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sequenzialità

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Un processo di cambiamento, formazione o coaching deve essere partecipato attivamente. Le fasi partecipative devono variare in intensità, tipologia (tipo di attività), e livello di elaborazione, permettendo di attivare canali di apprendimento multipli.

Il cambiamento positivo viene favorito dalla sequenzialità (orchestrata registicamente) di almeno i seguenti fattori:

  • azioni in prima persona;
  • osservazione attiva di azioni compiute da altri;
  • fasi di rielaborazione dell’esperienza, debriefing esperienziale;
  • fasi di chill-out (scarico).

Le azioni di coinvolgimento devono sollecitare la multisensorialità o immersività sensoriale:

  • immersività nell’osservazione (canali visivi), in real life o aumentata con ausili tecnologici;
  • immersività nell’azione (provare, manipolare, fare), l’azione diretta, esperienze cinestesiche (legate al movimento);
  • immersività uditiva (ascolto, ausili audio);
  • i canali olfattivi e gustativi (ove possibile).

Le diverse azioni e canali di azioni devono essere divise in frames esperienziali progettati per evitare l’effetto di saturazione (ceiling effect) di una tecnica o canale. 

Nonostante quanto sostengono alcuni teorici (vedi Kolb), è possibile creare impatto sia partendo dalla teoria che partendo dalla pratica, o con qualsiasi altro formato, purché l’insieme complessivo dell’esperienza riesca a generare volontà di partecipare attivamente al cambiamento e non solo essere spettatori.

Il principio delle curve esperienziali si applica sia nel micro-ciclo, che nel meso-ciclo e macro-ciclo di un progetto di Deep Coaching.

Principio di varietà e multicanalità nel coaching: prevenire ed evitare il ceiling effect (effetto saturazione)

Chi pratica Deep Coaching (coaching in profondità) e lavora con impegno ed intensità, deve mettere in conto l’”effetto stanchezza” e l’effetto “saturazione” che l’allenamento produce in ogni singola tecnica, poi nell’insieme di una sessione allenante, e ancora in un intero ciclo allenante. Questo vale sia per le skills motorie e training fisico, per le skills mentali e training mentale, e per le skills manageriali e il training manageriale.

Un evento formativo o di crescita personale di durata x deve essere progettato tramite azioni formative di natura molto varia, tali da attaccare le training issues (temi di training) e i change targets (obiettivi di cambiamento da raggiungere) con strumenti multipli, consentendo di aggredire il problema da più angolature, e creare varietà che combatta la monotonia.

Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.

Friedrich Nietzsche

Il principio di varietà si prefigge di combattere il fenomeno del ceiling effect, o “effetto tetto”: il raggiungimento di un grado di saturazione oltre il quale una singola tecnica smette di funzionare e produrre risultati.

Persino mangiare dolci, per quanto buoni, ha un suo tetto. Lo stesso vale per ogni tecnica allenante, fisica e mentale.

Il ceiling effect è un fenomeno pervasivo e agisce in molte variabili che riguardano il funzionamento umano. Ad esempio, per l’alimentazione, in un singolo pasto il corpo non può assorbire oltre un certo livello di cibo e di proteine, ed esiste un limite anche per le proteine assorbibili al giorno, in base al lavoro fisico svolto e altri fattori. 

Ogni sovrappiù viene sprecato e a volte va persino ad intasare il sistema, e può addirittura risultare dannoso. Una dose extra di proteine assunte diventerebbe inutile, mentre invece i canali di assorbimento dei carboidrati, delle vitamine e dei sali minerali potrebbero essere ancora aperti e disponibili all’assorbimento di sostanze.

Lo stesso fenomeno si presenta nella “assunzione di formazione”, nella terapia, nel cambiamento, nello studio e nella didattica.

Un vero coach che pratica Deep Coaching è sempre alla ricerca di “canali di assorbimento aperti” entro i quali far fluire azione, saperi, saper essere, e saper fare.

La fame di risultato e la pulsione neotropica del cliente (voglia di passare da uno stadio attuale ad uno stadio superiore evolutivo) possono comunque innalzare molto questa soglia fisiologica, consentono di aumentare il pressing formativo, ma il Coach deve essere sempre e comunque cosciente che quanto il cliente “vuole” non sempre è quello che gli fa bene, per cui, ancora una volta, emerge il fattore della Leadership, che deve essere del Coach e non del cliente.In questo caso, il Cliente non ha sempre ragione. Ad avere ragione è il risultato finale che vogliamo produrre entro i limiti di salvaguardia del cliente stesso, nel suo bene, e nel suo interesse esclusivo.

Curve di attenzione, presenza mentale, immersività, frames esperienziali. Verso la Total Quality Training Experience.

Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri.

Mark Twain

Nel campo dell’educazione si parla spesso di “curva di attenzione”, ma questo è un concetto molto limitativo. La curva di attenzione riguarda la capacità di un soggetto nel fornire presenza mentale

Alcuni teorici formulano soglie standard (es: 45 minuti), ma questo è assolutamente errato, la realtà è molto diversa. 

Vi sono docenti o oratori che riescono a “uccidere” la curva di attenzione in tre, quattro minuti, o ancora meno, i più “mostruosi” riescono a far passare a chiunque la voglia di ascoltare in 20 secondi. Vi sono altri operatori che riescono a tenere alta l’attenzione e la presenza mentale anche per intere giornate formative, stimolando diversi canali sensoriali, facendo lavorare le persone con esercizi diversificati, e aprendo canali di apprendimento tramite una Regia di Coaching ben studiata.

Il metodo delle Regie di Coaching si prefigge di mantenere alta la curva di presenza mentale (e la curva di attenzione) per il tempo che serve: ore, intere giornate, settimane, e qualsiasi sia il tempo di azione di cambiamento, offrendo un mix di esperienzeanziché un’unica e monotona modalità di partecipazione. Ad esempio, in un training sul public speaking, potremmo avere 

  1. una breve lezione teorica dove si spiegano i concetti da trattare tramite audiovisivi, e a seguire 
  2. alcuni video di esempi di discorsi efficaci proiettati con video proiettori o schermi. Poi
  3. una sessione di prova di un singolo brano (es, l’apertura del discorso) che invita a mettersi in gioco, e quindi 
  4. una sessione di analisi emozionale (cosa hai provato durante l’apertura, quando è stato il tuo turno), poi 
  5. una spiegazione concettuale del formatore su come le emozioni si connettono alla comunicazione in pubblico, e ancora 
  6. una seconda prova, poi 
  7. un training mentale sul public speaking basato su visualizzazioni ad occhi chiusi ove la persona si vede agire con assoluta calma e padronanza, poi
  8. una prova ulteriore anche di pochi minuti, e quindi
  9. un dibattito finale dove ciascuno esprime cosa pensa di avere imparato o su cosa vuole riflettere. 

Si tratta di specifici Frames ciascuno con i propri scopi, e non di una lezione di 4 ore. Questa sessione, di durata di 4 ore, è certamente diversa dal guardare passivamente per 4 ore un formatore che ti “racconta” come si fa ma quando esci, non ne hai fatto esperienza diretta.

Nell’adottare una regia, occorre definire il grado di overlap (condivisione di contenuti/aree) dei diversi elementi del training mix (overlap tematico) e tra diversi strumenti da adottare (overlap strumentale).

L’overlap tematico significa: quanto un tema ha in comune con un altro tema, e come faccio a crearne la connessione. Esempio, nel parlare in pubblico, c’è certamente un overlap tra concetti di comunicazione umana (il processo di comunicazione) e le emozioni (che emozioni provo mentre parlo in pubblico), per cui questo passaggio va evidenziato e analizzato. 

L’overlap strumentale significa “quanto strumenti e metodi diversi riescono ad attaccare lo stesso problema, o portare un contributo sulla stessa area”. Esempio, per potenziare un muscolo, possiamo agire con un peso (strumento 1), con una elettrostimolazione (strumento 2) o con un elastico che fornisca resistenza al movimento (strumento 3). Nel Business Coaching, se affrontiamo il tema dell’imparare a delegare, potrebbe essere saggio agire con una prima parte concettuale (strumento 1), un’esercitazione centrata sul fare deleghe volutamente sbagliate (strumento 2, deleghe paradossali) e un’esercitazione sul cercare di emettere delle deleghe sensate.

La scelta di usare uno solo o più di questi canali da parte del Coach è appunto una scelta di overlap strumentale. 

Se decide di usare una singola e sola tecnica, non ci sarà alcun overlap. Se le userà tutte e tre, in combinazione corretta, ci sarà un alto livello di overlap.

Un altro dei temi centrali inerenti il Deep Coaching consiste nell’elaborare uno shift tematico: il momento del cambio di tema, il passaggio da un tema ad un nuovo tema, il salto verso un nuovo obiettivo, l’abbandono di una fase del progetto già compiuta per aggredirne una diversa.

Tu sei quello che fai, non quello che dici di fare.

Carl Gustav Jung

Occorre definire il grado di ridondanza (ripetizione) attraverso i diversi tempi, senza dare per scontato che un argomento o tema, anche quando trattato più volte, sia stato automaticamente assimilato.

Sarà assimilato solo e quando lo vedremo in azione in modo fluido, spontaneo e naturale, senza nemmeno dover pensare più alla tecnica.

L’overlap strumentale si collega al “passaggio di testimone” tra uno strumento e l’altro, lo shift strumentale, nel quale una tecnica d’intervento o cambiamento cede il turno a quella successiva.

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Campagne di comunicazione strategica

Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione).

Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”. E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

comunicazione strategica

Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”.

Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

“Nulla può impedire all’uomo con il giusto atteggiamento mentale di raggiungere il proprio obiettivo; nulla sulla terra può aiutare l’uomo con l’atteggiamento mentale sbagliato.”

Thomas Jefferson

La comunicazione strategica ne utilizza le logiche,  spostando il tiro su obiettivi tangibili e intangibili importanti, come lo sviluppo di un marchio, la conquista di notorietà, portare avanti un valore, o concetto, trovare consenso, o sviluppo nelle vendite. 

Lo scopo è ottenere comportamenti sociali da parte di pubblici-obiettivo (i target-audience della campagna). Che si tratti di una campagna contro il fumo o per il rispetto della meritocrazia, o vendere l’immagine dell’Italia nel mondo, o un integratore alimentare, si tratta di mettere in moto azioni che producano effetti reali.

Una campagna, consiste nell’applicazione di un insieme di molteplici azioni comunicative, azioni che non devono “viaggiare” in modo confuso, ma essere convergenti e strutturate verso uno scopo.

Per fare una buona campagna, serve una buona “regia”. Un comando strategico. Una visione di cosa ottenere.

E noi cosa vogliamo ottenere? Senza saper rispondere a questa domanda basilare, non avremo la possibilità di iniziare né di arrivare a niente. 

Per cui, il lavoro di “focusing” – la focalizzazione sul ”cosa”, sul “quando”, sul “dove” e sul “perché” , è estremamente preziosa e farà luce tra veri risultati e falsi risultati.

Ciò che determina il successo di una campagna non è tanto il “volume di fuoco” dei messaggi ma la precisione chirurgica, la perfetta identificazione dei target, e la qualità dei messaggi. E quando parte di questi messaggi arrivano via contatti personali, anche la qualità delle persone fa la differenza.

Nelle campagne, le azioni devono organizzate strategicamente per avvicinarsi a specifici obiettivi.

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • Fissare “End-States”, punti di destinazione strategica (principio di inquadramento di obiettivi chiari o Focusing);
  • Agire tramite “campagne di comunicazione strategica” anziché con miriadi di iniziative scollegate e scoordinate – (principio della Sincronizzazione);
  • Avere un “Comando” della comunicazione strategica, non lasciare la comunicazione ad un ruolo marginale o autoproclamato, o vittima delle questioni tribali organizzative,
  • Costruire una leadership chiara sia dei messaggi, dei temi narrativi sovraordinati, da condividere, e delle operations, fare empowerment di chi dirige la comunicazione strategica 
  • Evitare dissonanze nei messaggi che escono (principio di Riduzione della Dissonanza Comunicativa e dei Rumori Comunicativi).

Il concetto di Energia di Attivazione

Una campagna di marketing o di comunicazione deve possedere energia di attivazione. Quando poi si arriva alla vendita, ne deve possedere ancora di più, e questa energia deve essere ancora maggiormente simile ad un raggio  laser che non ad una luce diffusa.

L’attivazione (o Activation nel gergo del marketing) è la metafora di una scintilla che accende interi processi e li alimenta, sintetizza il concetto-chiave : imparare a sviluppare campagne che “attivano”, che generano risultati, che determinano cambiamenti misurabili anche nel breve termine, e mettono in moto le potenzialità aziendali. 

L’Activation Research, letteralmente “ricerca su cosa attiva le persone” dovrà poi misurare gli esiti, e dirci se una campagna ha funzionato.

Perché una reazione avvenga è necessaria la sinergia di più azioni comunicative opportunamente orientate. Le azioni devono essere dotate di un minimo livello di energia (l’energia di attivazione), senza la quale le azioni aziendali diventano solo energia sprecata.

Il mondo della comunicazione oggi vive in un caos di “entropia”, un capogiro di opzioni tra canali social, pubblicitari, siti web, spot, vendita personale, incontri, presentazioni, meeting, fiere, show, eventi, e qualsiasi altra modalità con cui le aziende cercano di “far uscire” il proprio messaggio e vendere. Chi non afferra le leggi di questo caos, rimane fuori mercato.

far uscire il proprio messaggio

In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.

Carl Gustav Jung

Da questo bombardamento le persone escono frastornate. E per chi comunica, fare tanto rumore per nulla, far esplodere fuochi d’artificio che divertono ma non producono azione o vendita, serve a poco, a pochissimo. 

Molto meglio un incontro face-to-face nel quale porti a casa un ordine, che una valanga di messaggi a caso. E nel modello delle campagne, ancora meglio quando i media si “intrecciano” strategicamente, creando un campo di convergenze dove le energie di un canale valorizzano quelle degli altri, in un “coro comunicativo” veramente ben orchestrato.

E’ una questione di leadership. Anche nel gestire campagne di comunicazione. 

Ogni comandante deve sviluppare una strategia comunicativa coordinata e sincronizzata ed essere guida per il supporto e l’esecuzione di uno sforzo coeso.”[1]

Nel mondo aziendale, per uscire dall’indifferenza e dal caos comunicativo occorre sviluppare azioni e messaggi in grado di superare barriera di indifferenza e il “rumore di fondo” e determinare effetti su target localizzati. 

La potenzialità del metodo genera ricadute sia nell’immediato, e anche sulla cultura e il “modo di fare” azione commerciale, nel medio e lungo periodo, e in tutta l’azienda. 

Il metodo instilla un “pensiero strategico” nel quale prima di tutto ci si focalizza sullo stato finale da raggiungere (End-State, in termini militari) e poi sui media e canali da attivare, facendo sinergia tra metodi di vendita face-to-face, canali pubblicitari, strategie di social media, fiere, congressi, eventi. 

Ma al di la del canale, il fondamento è fare chiarezza sui messaggi, sui destinatari, sugli influenzatori, sui prodotti, sulle persone e sul chi deve fare cosa, nelle responsabilità individuali e in team.

La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

Albert Einstein

È fondamentale pensare a quali veri obiettivi attivare in una “campagna” che assimila molti concetti dai metodi delle “campagne militari”, e da questi deriva una sua impostazione strategica. 

Per fare una metafora, troppo spesso le aziende si impegnano in una “guerra di logoramento” in cui ogni giorno drenano energie senza vederne il ritorno, anziché focalizzarle in azioni mirate e d’impatto.

Azioni comunicative come forma di Engagement 

Il concetto di “engagement” o “ingaggio” ha una connotazione di natura militare, es, si parla di Key Leader Engagementper definire la capacità di incontrare con interlocutori umani importanti, in un certo contesto locale in cui agiscono eserciti, o in fase pre e post-conflict.

Nel campo aziendale, la similitudine è forte: saper “ingaggiare” significa saper costruire una serie di contatti dalla quale emergano progressivamente nuovi clienti. In questo senso, i canali “social” hanno discrete potenzialità di “ingaggio debole” (far conoscere un marchio o iniziativa, ad esempio), o virali, mentre gli incontri faccia a faccia sono forme di ingaggio “forte”, sono in grado di negoziare e condurre trattative, possono e devono essere la priorità per siglare contratti nel business-to-business.

Bisogna trovare le parole giuste che aprono l’attenzione del nostro target, bisogna apprendere a comunicare anche e soprattutto con chi non usa il nostro stesso linguaggio.

Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.

Oriana Fallaci, da “Quel giorno sulla luna”

Gli esseri umani possono essere “media speciali” e la sinergia tra azioni “fredde” o mediatiche o via internet, e azioni face-to-face, è di forte impatto.

Per forniture di grande peso economico, le azioni che portano alla conoscenza del marchio (brand development) e usano i media e i social, devono essere “chiuse” (concluse) da esseri umani.

social media

La dove invece l’obiettivo di campagna sia soprattutto divulgare informazione, i media hanno maggiore efficienza.

Il termine “campagna” essendo di derivazione militare e utilizza una concezione tipicamente militare dell’azione sul campo, fatta di analisi tattica, leadership operativa e valutazione dei possibili blocchi interni ed esterni che impediscono la “conquista” di un risultato, e una concezione dei tempi dotata di scadenza.

La sequenzialità si riferisce alla necessità e possibilità di utilizzare una serie di operazioni (sequenza) per ottenere un particolare risultato. 

Come per altre operazioni manageriali, le campagne si basano sul principio di Backward-planning (pianificazione a ritroso): Fissare un obiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obiettivo, fissare una scadenza finale, le fasi precedenti e le scadenze intermedie.

La letteratura presenta una distinzione tra campagna di comunicazione e programma di comunicazione. In particolare, la campagna è considerata come una serie di eventi che hanno una durata temporale definita, mentre il programma non ha una durata o limite preciso.

Una campagna pianificata per la durata di un mese, sei mesi, un anno o più (ma comunque di durata definita e controllabile), si presta alla misurazione degli effetti, genera una maggiore precisione sia nella pianificazione che nella fase di esecuzione, mentre programmazione continua non ha un chiaro inizio o fine, e l’impegno spesso degenera e si deteriora.

Piani di attività che non hanno scadenze tendono ad essere rimandati di continuo nella scala delle priorità.

La durata di 60 giorni, in genere, qualifica un tempo medio sufficientemente corto per poter focalizzare la mente e le menti di chi vi opera.

Le macro-fasi della campagna di comunicazione 

Nelle campagne di pubbliche relazioni l’attuazione di una “generica” campagna richiede attenzione a quattro fasi sequenziali:

  • Ricerca
  • Adattamento
  • Implementazione
  • Valutazione.

Ciascuna fase è caratterizzata da operazioni che elenchiamo di seguito in forma riassuntiva.

Ricerca

La ricerca precede la campagna e riguarda l’acquisizione di informazioni sui problemi da risolvere (atteggiamenti, comportamenti, background, condizioni), sulla loro natura ed entità. Gli obiettivi e processi sottostanti sono:

  • Analizzare la natura del problema o problemi, studiare il background.
  • Analizzare i sintomi e ipotizzare cause (formulazione di ipotesi).
  • Raccogliere dati per verificare le ipotesi, utilizzando metodologie valide e affidabili sia nella raccolta che nella misurazione.
  • Interpretare i dati.
  • Identificare i problemi in forma di dichiarazione scritta del problema (problem setting).

Adattamento

L’adattamento implica la capacità di far combaciare i goals e obiettivi comunicativi con la situazione rilevata nella ricerca. 

Per produrre un adattamento adeguato è necessario suddividere il problema o i problemi in obiettivi specifici e misurabili, chiarificando i vincoli e confini della campagna. I processi sottostanti sono:

  • Suddividere i problemi in dichiarazioni di goals misurabili.
  • Segmentare i pubblici e dare ordini di priorità.
  • Creare una lista di possibili soluzioni per la soluzione dei problemi (problem solving).
  • Elencare risorse umane finanziarie
  • Evidenziare le limitazioni e fissare i confini: evidenziare i limiti comunicazionali della campagna (temporali, numero di soggetti raggiungibili, luoghi, spazi), considerando le risorse disponibili e i dati della fase di ricerca.

Implementazione

L’implementazione riguarda la scelta delle strategie e la loro realizzazione pratica. Per procedere all’implementazione occorre attivare i seguenti processi:

  • Selezione le strategie di problem solving dotate di elevata probabilità di successo e maggiore fattibilità.
  • Individuare il piano di comunicazione (fonti, messaggi, canali, media-mix o Communication mix, destinatari e pubblici obiettivo).
  • Assegnare un budget per ogni azione o evento.
  • Pianificare nel tempo l’intera strategia e piano di comunicazione (scadenzario, pianificazione Gantt).

Valutazione

La valutazione riguarda l’analisi relativa al livello di conseguimento degli obiettivi, e altri effetti causati dalla campagna. I processi coinvolti:

  • Misurare il livello di ottenimento dei goals.
  • Misurare i miglioramenti verificati.
  • Valutare l’efficienza economica della campagna (analisi costi-benefici).
  • Valutare la presenza di effetti inaspettati della campagna (positivi e/o negativi).
  • Valutare gli effetti sull’organizzazione stessa, prodotti dalla campagna (team building, coesione, migliore organizzazione, maggiore managerialità).
  • Concentrarsi sia sugli effetti immediati che sugli effetti che la campagna può lasciare nel medio e lungo periodo come eredità comunicativa.

[1] Major General Stephen Layfield Introduction to US Joint Forces Command (2010). In: “Commander’s Handbook for Strategic Communication and Communication Strategies”. Published by U.S. Joint Forces Command, Joint Warfighting Center, Suffolk, Virginia.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online