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qualità comunicativa

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

qualità comunicativa

Elementi di qualità comunicativa di un leader:

•     chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;

•     riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;

•     sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;

•     sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.

Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).

La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).

Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.

Principio 2 – La comunicazione di un buon leader

La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:

•     è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;

•     è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;

•     non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;

•     instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;

•     è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;

•     tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.

Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?

Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Siamo scintille in uno spettacolo universale di fuochi d’artificio. Noi compariamo qui, ora, adesso. Facciamo di questa scintilla un miracolo.

Daniele Trevisani

Chi dirige persone o gruppi con vera passione sente prima o poi il bisogno di migliorare le proprie modalità di comunicazione e quindi la propria leadership.

Per farlo, uno dei modi più efficaci è ispirare la propria comunicazione e la propria leadership non tanto a “regole preconfezionate” che valgono in sostanza nulla, ma piuttosto a dei “principi guida”.

Da un buon principio ispiratore possono derivare una grande varietà di regole pratiche, comportamenti positivi e soprattutto modalità di decisione molto solide.

La difficoltà decisionale è spesso dovuta alla perdita di principi ispirativi, ancoraggi solidi che possano guidare le scelte. Chi ha principi saldi difficilmente non sa che cosa vuole.

Nessun ancoraggio è forte quanto un principio che ci guida. Se cerchiamo la parola “principio” tra i suoi sinonimi troviamo “origine” e “inizio”, ed è così.

Da esso trae genesi tutto ciò che ne deriva, come un piccolo ruscello è l’origine di un fiume e di tutte le sue diramazioni, o come il tronco sorregge tanti rami e ogni foglia. La linfa vitale di un gruppo scorre dentro ai “principi guida” di cui esso si dota.

Esaminiamo alcuni aspetti fondamentali per la leadership e la comunicazione operativa.

Il primo principio: qualsiasi team, per quanto dotato di supporti materiali e tecnologie, è composto di persone, esseri umani, con i pregi e difetti che questo comporta. Gli studi sul fattore umano nei viaggi spaziali evidenziano come uno dei limiti più forti del­l’essere umano in azione la human dependability, in altre parole, l’affidabilità umana, il fatto di “poter contare” su un essere così delicato come la creatura umana. Poter contare su una persona è importantissimo ma non scontato. Gli esseri umani possono essere soggetti a “malfunzionamenti” fisici non voluti (malattia, cadute, injuries, che li rendono incapaci di contribuire), ma anche a malfunzionamenti umorali, emozionali, caratteriali, proprio perché umani. Cadute emotive, umorali, motivazionali, sono altrettanto pericolose delle cadute fisiche, e allontanano dallo scopo. E tuttavia, sono proprio le fragilità che rendono gli umani così speciali. La forza potenziale delle loro emozioni, la potenza che un sentimento può generare, l’enorme beneficio quando le emozioni sono valorizzate e canalizzate bene.

Il secondo principio: chi dirige un team è anch’egli una persona, e porta nel team tutto il proprio repertorio personale positivo e negativo, capacità e valori, energie o limiti, il proprio carattere, la propria personalità, la propria storia, lo stato fisico ed emozionale, culture ed esperienze, amplificando risultati, modificandoli in meglio o in peggio. Conoscere se stessi, in questo senso, e lavorare su di sé, diventano obbligo morale, pratico, positivo e forte.

Il terzo principio, la relazione forte tra qualità comunicativa e portata della sfida affrontabile: in un team vero, le persone interagiscono tra di loro, comunicano tra di loro, sono persino costrette a farlo se vogliono coordinarsi e organizzarsi bene. La necessità di comunicare bene è tanto maggiore quanto più grande è la portata della sfida. Nei miei contributi di ricerca a ESA (European Space Agency) (Trevisani e Stene 2016) ho potuto esaminare come la comunicazione faccia la differenza tra vita e morte. Un team composto da astronauti, equipaggio e operatori della sala di controllo a terra, durante una passeggiata spaziale (Extra Vehicular Activity, EVA) comunica, e nel farlo può rischiare involontariamente la morte di un’astro­nauta, per colpa di un singolo messaggio sbagliato o di un singolo misunderstanding. E questo non ipoteticamente. È accaduto all’astronauta Luca Parmitano, il quale si è ritrovato in procinto di annegare nello spazio per una perdita di acqua al­l’interno della tuta spaziale, rientrato con l’acqua oramai sopra gli occhi; gli operatori faticavano a capire che cosa accadeva, a dare istruzioni e messaggi operativi. Lo stesso vale per un’équipe medica nei riguardi del paziente, e ogni altro team che affronta sfide difficili. La qualità della comunicazione interna ai gruppi, e la qualità comunicativa di ciascun ruolo specifico, fanno la differenza rispetto alle sfide che gli stessi possono affrontare e vincere. Comunicare bene può essere fatto con metodo, o affidandosi alla sorte (che non è mai in genere una strategia vincente). Comunicare bene serve per raggiungere scopi che i singoli, da soli, non potrebbero mai conseguire e, a volte, nemmeno sognare.

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  • Energie
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  • Potenziale delle emozioni

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Sbagliare sin dalla fase di selezione

Non aver paura di fare degli errori, perché non c’è altro modo per imparare come si vive.

(Alfred Adler)

La selezione di personale adatto alla Vendita Consulenziale è particolarmente difficile, in quanto si tratta di trovare persone che siano disposte all’ascolto, così come all’azione di squadra.

Persone che sappiano dare valore al proprio prodotto/servizio e trasformarlo in una soluzione adatta ai bisogni del cliente.

Tutte le persone conoscono il prezzo delle cose ma soltanto alcune ne conoscono il vero valore.
(Oscar Wilde)

Gli errori principali possono avviarsi già in fase di selezione, in particolare:

  • quando manca una buona profilazione del candidato ideale.
  • quando non si realizza un forte patto psicologico con il venditore.

Evitare di porsi domande fondamentali

Ad esempio:

  • Quanto tempo intende rimanere il venditore presso questa organizzazione?
  • Considera questo posto di lavoro o posizione come definitiva, o sta inviando curriculum in giro?
  • È completamente fedele o usa i propri contatti anche per altri scopi (concorrenza, vendita di informazioni, contoterzismo, secondi lavori)?
  • È interessato al tipo di prodotto o lo trova stupido o banale o poco interessante da trattare?

Esistono molte modalità, più o meno legali, per verificare quanto sopra. Si va dal fatto che il venditore si impegni con costanza ad alimentare il CRM aziendale, o non lo faccia per niente, sino alla possibilità di installare “keylogger” sul pc aziendale del venditore per scoprire con chi e cosa comunica.

Al di là del metodo, l’essenziale è sapere o meno di poter contare su quella determinata persona.

Non difendere la squadra e i suoi membri da attacchi esterni e interni

Non difendere la squadra e i suoi membri da attacchi esterni e interni

Il leader del team di vendita deve saper difendere sia il team che i suoi membri da attacchi esterni al team, sia provenienti dall’interno dell’azienda che dall’esterno.

  • Esempio di attacco interno: l’area produzione boicotta un tempo di consegna o non consente di rispettare una promessa di vendita.
  • Esempio di attacco esterno: un cliente che si dichiara insoddisfatto mentre in realtà è un soggetto problematico in sé (dall’essere demanding oltre una soglia ragionevole, sino all’essere psicopatico), o sta cercando di ottenere merce di scambio.

Non valorizzare le autonomie

“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.”

Frank A. Clark

Ogni venditore ha bisogno di una direzione che li supporti e li aiuti ad individuare strategie e obiettivi. Tuttavia, è bene pensare che la Direzione possa davvero occuparsi sempre più di strategia e sempre meno di seguire ogni singolo passo del venditore. Procedere verso l’autonomia è un grande risultato da perseguire.

Per ogni direzione che usa il metodo consulenziale, l’obiettivo (o sogno da perseguire) deve essere quello di avere una organizzazione e dei professionisti di valore, cui conferire :

  • più delega possibile
  • applicare meno controllo possibile.

Per fare questo, devono sempre essere svolte attività di sviluppo dell’autonomia che amplifichino la delega sino ai suoi massimi livelli. In questo modo la direzione potrà veramente occuparsi di mission, vision, innovazione e strategia, anziché doversi occupare di controllo costante dei dettagli.

Fissare budget di vendita non in base ai potenziali reali

Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.

(Niels Bohr)

Le vendite-target, o obiettivi di vendita, devono essere fissati sulla base dei potenziali dei territori e dei mercati, e non utilizzando come criterio semplici aumenti indiscriminati sulla base dell’anno precedente (es: +10% per tutti).

Per valutare i potenziali dei mercati, è necessario svolgere operazioni di misurazione, spesso intuitive, ma erronee, e correttamente complesse quando si voglia invece ricorrere a formule di calcolo (algoritmi). Questi calcoli puntano a calcolare la quota di mercato attuale e quella invece conseguibile come la concorrenza o competitività dei mercati di riferimento, i costi di ingresso e di uscita, le difficoltà logistiche ed operative.

Mancanza di backup dei dati, delle informazioni di vendita e intrasferibilità delle relazionali interpersonali

Mancanza di backup dei dati, delle informazioni di vendita e intrasferibilità delle relazionali interpersonali

Se l’unico soggetto in possesso delle informazioni è il venditore, i rapporti di forza si sbilanciano e la direzione vendite è ostaggio del venditore stesso.

Devono esistere: 

  • sistemi di backup dei dati (fisicamente) tali da poterne svolgere il recupero da più sedi. Esempio: un backup settimanale dei dati completi dal PC o “client” del venditore verso il sistema centrale, un backup giornaliero dei dati critici (es: sincronizzazione contatti e cartelle clienti);
  • sistemi di backup di funzione e di ruolo, tali da poter dare continuità ad un processo di vendita anche in assenza di chi lo ha iniziato o lo sta seguendo. Esempio: sapere i nominativi dei decisori e con chi parla il nostro venditore entro l’azienda cliente.

Nella vendita consulenziale – che fa perno sul valore della consulenza data dalla persona (venditore) alla persona (cliente) – si assiste al fenomeno della intrasferibilità delle relazioni interpersonali (mi fido di te, conosco te di persona), mentre nella vendita distributiva (es, in una Grande Distribuzione) la fidelizzazione umana è decisamente più blanda o in alcuni casi (in un discount) quasi assente.

L’obiettivo del backup relazionale è molto più difficile da perseguire (ma comunque importante) nelle aziende che adottano la tecnica della vendita consulenziale, dove molto affidamento viene dato ai rapporti umani personali, ai valori relazionali che non si possono “backuppare” come se si trattasse di bits. 

Per questo motivo, la quota relazionale totale (il totale dei contatti di relazione umana con i clienti), va esplosa su più livelli:

  1. il contatto del venditore (prevalente);
  2. il contatto della direzione in affiancamento con il venditore (portandolo ad un grado almeno annuale, o sino a semestrale o trimestrale nei clienti top);
  3. il contatto umano delle segreterie organizzative, che devono essere portate a conoscenza del metodo consulenziale e devono esse stesse adottare stili comunicativi di alta qualità e attenzioni individuali;
  4. la possibilità di avere un quadro completo informatizzato del sistema cliente, tale che ad ogni contatto e ad ogni telefonata possiamo sempre avere sott’occhio le informazione determinanti di quel cliente e non essere sprovveduti.

Fuoriuscita di informazioni riservate

La Direzione di un team di vendita deve prevedere possibilità anche molto negative, e porre attenzione a:

  • Furti esterni di dati e lavoro, causati da falsi acquirenti (spesso concorrenti) che intendono ottenere solo informazioni o progettualità gratuita.
  • Furti interni di dati, soprattutto prima di licenziamenti o dopo aver subodorato intenzioni di licenziamento (del venditore o da parte della direzione).

Consentire deviazioni dal modello di chiarezza di quale sia la situazione e risultato atteso dal cliente (modello X Y)

Per me la più grande bellezza sta sempre nella massima chiarezza.

(Gotthold Ephraim Lessing)

Il principio base del Solutions Selling è che si vendono soluzioni per aiutare un cliente e risolvere/anticipare i suoi problemi attuali e/o futuri. Quali sono quindi questi problemi? Questo deve essere chiaro.

Il leader della direzione vendite non deve accettare trattative in cui non sia chiaro cosa vuole veramente il cliente e da quale situazione si parte (vedi modello XY di customer satisfaction). 

Senza avere compreso la situazione del cliente e quali problemi dobbiamo risolvere (o obiettivi da conseguire) non può aver luogo alcun processo di vendita realmente consulenziale

Mancanza di doppio focus: sugli anelli forti (Strong Points) e sugli anelli deboli (Weak Points) della catena di vendita

Ogni catena di vendita – intesa come sequenza di attività/operazioni finalizzate alla vendita, ha una propria sequenza logica, realizzata da persone e svolta tramite procedure.

All’interno di questa sequenza nessuna organizzazione è perfetta, ed è positivo tendere all’ottimizzazione con una particolare attenzione a due punti:

  • non perdere i vantaggi conseguiti grazie agli anelli forti: tenere particolarmente conto delle persone e delle procedure/modalità contributive e vincenti, fare di tutto per mantenerle, coltivarle, estenderle, amplificarle;
  • non vedere o far finta di non vedere gli anelli deboli della catena (persone o procedure); questi vanno invece osservati e trattati con metodi di coaching, counseling o formazione, per farli crescere.

Le domande chiave da porsi rispetto all’organigramma di vendita :

  • Su quali aree potremmo lavorare per migliorare?
  • Dove sono i nostri punti di forza?
  • Dove sono i nostri punti di debolezza?
  • Di chi mi posso fidare e per cosa, in relazione alle sfide da sostenere?
  • Chi mi dà energie?
  • Chi mi toglie energie?

Comunicazione, motivazione e incentivazione della rete di vendita

Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci.
(Jim Morrison)

Il problema della motivazione va separato nettamente dal tema della fattibilità di una pratica motivante legata alle legislazioni nazionali sul campo del lavoro. La motivazione ha basi psicologiche e su queste è per noi opportuno concentrarsi, per poi eliminare dal campo o ridisegnare le soluzioni giuridicamente sostenibili. 

Comunicazione, motivazione e incentivazione della rete di vendita

Vediamo quindi quali sono alcuni dei presupposti della motivazione e incentivazione delle reti di vendita:

  1. Il fattore grounding organizzativo: l’incentivazione dipende dalla qualità organizzativa e dal senso di solidità aziendale: è più facile incentivare quando si ha la percezione di un buon supporto organizzativo;
  2. Il fattore grounding nel ruolo: la motivazione dipende dal grado di role-fitting (benessere nel ruolo, centratura tra ruolo e personalità/self);
  3. il fattore della prospettiva temporale (sua lunghezza e densità): un orizzonte vuoto spaventa, così come un orizzonte incerto;
  4. il fattore della correlazione sforzo-risultato: deve esistere un sistema premiante che crei un meccanismo di feedback positivo, rafforzando la convinzione che lo sforzo premia, e la struttura nella quale si sta lavorando è una “macchina da feedback positivo”;
  5. il fattore della qualità dei climi organizzativi: così come esistono ambienti fisicamente inquinati, possono esistere ambienti psicologici inquinati e demotivanti. È ruolo della leadership capire chi inquina, cosa inquina, e rimuovere i fattori inquinanti dal sistema;
  6. il fattore delle comunicazioni in ingresso, la qualità comunicativa, day-by-day, che colpisce il soggetto, la sua frequenza, natura e tipologia, un fattore di tale importanza da far emergere il bisogno di un vero e proprio piano di comunicazione interna per il team di vendita.

Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.
(Eleanor Roosevelt)

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La qualità comunicativa

La qualità comunicazionale nei gruppi orientati agli obiettivi parte dalla qualità nella definizione stessa degli obiettivi e dei goal. Obiettivi e goal imprecisi producono demotivazione e scarsa stima verso chi li formula, e favoriscono la nascita di climi comunicativi dispersivi.

Una fonte di grandi malintesi e climi organizzativi disastrosi è la permanenza di attese latenti e non esplicitate (nel leader), le quali emergano solo a posteriori. Uno dei principi essenziali della qualità dei climi comunicativi è la trasparenza della comunicazione, delle intenzioni e delle attese.

Per quanto concerne gli obiettivi, la loro caratteristica più rilevante è quella di essere ancorati a un percorso che il soggetto possa comprendere.

Secondo una sequenza classica di management, i goal individuali devono correlarsi a quelli del gruppo di lavoro, e a risalire a quelli del dipartimento o settore aziendale, ma anche ai valori, alla visione e alla missione dell’azienda.

Relazioni tra qualità del goal e qualità della comunicazione nel gruppo

Se un gruppo agisce su variabili confuse, poco chiare, produrrà risultati confusi. Analizziamo alcuni punti essenziali della qualità dei goal in relazione ai climi comunicativi.

Per quanto concerne i goal, le caratteristiche più importanti vengono spesso definite dall’acronimo SMART. Secondo la procedura SMART (iniziali delle seguenti caratteristiche), un goal deve essere:

•      Specific, specifico.

•      Measurable, misurabile.

•      Achievable, raggiungibile.

•      Relevant, alta rilevanza percepita.

•      Timely, assegnato per tempo, al momento giusto.

Fattore Specific, specifico

La specificità del goal consiste nell’applicare la “cultura dei confini” alla definizione del goal stesso. “Aumentare le vendite” non è un goal veramente chiaro, poiché non è chiaro dove debbano essere aumentate, su quali prodotti (tutti, alcuni, uno solo), in quali tempi (domani, entro un biennio, entro un trimestre), e se vi sia qualche indicazione o meno sul come (realizzando sconti, aumentando la pubblicità, formando meglio il personale di vendita, cambiando target di clienti, cambiando prodotti?).

Un punto di arrivo per qualsiasi team leader è avere persone che mettano la propria motivazione e intelligenza su come raggiungere un goal senza che debbano essere “programmati” come automi. Questo a patto che:

  • il team leader stesso chiarisca che si attende questo da loro (comunicazione esplicita di aspettative e regole di vita del team);
  • il leader applichi concretamente i dovuti gradi di libertà nel team, permettendo alle persone di sprigionare idee anziché soffocarle.

Fattore Measurable, misurabile

Un goal deve essere chiaro nella sua “portata”, in caso contrario ha poche probabilità di agire come motivatore attorno al quale far ruotare azioni pratiche. “Aumentare le vendite” può significare sia farle crescere dello 0,2 % in un anno, che raddoppiarle o triplicarle entro sei mesi.

La misurabilità si applica anche ai goal immateriali, inerenti agli obiettivi meno tangibili, quali “far crescere le capacità e abilità del gruppo”.

“Dovete diventare più bravi” è un goal poco misurabile, mentre “Paolo deve passare da intermediate ad advanced nella certificazione sul programma SPSS per le ricerche di mercato” è un goal più misurabile.

Allo stesso modo “Voglio un sito web più tecnologico” sottende tutto e nulla, mentre il goal può essere riformulato per dare più misurabilità e concretezza: “Vorrei avere nel nostro sito alcune possibilità in più di vedere come lavoriamo, l’ho già visto in un sito della concorrenza. Sandra deve riuscire a produrre almeno un filmato visionabile sul sito web, in cui si veda il processo produttivo (nel primo semestre), e almeno un modello navigabile in realtà virtuale di un nostro prodotto (nel secondo semestre)”.

Notare che anche nel secondo passaggio è presente un potenziale “seme di dis-ecologia o entropia comunicativa”, poiché il manager potrebbe avere in mente un preciso prodotto (per esempio: un giunto meccanico) mentre Sandra potrebbe capire, in base al goal, che è libera di scegliere su quale prodotto applicarsi.

Fattore Achievable, raggiungibile

“Imparate a memoria questo libro entro domani” è un ottimo esempio di goal irraggiungibile. I goal irraggiungibili hanno la proprietà di spronare verso il risultato solo persone dotate di poco senso di realtà.

Il migliore suggerimento che si può fornire a un livello estremamente basilare di management è che un goal deve possedere elementi sfidanti ma raggiungibili. E la parte irraggiungibile, deve diventare raggiungibile solo a patto che siano dati gli strumenti di formazione e promozione adeguati.

Fattore Relevant, alta rilevanza percepita

I goal, per essere tali, devono essere rilevanti, importanti, qualcosa per cui vale la pena darsi da fare.

Un goal che viene percepito come inutile all’organizzazione rischia di venire vissuto come un semplice adempimento formale, senza che si capisca per cosa si sta lavorando e verso quale direzione.

La comunicazione interviene in questo punto sotto il profilo della creazione di una connessione forte tra vision e goal.

Un goal che non ha rilevanza sullo sviluppo dei propri interessi ha una probabilità minore di ottenere commitment (impegno personale) rispetto a un goal nel quale il soggetto individua un’occasione di crescita.

Sotto il profilo manageriale è invece importante, per il leader, saper costruire un mix adeguato di goal.

Nel management, non è possibile creare goal semplicemente per soddisfare le ambizioni dei singoli: azioni che puntano esclusivamente al piacere del collaboratore, possono esserci ma devono essere considerate tempi di “ricarica”.

Aziende che ascoltano solo i bisogni dei collaboratori e non dei clienti non hanno molta possibilità di rimanere in piedi a lungo.

Le paure da eliminare sono le “minacce di oppressione” che la leadership comporta: il leader deve apprendere anche a fare i conti con decisioni impopolari, assegnare goal e task che non corrispondono ai desideri del collaboratore, forzare la linea di azione verso la direttrice che ritiene più opportuna alla luce delle sue esperienze.

Fatto ogni sforzo di condivisione, rimane il dovere di assumersi la responsabilità dell’autorità e dell’imposizione dall’alto quando la condivisione non sia possibile. 

Fattore Timely, assegnato al momento giusto

La variabile “tempo” è essenziale, per due grandi motivi:

  • un goal assegnato con troppo anticipo non produce interesse e attivazione. I sistemi mentali del soggetto sono impegnati su altri fronti e si rischia la “caduta nel dimenticatoio” dove finiscono tanti progetti aziendali e personali;
  • un goal assegnato con troppo poco tempo a disposizione per organizzarsi è segnale di disorganizzazione del leader, e genera overload (sovraccarico) sul collaboratore, contribuendo a creare un clima di malessere.

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