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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nell’articolo a seguire andrò a parlare della quarta ed ultima distanza, quella referenziale, che riguarda la differenza tra i vissuti che ogni persona porta con sé nella comunicazione. 

In questo modello, per vissuto si intende sia l’esperienza diretta del mondo esterno, sia la parte più interna ed emotiva, gli stati interiori che sperimentiamo e con i quali abbiamo a che fare quanto con gli oggetti esterni.

Possiamo dire che i referenti sono “ciò di cui facciamo esperienza”, nel senso di “esperire”, o experiencing. Sono, in altre parole, quelle entità fisiche o mentali con cui veniamo a contatto, e possono essere sia estremamente fisici (es, un’auto), che estremamente psichici o mentali, per esempio uno stato d’animo particolare. 

Questa distanza è quindi chiamata “referenziale” perché riguarda i “referenti” e riguarda l’intera storia della persona, le sue esperienze interne ed esterne, il vissuto emotivo interiore, le emozioni provate nel corso della storia personale, il tipo di sensazioni ed emozioni che hanno caratterizzato il passato, sino al presente. 

Si tratta in termini scientifici di grado di varianza tra tracce mnestiche (tipo di input presenti in memoria). Per esempio, chi non ha mai vissuto un jet-lag (disagio dovuto al cambio di fusi orari dopo voli transcontinentali) non potrà capire la reale sensazione che si prova, così come chi non ha mai sofferto di mal di denti non potrà certo capire una semplice descrizione, verbale o scritta, del mal di denti. 

Senza una quota di vissuto condiviso l’incomunicabilità è assicurata. E soprattutto, quando parliamo con qualcuno di cui non conosciamo il passato e il presente, meglio essere cauti nel fare affermazioni che riguardano la persona stessa o il suo contesto, fino a che il quadro non si è chiarito. 

Il vissuto referenziale dal punto di vista percettivo riguarda tutto ciò che si è visto, odorato, toccato, sentito sulla pelle e gustato. È un mondo fatto di sensi, di sensazioni, di filtri percettivi, che ci parla di come noi viviamo le cose e gli eventi. 

E come se non bastasse, nella distanza referenziale si collocano anche le memorie di quanto abbiamo vissuto in famiglia, i traumi, i successi, i valori. La nostra famiglia, ristretta o allargata, e persino la nostra nazione, ci hanno fornito modelli di comportamento e valori di sfondo che permeano la nostra vita.

In linguistica, l’ipotesi di Sapir-Whorf (o Sapir-Whorf Hypothesis,), conosciuta anche come “ipotesi della relatività linguistica“, afferma che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla. Nella sua forma più estrema, questa ipotesi assume che il modo di comunicare determini il modo di pensare.

Possiamo dire con certezza che linguaggio, pensiero e realtà siano collegati tra di loro, per cui imparare un modo diverso di esprimersi e anche una lingua diversa, ci offre nuovi modi per osservare la realtà. Questo vale anche per i sottocodici comunicativi: se apprendo il linguaggio del pensiero positivo, anche la realtà potrà sembrarmi diversa. 

Ma quali sono quindi i tipi di “referenti” con cui possiamo venire a contatto, e sui quali possiamo, al momento opportuno, comunicare, o almeno provarci? 

  • Oggetti fisici del mondo reale: una caffettiera, un piatto di spaghetti, un taxi…
  • Stati mentali interiori: felicità, tristezza, depressione, gioia, aspettativa, curiosità… 
  • Scene della natura: una cascata, un lago, le onde del mare, un albero innevato… 
  • Scene dal mondo delle relazioni: litigi, feste, compleanni, matrimoni… 
  • Azioni: tutto quello che può essere rappresentato con un verbo, dove ogni verbo rappresenta una possibile sfumatura dell’agire e dell’essere (es: dormire, mangiare, rilassarsi, ecc…)
  • Stati sensoriali: ogni senso ci trasmette dei referenti o stati, e avremo quindi:
    • Referenti visivi.
    • Referenti olfattivi
    • Referenti gustativi
    • Referenti tattili o aptici (tutto ciò che ci trasmettono gli organi della pelle e il movimento, inclusi quelli legati al toccare altre persone): l’aptica è costituita dai messaggi comunicativi espressi tramite contatto fisico, quindi non verbale. Si passa da forme comunicative codificate, ad altre di natura più spontanea. L’aptica è un campo nel quale le differenze culturali rivestono un ruolo cruciale.
    • Referenti cinestesici (il movimento del corpo nello spazio che produce sensazioni)
    • Referenti uditivi
    • Referenti emotivi (gli stati emotivi): emozioni che proviamo ora, o che abbiamo provato in passato, sono certamente dei “referenti” sui quali si può comunicare o almeno tentare di farlo. Le emozioni e gli stati dell’umore sono oltre 200, per cui la capacità conversazionale di trattarli in tutte le loro sfumature, richiede impegno e addestramento. 

Per ciascuno di questi stati o “referenti” esistono esperienze molto soggettive: in pratica, realtà diverse si nascondono dietro alla stessa parola. Per quanto ci sforziamo di capire un’altra persona, ci sarà sempre qualche sfumatura della sua esperienza che differisce, anche in modo molto sottile, dalla nostra, per cui l’incomprensione e il disaccordo possono insinuarsi in questa “distanza referenziale” senza che ce ne accorgiamo. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: