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Il metodo Deep Coaching prevede che un evento formativo e di coaching di durata “x” debba essere progettato tramite curve emozionali. Nei picchi alti di tali curve l’evento deve far vivere al partecipante esperienze emotive forti. 

Per “forti” non s’intende necessariamente “shoccanti” o traumatizzanti, anche se non sono esclusi casi di “shock experience” – esperienze d’impatto necessarie soprattutto a rompere la cintura protettiva di credenze (protective belt) che impedisce alle persone di aprirsi al cambiamento. 

Le esperienze sono tanto più forti quanto più riescono a contattare emozioni interiori in grado di smuovere le motivazioni. Sono ancora più impattanti quando prevedono azione diretta, coinvolgimento sensoriale del partecipante, l’uso di tutti i sensi e il coinvolgimento corporeo, il fare in prima persona e non solo ascoltare o vedere.

Un esempio: dover compiere un’azione bendati, fidandosi solo della guida del coach, e dover camminare, muovere il busto o le braccia in un percorso che prevede ostacoli, fa uscire allo scoperto l’importanza del legame comunicativo tra coach e cliente, o tra leader e collaboratori, e sensibilizza enormemente sul bisogno di intendersi comunicando. Spesso, togliendosi le bende, si prova un senso di sollievo, ma da quel momento in avanti, il legame si è fatto più solido, gli errori comunicativi più chiari, e la comprensione dell’importanza della comunicazione umana sarà aumentata.

L’etica del formatore attivo e del coach deve intervenire per capire quale sia la soglia tra intervento positivo e intervento shoccante fine a sé stesso, inteso come qualcosa che non aiuta ad evolvere ma solo a “fare fumo”. 

In un training sulla negoziazione, venire “messi al muro” da un negoziatore esperto e abile può generare emozioni negative forti, e aprire le porte del desiderio di acquisire nuovi strumenti e migliorarsi. 

Ancora, emozioni forti possono essere suscitate da un video, da una esperienza nella natura, da una fase di meditazione, da un esercizio teatrale, o altri passaggi del training. Si possono creare situazioni di lavoro under stress sia fisico che psicologico, o al contrario di rilassamento e meditazione profonda.

Per esperienze emotive non si intende qualcosa di fantasmagorico fine a sé stesso, ma qualcosa di esperienziale e partecipativo, che coinvolga il soggetto.

Coinvolgimento emotivo

Quanto più il Coach o Formatore saprà toccare e attivare emozioni profonde, tanto maggiori saranno le possibilità che il training, la consulenza o ogni altro intervento sia in grado di penetrare nell’animo e nel vissuto personale o organizzativo. 

Azioni di cambiamento che non sollecitano le emozioni hanno scarsissima possibilità di impatto.

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  • attivazione (arousal) del partecipante verso i temi di intervento e le azioni di cambiamento;
  • alternanze emotive (elasticità emotiva): sollecitazione dell’arousal (attivazione emotiva) verso più stati emotivi, saper toccare diversi aspetti della sfera emotiva in relazione all’intervento (es: disgusto per…, amore per…, noia verso…, rabbia contro…, compassione per…). 
  • esperienzialità emotiva diretta, favorita da azioni in cui il soggetto possa esperire emozioni basata su brani di azione diretta, partecipata, vissuta in prima persona;
  • coinvolgimento sensoriale, psicomotorio, azione diretta, lavoro in prima persona.

Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

  • scollegamento emotivo (mancanza di arousal) del partecipante verso i temi di intervento e le azioni di cambiamento;
  • dominanza di singoli stati emotivi (positivi o negativi);
  • emotività unicamente riflessa (riferita ad azioni altrui, come nella sola visione di materiali audiovideo), e non prodotta da azione diretta, agita e partecipata, atta a generare vissuti emotivi in prima persona;
  • scarso coinvolgimento psicomotorio, stasi, interventi monocanali.

Occorre quindi progettare quando e come far vivere al partecipante le esperienze emotive. 

A seconda dell’intervento, è necessario articolare un training program, un coaching program e un mentoring program che spazino in più aree emozionali, e alternino momenti di carica a momenti di scarica.

È necessario progettare eventi in cui l’attenzione e l’interesse non scendano mai sotto una soglia di noia. 

È necessario che il Change Agent, Coach, Trainer o terapeuta, sappia analizzare la situazione per verificare l’impatto sul campo e avviare azioni di modificazione istantanea o recupero emozionale.

“Credo profondamente che la compassione sia la strada non solo per l’evoluzione del pieno potenziale umano, ma anche per la sopravvivenza stessa degli uomini, dal concepimento alla nascita, alla crescita. Per questo dico che gentilezza e compassione sono la mia religione. Non c’è bisogno di filosofie complicate e nemmeno di templi. Il cuore è il nostro tempio.”

Dalai Lama

Il coinvolgimento emotivo può essere ottenuto tramite diversi strumenti, dai video al role-playing, dal dialogo Socratico (maieutica), dall’autonarrazione al lavoro sul body language di gruppo, dal working under stress sino all’azione di scavo interiore (drag) sul vissuto del partecipante, o – per agire su emozioni positive – i customer dreams, le proiezioni di self futuri (visualizzarsi ad occhi chiusi nel come vorremmo essere), e altre attività stimolanti.

La ciclicità della regia formativa è il senso da cogliere nel metodo. Non è fisiologicamente sostenibile vivere in costante stato di arousal (attivazione) ai massimi livelli, ma senza stati di arousal un percorso di cambiamento diventa improduttivo e noioso, e la noia non produce apprendimento e tantomeno evoluzione.

Un tema da valutare attentamente è il cosiddetto overreaching –un principio generale del funzionamento umano – qui applicato al piano emozionale. Per overreaching emozionale intendiamo una stimolazione che vada al di là della possibilità di gestione emozionale attuale del soggetto.

Come abbiamo già esposto nel libro Regie di Cambiamento, qui riprendiamo e approfondiamo il concetto:

L’abilità professionale del regista formativo consiste nel costruire azioni-stimolo dotate – verso il partecipante – di potere di sfida sufficiente, senza scivolare nel campo della frustrazione permanente. Le azioni-stimolo possono ricadere – in una classificazione semplificata – in uno dei seguenti punti:

  • zona di noia: lo stimolo è sottodimensionato, inutile, non coinvolge;
  • zona di comfort: azioni-stimolo che non mettono in crisi il sistema;
  • zona di sfida: azioni-stimolo che possiedono un grado di difficoltà, sfidano le competenze e risorse esistenti, ma risultano affrontabili e risolvibili con un certo grado di impegno;
  • zona di overreaching: “andare oltre”: le risorse del soggetto non sono sufficienti a raggiungere lo scopo assegnato, nemmeno con il massimo impegno; le capacità o energie vengono sfidate sino a trovarne la soglia, e viene a galla il proprio limite. Da evitare accuratamente nei casi che possono provocare traumi fisici o mentali.

Se applichiamo il concetto al fronte emozionale, valutiamo che le stimolazioni di overreaching emotivo possano essere adottate solo con stretta supervisione di un coach o terapeuta in grado di gestire i flussi di transfert e controtransfert che si producono in tali sessioni, saper rielaborare il materiale emotivo che emerge, e predisporre adeguati momenti di recupero successivo allo stress.

Principio del coinvolgimento partecipativo ed azione esperienziale

Cerco sempre di fare ciò che non sono capace di fare, per imparare come farlo

Pablo Picasso

Un evento formativo di durata x deve essere progettato tramite curve esperienziali-partecipative, tali da far vivere al partecipante sia (1) esperienze di lavoro su progetti (azione/active training) sia (2) fasi riflessive di assorbimento/sedimentazione/sistematizzazione. Occorre progettare quando e come alternare le fasi attive e le fasi di rielaborazione. È necessario articolare un training program che spazi attraverso più tools attivi, e alterni momenti di forte carica partecipativa a momenti di sistematizzazione e riflessione efficace.

Il grafico non deve trarci in inganno. La ciclicità di una curva non è statica o predefinita, ma è assolutamente da stabilire caso per caso. Potremo avere momenti di lunga durata dedicati alla fase esperienziale e momenti di breve durata per la sistematizzazione, o viceversa, ampi momenti di studio teorico affiancati a brevi ma importanti momenti di azione. 

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La creatività e la produzione del messaggio

Fattori importanti nel management della campagna sono i metodi creativi, in cui si realizzano slogan, frasi, bozze di immagine o si generano strategie. 

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La creatività è una capacità manageriale tanto fondamentale quanto trascurata.

“Il dirigente aziendale medio ha speso tra le 1.000 e le 10.000 ore a imparare formalmente l’economia, la storia, le lingue, la letteratura, la matematica e le scienze politiche! Lo stesso dirigente ha speso meno di dieci ore ad imparare qualcosa del pensiero creativo!” Tony Buzan

La tecnica del brainstorming viene utilizzata per produrre listati di idee o listati di frasi o listati di strategie, che saranno poi filtrati con criteri decisi dal gruppo stesso. 

Ciò che conta, nel brainstorming, è lasciare che il flusso della creatività non venga interrotto, separando adeguatamente la fase creativa dalla fase valutativa e di selezione dalla lista. 

Il risultato del brainstorming (liste di possibili strategie di messaggio) deve essere sottoposto seguendo il seguente schema :

  • Un primo processo di filtratura e selezione. E’ necessario considerare solo le idee in grado di essere ricordate e i messaggi che possono generare attenzione nel primo impatto cognitivo, privi di dannosi effetti boomerang (evitazione del messaggio in quanto sgradito o troppo forte, già nel primo impatto).
  • Un secondo passaggio di selezione (filtratura) andrà invece a ricercare i messaggi dal potere persuasivo maggiore.
  • Un ulteriore grado di perfezionamento si ottiene sottoponendo il messaggio selezionato ad un pretest su un campione rappresentativo di membri del target. 

Questo consente di realizzare una ricerca valutativa dell’impatto, del gradimento ed efficacia del messaggio stesso.

La linea di azione comunicativa e la strategia relazionale

La linea di azione comunicativa esplicita la strategia relazionale che il messaggio intende produrre, o che le persone fisicamente intraprendono per arrivare allo scopo.

Esempi di grandi strategie relazionali sono :

  • Ammiccamento: “noi si che ti vogliamo bene”, “noi sappiamo tenere i tuoi segreti come nessun altro”
  • Distanziamento: “noi siamo i professionisti”
  • Massimo distanziamento. “Si riceve dalle alle previo appuntamento da concordare obbligatoriamente con la segretaria contattabile unicamente dalle alle il lun. pomeriggio h. 14-15 e venerdì mattina h 9-10”
  • Seduzione. “Con x, hai un fascino incredibile”
  • Agonismo. Vinci, sii vincente, vinci le sfide, etc
  • Empatia. “La banca che ti capisce” (poco credibile ma molto usata), “un’azienda che ti ascolta”, e altre.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo, con i minori ritorni negativi latenti, eliminando i rischi di effetto boomerang.

Esponiamo un esempio:

Il titolare di un’azienda di arredamenti industriali si rivolge al nostro studio di consulenza per un problema: l’azienda è vittima di un attacco pesantissimo da parte della concorrenza, la quale sta facendo circolare messaggi falsi su una probabile chiusura o fallimento. 

Il cliente si rivolge all’autore per impostare una strategia di difesa e rilancio. Le contromosse prevedono l’impostazione di una campagna fidelizzativa di comunicazione e informazione. Il tema di quale messaggio lanciare (message strategy) è il punto nodale: se l’azienda telefonasse a tutti i clienti dicendo “non è vero che stiamo chiudendo, se sentite notizie di questo tipo sono solo diffamazioni“, l’effetto cognitivo sarà comunque di riposizionare il brand vicino al costrutto mentale “chiusura e fallimento”. 

La psicologia dei costrutti mentali e il marketing semantico, infatti, evidenziano come il toccare una parola come “fallimento” o “crisi” apra effetti associativi a catena sulle aree contigue, per associazione. 

È stata quindi svolta una situation analysis per ricercare quali messaggi veritieri, reali e concreti l’azienda potesse emettere, in grado di (1) far emergere naturalmente, senza bisogno di dirlo, il fatto che l’azienda era viva e vegeta, ed anzi in ottima salute, e (2) ottenere dall’investimento nella campagna comunicativa altri vantaggi, senza focalizzarsi unicamente su un approccio difensivo, ma cogliendo l’occasione per un rilancio della politica di fidelizzazione del parco-clienti.

La situation analysis aveva prodotto diverse opzioni. Una linea scartata fu  quella di telefonare ai clienti dicendo sostanzialmente “non è vero che stiamo fallendo”. Dovevamo evitare assolutamente di lanciare un messaggio in cui il marchio venisse accostato al concetto di fallimento, consapevoli che avremmo creato un’associazione mentale tra marchio e “chiusura-fallimento” anche solo affermando che questo non era vero. 

La linea finale, decisa in accordo con la direzione e la proprietà, era: 

  • step 1 informare tutto il parco clienti che l’azienda aveva appena acquisito una nuova falegnameria – evento reale, ma che prima non era stato reputato degno di essere comunicato; 
  • step 2 comunicare i benefit chiaramente: eravamo da ora in grado di produrre soluzioni d’arredo ancora più personalizzate; 
  • step 3 ogni cliente doveva essere invitato ad un incontro, nel quale poter visualizzare le nuove gamme possibili e programmare una campagna per la stagione entrante.

In questo modo, è stata adottata una “linea di comunicazione inoculativa”: chiunque avesse contattato il cliente nei giorni successivi (per annunciare che l’azienda stava chiudendo), avrebbe egli stesso fatto la “figura dell’idiota”, producendo un effetto boomerang su se stesso. Il cliente dell’azienda di arredamenti avrebbe infatti chiaramente percepito un intento manipolatorio in chiunque lanciasse il messaggio fuorviante, avendo sentito e vissuto di persona una realtà che andava in contraddizione con il messaggio falso.

La produzione di una linea di azione comunicativa non avviene per intuizione: essa richiede confronto, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. È necessario produrre diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di successo.

La struttura delle linee di azione

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Ciascuna linea di azione è suddivisibile in steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (path).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono:

  1. il numero di linee di azione comparate
  2. il numero di steps per ciascuna linea

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica e le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

Come abbiamo visto nell’esempio dell’azienda di arredamenti, di fondamentale importanza nella message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati ed eviti di inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa. Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti ed immagini mentali.

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[1]espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con quest’azienda?”) ed attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Le azioni sono comportamenti. E’ arrivato il tempo di pensare meno al fatto che comunicare sia sufficiente o equivalente a mettere un involucro luccicante su carne maleodorante quando la apri, o pensare che si possa mettere un packaging a qualsiasi cosa e che questo sia sufficiente. 

Le PR e la comunicazione devono comunicare quanto di buono si fa, non coprire il suolo di menzogne. 

Siamo tutti stanchi di bugie e le bugie non pagano più, se mai hanno pagato. Non è più tempo di bugie.

Se le cerchi, hai un sacco di possibili:

  1. caratteristiche
  2. vantaggi
  3. benefici
  4. unicità

Di queste, ne basta una, non ne servono dieci e più.

Partiamo da quelli, senza andare a cercare bugie assurde.

Se scaviamo troveremo un sacco di verità che vale la pena comunicare. Ma occorre scavare, esaminare, non stare in superficie.

E non fermiamoci al marketing mix, entriamo nella comunicazione come relazione. Cerchiamo il “common ground”, cosa di buono possiamo veramente fare assieme.

Se applichiamo questa sequenza, troveremo:

  1. Sviluppare una mente da analista : volontà di capire, di analizzare
  2. Conoscenza di sè : consapevolezza del proprio valore attuale e potenziale
  3. Conoscenza dell’altro : mappatura del sistema, dei bisogni, delle vulnerabilità
  4. Costruire la relazione : saper identificare e le modalità per una relazione di successo

Comunicare può essere un “fare assieme” win-win” fuori dalle maschere, ma può invece essere un teatrino delle falsità.

Tu quale preferisci?

relationship

Occorre tornare a pensare che le nostre azioni reali, il nostro agire, il nostro comportamento, sono la forma di comunicazione più forte e la sola in cui le persone credono in caso di dubbio.

Le parole insegnano, gli esempi trascinano.

 Solo i fatti danno credibilità alle parole.

Agostino d’Ippona 


[1] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La formazione e il coaching per dare tono ed energie al team di vendita

I risultati dipendono da una sommatoria di energie e abilità canalizzate in obiettivi. Questo è – in sintesi – il pensiero sottostante il metodo HPM per lo sviluppo della performance. 

Incentivare la rete di vendita significa porre attenzione ad iniziative diversificate.  

Nel modello HPM sono fondamentale:

  • le energie biologiche (Bio-En),
  • le energie psicologiche e motivazionali (Psic-En)
  • le Micro Competenze (Micro-Skills)
  • le Macro Competenze (Macro Skills)
  • i Goal e progettualità (G)
  • la Vision includente i valori e le aspirazioni (V)

Cosa si può fare concretamente?

  • Sul fronte energetico: Marathon training e “ritiri di formazione” della squadra di vendita;
  • Coaching al venditore, soprattutto un Coaching Umanistico e Coaching Comunicazionale, cioè centrato sulle sue potenzialità e come svilupparle con la comunicazione. Un ciclo di incontri di coaching deve essere tra le 6 e le 10 giornate.
  • Sul fronte micro: training e role-playing, in azienda, almeno settimanalmente, per prepararsi agli incontri in arrivo.
  • Affiancamenti di vendita con feedback in uscita.
  • Sul fronte macro: training plan annuale e pluriennale, personalizzato.
  • Sul fronte Goal: sessioni di goal-setting congiunte.
  • Sul fronte Vision: analisi dei mercati, degli spazi, dei trend, nella zona o area di pertinenza del venditore.

La visione d’insieme deve tenere un doppio focus:

  • sugli individui: colloqui in profondità e valutazioni periodiche;
  • sulle procedure e sulle campagne per il futuro: analisi strategiche di quali campagne di vendita implementare;
  • valutazioni di feedback sulle campagne già svolte.

La costruzione attiva del parco clienti da condividere con il venditore

Per agire all’interno di un processo di vendita consulenziale, il venditore deve condividere alcuni principi base:

  • Il parco clienti non si subisce, si costruisce. Un parco clienti bilanciato può contenere pubblico e privato, tradizionale e innovativo, locale e internazionale, ma, comunque, deve essere il risultato di una logica e di una scelta.
  • Il parco clienti si costruisce tramite:
    • Eliminazione di clienti inutili (De-marketing)
    • Addizione di clienti di valore (Pro-Marketing)
  • Questo presuppone darsi una Strategia Commerciale, l’impostazione di una quota di fatturato da generare per tipologia di cliente. In seguito, si sviluppa un piano commerciale e di promozione per ciascuna tipologia, attivando campagne di vendita tematiche.
  • Ogni strategia di vendita e costruzione attiva del parco clienti va fissata con apposite riunioni, concise, brevi e che fissino unicamente i passaggi concreti da fare.

“Coloro che non sanno imparare dalle riunioni precedenti saranno condannati a ripeterle.”

Massima di McKernan

  • Il venditore è un fattore chiave della strategia commerciale, è un protagonista, non una comparsa.
  • I suoi risultati permettono a tutta l’azienda di procedere, l’azienda deve sempre dimostrare che ha bene in mente questo dato di fatto.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Negoziare con i venditori e fare il patto psicologico

Patti chiari amicizia lunga.

(Proverbio)

Il patto psicologico tra direzione vendite e venditore viene promosso dalla direzione in un apposito incontro, già in fase di ammissione/ingresso nel team, e include:

  • le regole del team, i suoi valori fondanti;
  • le dichiarazioni esplicite di cosa ci si attende (attese, comportamenti, atteggiamenti) dal venditore, atti concreti connessi alle regole del team, con esempi;
  • le regole da seguire in caso di malintesi, incomprensionidifficoltà, con esempi;
  • la durata dei periodi: collaudo relazionale, verifiche, punti di arrivo e milestones (pietre miliari) del rapporto;
  • tipo di verifiche cui si sarà sottoposti;
  • tipo di feedback (e reportistiche) da dare alla direzione vendite, e con che frequenza (ogni quanto, in relazione a cosa);
  • confini esatti dei ruoli di direzione e del venditore, margini e confini di manovra, casi dubbi (zone oscure/grigie del territorio di competenza – con esempi concreti) e comportamento atteso;
  • regole di uscita dal team (quali condizioni provocano l’espulsione), condizioni di permanenza nel team, comportamento atteso in caso di fuoriuscita dal team;
  • comportamento atteso verso la trasparenza dei dati;
  • dichiarazione sulla proprietà dei dati e delle relazioni (aziendale);
  • anticipazione dei possibili cambiamenti e variazioni di impegni (es: rotazione dei territori, job rotation, affiancamenti direzionali);
  • stili di comunicazione attesi e precisione del linguaggio attesa con casi concreti, es: una e-mail, un report di visita;
  • …..altri punti da inserire a giudizio della direzione.

Il colloquio di patto psicologico va simulato e preparato tramite role-playing!

Riunioni con le forze vendita

“Se un problema causa molte riunioni, alla lunga le riunioni diventeranno più importanti del problema.”

Legge di Hendrickson

Le riunioni sono momenti essenziali ma vanno tenute brevi, concise, concentrate sui punti che si vogliono trattare. Meglio più riunioni focalizzate, che una singola riunione fiume.

Quando si fa una riunione, occorre distinguere nettamente tra:

  • riunioni informative;
  • riunioni decisionali strategiche;
  • riunioni di ascolto dei collaboratori, ascolto “dal basso” o bottom-up;
  • riunioni di patto psicologico;

Ogni riunione ha un formato specifico e un timeline che va deciso e fatto rispettare.

Occorre sensibilizzarsi alle deviazioni dal format e – ogni volta che una riunione devia – applicare la leadership conversazionale per riprendere le redini della riunione.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Strumenti e tecniche per ottimizzare il tempo dei venditori

Gestire i tempi significa dettare il “Battle Rhythm”, il “ritmo di battaglia” nel quale si compete nel Colosseo della vendita.

Uno dei problemi principali della leadership è “chi gestisce il tempo di chi”. Un leader non può sfuggire dalla necessità di pianificare i tempi, almeno a livello di macro-pianificazione. 

Le pretese (del leader o dei venditori) di poter raggiungere deleghe ampie, senza dovere di controllo sui tempi altrui, trovano spazio solo quando il venditore consulenziale sia veramente autonomo e dotato di ampia professionalità. Anche in questo caso, tuttavia, il venditore dovrà muoversi, nel corso dell’anno, all’interno di un framework di lavoro e di macro-tempi definiti da una direzione.

Alcuni strumenti utili:

  • schede appuntamento: riepilogano i dati essenziali della visita che si sta per andare a svolgere. Vengono preparate o da supporti amministrativi o (il giorno prima, nel peggio dei casi), dal venditore stesso, nella fase di preparazione alla giornata successiva. Il formato delle schede può andare da fogli A4 sino a micro- dossier, sufficientemente compattati.
  • planning settimanale: il planning settimanale definisce la mappa degli appuntamenti lungo un percorso di vendita settimanale. La mappa appuntamenti deve contenere sia le visite vere e proprie, che gli slot (spazi) organizzativi (i tempi/momenti organizzativi sufficienti per ammortizzare i viaggi e i carichi amministrativi). 
  • planning trimestrale: il planning trimestrale deve contenere i principali appuntamenti del trimestre, inclusa la definizione di quale “team di vendita” sia dedicato a quale cliente, e gli appuntamenti interni e con il cliente.

La possibilità di svolgere un planning dipende dalla divisione netta tra:

  • tempi preparatori e
  • tempi di visita.

Durante una campagna, è necessario dividere nettamente i tempi di preparazione e di contatto telefonico (o altre forme di presa d’appuntamento) dai tempi di visita. Occorre assolutamente resistere alla tentazione di inseguire gli appuntamenti “alla rinfusa”, basandosi solo sulle disponibilità del cliente, dimenticando così delle proprie esigenze di ottimizzazione e logistica.

Una ipotesi di articolazione mensile puramente indicativa è la seguente:

  • settimana contatti in-house: programmazione e presa d’appuntamento, preparazione e role-playing
  • settimana sul campo: visite ai prospects
  • settimana contatti in-house: preparazione proposte e soluzioni, elaborazioni consulenziali
  • settimana sul campo: visite ai prospects, conclusione situazioni aperte.

I modelli di vendita e i modelli di chiusura

L’articolazione pratica dipende dal modello di chiusura che si decide adottare e offrire come modello di Formazione Vendite alla propria squadra di venditori:

  • chiusura in prima visita: obiettivo è chiudere subito, arrivare alla firma nel primo incontro. È possibile solo da parte di venditori estremamente esperti e preparati, quando essi incontrano condizioni di base favorevoli, o comunque non nettamente ostili. I venditori che riescono a chiudere in prima visita partendo da condizioni ostili sono decisamente rari e devono fare ricorso a tecniche di vendita ad alta pressione psicologica, che non fanno parte del repertorio medio della vendita consulenziale;
  • chiusura in seconda visita: divide l’attività di vendita in una visita preliminare di raccolta dati e ascolto, e in una visita di chiusura, basata sulla proposta di soluzioni (Solutions Selling), di alternative e chiusura;
  • chiusura in terza visita: divide l’attività di vendita in (1) visita di analisi, (2) visita di contrattazione e taratura, e (3) visita di chiusura finale.

Le varianti possibili sono numerose, ad esempio

  1. acquisizione informazioni preliminari per via telefonica,
    1. sviluppo di una ipotesi di vendita,
    1. contatto telefonico ulteriore di “sgrossatura” delle opzioni,
    1. contatto diretto per la conoscenza reciproca,
    1. sviluppo di una soluzione d’acquisto,
    1. visita finale orientata alla chiusura.

Tra i principali problemi di vendita vi sono le linee di vendita eccessivamente lunghe (quanti appuntamenti massimi sono ammissibili per poter arrivare a concludere una vendita)

È essenziale che ogni campagna di vendita fissi una soglia massima di lunghezza della linea di vendita, oltre la quale non sia possibile proseguire. In caso contrario, si arriverebbe all’assorbimento totale delle risorse da parte di pochi clienti esigentissimi e comunque dal ricavo incerto. 

Sono purtroppo comuni i casi di clienti che esigono incredibili sforzi di vendita o enormi impegni progettuali nel venditore, per poi ripensarci o non acquistare affatto. 

Dall’esperienza pratica emergono anche casi di “falsi acquisti” ove il cliente mette in opera il venditore al solo scopo di acquisirne la capacità progettuale, per poi – una volta acquisito il progetto – rivolgersi altrove con un notevole risparmio sul costo complessivo (composto da progettazione e prodotti).

Una campagna di vendita deve avere priorità e tempi, i tempi per le visite devono essere inseriti in una programmazione e non lasciati fluire in un limbo temporale.

Fissare le priorità per i venditori

Il venditore deve assolutamente sapere quali sono le priorità che gli sono richieste, scegliendo tra:

  • alto vs. basso numero di contatti – ruolo di divulgazione tecnico/scientifica o PR vs ruolo di vendita;
  • ruolo di fidelizzazione e retention vs ruolo acquisitivo;
  • ruolo di marketing relazionale vs ruolo di chiusura aggressiva;
  • numero massimo di posizioni aperte da mantenere in trattativa contemporaneamente;
  • tipologia di soggetti sui quali muoversi;
  • su quali clienti non disperdere tempo/energie;
  • priorità geografiche;
  • priorità di categoria aziendale per classi di dimensione e fatturati.

Le priorità vanno anche diversificate in termini temporali:

  • priorità annuali, collegate al business plan aziendale e al marketing plan;
  • priorità semestrali o quadrimestrali;
  • priorità mensili;
  • priorità settimanali.

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