sono positive, piacevoli, con un vissuto emotivo gradevole. Nei casi di Leadership, questo è un gruppo che vive bene ma non produce. Sono momenti di recupero, di ricarica fisica e mentale, indispensabili in un equilibrio complessivo. 
  • Stato D – lo stato di flusso (Flow): la condizione di massima efficacia comunicativa e relazionale, dove le cose si fanno, i progetti vanno avanti, gli obiettivi si raggiungono e si concludono efficacemente e il clima emotivo è positivo, di condivisione dei risultati, della gioia e piacere dell’essere parte del team. In un’azienda questa condizione può essere considerata lo “stato di flow aziendale” (stato di “flusso” positivo).

Questa tassonomia non è ancora il Modello delle Quattro Distanze, ma ci dice dove si può arrivare, come può andare a finire, nel bene o nel male, quando si manovrano in modo giusto o sbagliato le leve della comunicazione. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Come già anticipato, continuiamo a parlare di comunicazione positiva e costruttiva, introducendo le quattro grandi distanze relazionali e gli elementi che incidono sull’efficacia comunicativa generando o riducendo l’incomunicabilità.

La distanza tra persone è un fatto fisico, ma la fisicità è nulla rispetto alla distanza psicologica. Nel modello delle Quattro Distanze vengono esaminati i principali fattori che creano distanza relazionale, raggruppati in quattro grandi classi, utili per qualsiasi intento,  di costruzione di rapporti ma anche di identificazione di incomunicabilità esistenti. 

Queste grandi classi sono: 

  1. le distanze e differenze di ruolo e identità tra comunicatori, incluse le differenze di personalità o stato d’animo; 
  1. le distanze e differenze nei codici e stili comunicativi; 
  1. le distanze e differenze valoriali, di atteggiamenti e credenze possedute; 
  1. le distanze e differenze nei diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale. 

Una sola di queste variabili è sufficiente a creare incomunicabilità. La loro combinazione è ancora più difficile da gestire, perché arriva a creare una distanza relazionale forte.  

La distanza relazionale è un fatto reale. Possiamo essere vicinissimi ad una persona (ad esempio in ascensore, o ad un semaforo) e disinteressarci completamente della vita di quella persona. Quella persona sarà a noi “distante”. In altre situazioni, vi sono invece persone con le quali senti di poter raccontare tutto di te, o tu stesso ti metti a disposizione totale per un ascolto profondo, vero, interessato. 

Anche quando un progetto è limitato nel tempo, nasce giocoforza la necessità della comunicazione nel team. In questo team ci saranno diversità, ci saranno persone che dovranno lavorare fianco a fianco, persone di provenienze professionali diverse, culture diverse, ideologie diverse, codici comunicativi solo in parte condivisi, e il rischio di fallimento e di conflitto, se non anticipato, diventa molto alto. 

L’attrito relazionale è un dato di fatto: se riconosciuto presto, può essere gestito, e le relazioni umane possono prendere una piega completamente diversa, andando verso la comunicazione costruttiva, la comunicazione che sviluppa progetti, idee e valore.

A volte viviamo rapporti che solo apparentemente sono di vicinanza psicologica, ma che in realtà dimostrano tutta la loro falsità non appena un incidente critico fa emergere la reale distanza siderale di valori. 

Quindi mettiamo in chiaro che la distanza non è solo questione di apparenza ma qualcosa di più profondo. La distanza relazionale esiste, crea incomunicabilità, e, con incomunicabilità in corso, nessun progetto può davvero fare lunga strada. 

 La comunicazione diventa difficile quando: 

  • le persone non accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, manca accettazione nelle identità reciproche che le persone vogliono assumere, le parti non si riconoscono e non si legittimano come controparti accettate; 
  • le distanze nei codici e negli stili comunicativi sono ampie, rendendo tecnicamente difficile o impossibile la comprensione dei significati della comunicazione stessa. I linguaggi sono poco comprensibili, vi sono termini sconosciuti, e significati non condivisi; 
  • vi sono divergenze valoriali, di atteggiamenti e valori, sia superficiali che in profondità, e il grado di differenza si amplifica tanto più quanto la comunicazione tocca i valori fondamentali di uno o più comunicatori;
  • le parti sono caratterizzate da diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale e non possiedono esperienze comuni né fisiche né emotive che possano fare da facilitatore. 

La comunicazione diventa positiva ed efficace quanto più: 

  • le persone accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, le parti si riconoscono e si legittimano reciprocamente come degne di un rapporto proficuo; 
  • le distanze nei codici e negli stili comunicativi sono ridotte o si riducono, progressivamente, rendendo tecnicamente più semplice la comprensione dei significati, basata su segni condivisi, linguaggi comprensibili, e significati condivisi; 
  • vi sono poche divergenze valoriali, o queste sono solo superficiali, mentre nei valori profondi si trova condivisione.  
  • le parti sono caratterizzate da un certo grado di “Common Ground” nel vissuto personale, sia fisico che emozionale, e questo aumenta grazie ad esperienze condivise, rendendo la comunicazione più positiva ed efficace. 

È abbastanza comprensibile e naturale il fatto che al crescere della distanza psicologica tra persone, aumenti l’incomunicabilità, ma prendere coscienza di questo non è sufficiente.  Occorre capire dove mettere mano per lavorare sull’incomunicabilità, tema che approfondiremo in seguito.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Con i prossimi articoli vorrei addentrarmi nel cuore della comunicazione costruttiva, prendendo come esempio di efficacia comunicativa il modello delle quattro distanze sviluppato dal dott. Daniele Trevisani. In primis poniamo qui di seguito le basi per capire cosa si intende per comunicazione positiva, contrapponendola ai problemi dell’incomunicabilità.

Cos’è una conversazione positiva? È una forma d’incontro dalla quale usciamo felici. E non tanto per quello che abbiamo portato a casa, ma per come ci siamo sentiti, per quello che siamo riusciti a costruire, per quel futuro positivo di cui quel brano di conversazione è diventato un tassello, e per il piacere che quel brano stesso di vita ci ha dato. 

Al contrario, una conversazione negativa è densa di fraintendimenti, di stati emotivi pessimi, di grigiore. È “entropia comunicativa” (confusione sui significati e scopi del comunicare), e produce il drenaggio delle nostre forze e delle nostre risorse più preziose: le energie personali, le emozioni, il tempo. 

Le parole di oggi sono spesso “malate”, hanno perso il significato denso e forte che avevano. Abusate e forzate, si sono spente. 

Una comunicazione sana fa sì che il significato originario arrivi “pulito”, senza fraintendimenti. Una comunicazione malata invece fa sì che il messaggio originario arrivi “distorto”, persino opposto negli intenti di chi lo invia. Da qui all’arrivo dell’incomprensione e del conflitto, il passo è breve. 

Serve un modello che ci guidi attraverso i meandri di cosa accade in una conversazione e il modello delle Quattro Distanze della Comunicazione è pensato proprio per questo. 

 “Costruire” qualcosa di positivo con la comunicazione non è per nulla scontato, molto spesso basta una parola, uno sguardo, per costruire, e un altro per distruggere o fare danni.  La comunicazione infatti è una conquista. 

Un punto fondamentale da chiarire subito è che la comunicazione non è un messaggio “lanciato nello spazio” che non avrà mai risposta, ma una forma di interazione continua, una vera e propria conversazione in cui emittenti e riceventi sono sempre attivi. Tra questi avvengono centinaia e migliaia di micro-comunicazioni, ciascuna delle quali può essere chiara o invece portatrice di confusione, malintesi o stati emotivi negativi. 

Inoltre ognuno di noi ha propri interessi, propri bisogni, proprie esigenze, e queste trasudano e trapelano in ogni nostra interazione. La comunicazione umana è uno strumento, e a volte il solo strumento di cui disponiamo, per ottenere le risorse per la nostra sopravvivenza, o ottenere quello che vogliano nella vita, raggiungere obiettivi, e gioire per i risultati che la comunicazione stessa ci può portare. 

Ma come tutti sappiamo, non è sufficiente comunicare “tanto per fare”, non è sufficiente chiedere per ricevere. La probabilità che occorra invece essere chiari, o persuasivi, o comunicare in modo chiaro ed assertivo, è molto più concreta e reale, soprattutto in ambito aziendale e familiare.  

Chi “fa finta” che le differenze tra persone non esistano o non contino, sta nascondendo la realtà dei fatti.

Parlarsi chiaro è quindi anche un invito a confrontarsi con le distanze psicologiche e comunicative che possono esserci tra noi e le altre persone, per trovare quella “distanza relazionale efficace” nella quale riusciamo a comunicare bene, con rispetto di noi stessi e degli altri. Il modello delle Quattro Distanze ci aiuta proprio a capire quali possono essere le quattro grandi “trappole”, le tipologie di distanza relazionale che possiamo incontrare nella comunicazione, ma anche, e di conseguenza, i motori di una comunicazione positiva e le strategie per comunicare meglio. 

Ogni volta che interagiamo con una persona anche solo leggermente diversa da noi, siamo in presenza di un certo grado di diversity e questo ci impone la necessità di aggiustare il tiro della comunicazione. Se poi si presentano forti differenze etniche, religiose, e culturali nelle ideologie di fondo, la cosa diventa ancora più difficile.  

Più che in termini di una “comunicazione semplice”, in presenza di una dose, anche moderata, di diversità tra persone, dovremmo parlare e pensare in termini di una “comunicazione strategica”.  

In una comunicazione che diventa strategica si fa strada il concetto di “Information Operations” o “Info-Ops”, un concetto di derivazione militare, ma che rende bene un quadro della situazione: le informazioni e le comunicazioni, in condizioni di diversity, hanno un obiettivo, funzionano meglio se progettate per far sì che il messaggio possa essere accettato dai filtri culturali e ideologici di chi lo riceve, e non bloccato immediatamente. 

Per comunicare strategicamente servono modelli. Modelli che aiutino ad analizzare la comunicazione, modelli per costruire messaggi, modelli di ascolto e comprensione raffinati. 

Negare l’esistenza di differenze tra esseri umani in base ad ideologie buoniste è invece un grande atto di falsità intellettuale. 

Se non accettiamo questa realtà come dato di fatto, non includeremo mai nelle nostre analisi il vero fattore sfuggente: la diversità latente tra persone, le differenze e distanze culturali e il modo in cui queste impattano sulla comunicazione, potendola far diventare una comunicazione fluida e piacevole, che produce accordo e comprensione, oppure, all’opposto, una comunicazione sgradevole, conflittuale, difficile da digerire, con i suoi esiti: disaccordo, incomprensione, incomunicabilità, odio reciproco e conflitto. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: