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distanze spaziali

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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Restiamo nell’ambito della seconda distanza, introducendo il linguaggio non verbale e le sue differenze culturali.

Il codice comunicativo umano comprende il movimento corporeo e persino le stesse caratteristiche corporee osservabili, che assumono funzione di elemento comunicativo, come un tatuaggio, il grado di cura della pelle, o dei capelli, il look fisico e gli accessori e abbigliamento. 

Il corpo parla, esprime significati, emozioni e sentimenti. Anche i tentativi di bloccare queste emozioni e sentimenti sono essi stessi “metamessaggi”: vedere una persona che non esprime alcuna emozione, o si sforza di reprimerle è di per sé un segnale che porta a specifiche riflessioni. 

Body language

Il body language riguarda: 

  • la mimica facciale e le espressioni facciali; 
  • i cenni del capo; 
  • i movimenti degli arti e la gestualità; 
  • i movimenti del corpo e le distanze; 
  • il tatto e il contatto fisico.

Le differenze culturali su questi punti possono essere molto ampie.  Pe questo motivo la distanza di Codice (D2) è spesso maggiore di quanto si supponga.

Le culture variano molto sul tipo di gestualità. Per esempio in una comunicazione italo-cinese si possono notare evidenti differenze tra la gestualità italiana e le sue tipiche espressioni facciali, mediamente più ampie ed evidenti, e quelle cinesi, più contenute.

Il contatto fisico

Oltre ai movimenti del corpo e del viso, un altro elemento molto importante della comunicazione non verbale è il contatto fisico. L’intimità del contatto fisico è in genere preclusa a molte culture e relegata a contesti molto limitati quali la stretta di mano, e va usato con attenzione. 

Mentre alcuni standard occidentali di contatto fisico si diffondono nell’intera comunità di business, come la stretta di mano, ma ogni cultura esprime un diverso grado di contatto nei saluti e nelle interazioni fisiche.  In generale, qualora non sia possibile raccogliere informazioni accurate da esperti della cultura locale, è preferibile limitare il contatto fisico per non generare un senso di invasività. 

In generale, la D2 parla anche del grado di intimità che due persone possono avere tra di loro. Il nostro modo di comunicare, dalla parola al tocco sino a interi brani di non verbale hanno a che fare con la distanza emotiva e persino con la distanza o vicinanza spirituale delle persone. Esiste quindi quella che possiamo chiamare una “prossemica emozionale” (studio delle distanze di valori sul piano emotivo) e una “prossemica spirituale” (studio delle distanze di valori sul piano spirituale).  

Gli intenti di chi comunica sono altrettanto forti, e collegano la D2 (codici comunicativi) alla D1 (ruolo che voglio giocare nella relazione). Esiste un driver, una pulsione in ognuno di noi: il desiderio di avere una comunicazione autentica e di comprenderci reciprocamente. Ma, anche se c’è la volontà di comprendersi, bisogna fare i conti con il problema tecnico del comunicare, ed essere consapevoli che non sempre c’è la possibilità di comprendersi davvero a fondo.

L’uso dello spazio nella comunicazione

Ogni cultura ha regole non scritte per delimitare i confini di accettabilità delle distanze interpersonali e delle disposizioni delle persone. 

Anche in questo caso, vale il principio di ricorrere alla conoscenza di esperti della cultura locale, mentre una regola valida in caso di mancata conoscenza è quella di lasciare che sia la controparte a definire il proprio grado di distanza, senza forzare né un avvicinamento né un allontanamento. 

La consapevolezza principale da sviluppare è quella della “distanza critica”, che definisce la distanza interpersonale entro la quale un soggetto si sente vulnerabile, esposto ai rischi di un’aggressione.  La distanza personale viene infatti definita da Hall come “una bolla invisibile che circonda l’organismo”.

Al di là delle regole intra-culturali, alcuni atteggiamenti relativi alle distanze sono trasversali alle culture perché ancorati alla radice animale umana. Per esempio “lasciare il posto”, dare spazio a qualcuno, è uno strumento per assegnare status, riconoscere l’importanza dell’interlocutore, e comunicare rispetto.   

Per il comunicatore consapevole, non è da intendere come pura sottomissione, ma può assumere anche la funzione di mossa tattica, atto di cortesia relazionale che precede il confronto negoziale vero e proprio. Far stare scomodi, al contrario, serve per stabilire forti distanze.  

Alcuni comunicatori usano tattiche specificamente volte a turbare l’equilibrio emotivo del soggetto (logoramento emotivo). In questo modo si crea dissonanza interna, e quando si è in dissonanza interna, si è più deboli nella comunicazione e la comunicazione personale si fa più scomposta.  

La tattica adeguata è quella di esigere un grado di comfort superiore, ma solo se si ha la quasi matematica certezza che una specifica mossa di avversità sia in corso, e quelle non siano le reali condizioni massime di accoglienza che il soggetto è in grado di offrire. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: