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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Libertà dalle idealizzazioni tossiche

Lo scopo della vita è ricevere conoscenza, rielaborarla e trasmetterla

Ripulirsi da idee tossiche, da immagini mentali che ti inquinano, libera la tua mente.

Daniele Trevisani

Siamo aggregati di cellule che ricevono informazioni, le rielaborano, e le trasmettono. Terabite di informazioni al secondo ci circolano dentro e ne verremmo sovrastati. 

I nostri meccanismi mentali hanno bisogno di scorciatoie. Una delle più forti è la strategia di “idealizzazione”, basata sul potere delle immagini mentali. 

È sufficiente chiedere ad una ragazza sovrappeso “è così che vuoi diventare?” mostrandole il fisico di una modella, “lo vuoi davvero, con tutte le tue forze?” e se la risposta è si, quella idealizzazione diventerà l’immagine guida per un intero programma. 

Ma se, poniamo, quell’immagine è sbagliata, non mostra una ragazza atletica e sana, ma ad esempio mostriamo una modella anoressica, stiamo producendo morte, non utilità.

Puntare ad essere “come quella modella” (che è anoressica e malata) o come la Barbie, o come il culturista più grosso del mondo (che morirà assolutamente con certezza di overdose di steroidi, vedi il caso di Rich Piana) non è idealizzazione sana.

Lo stesso vale per il “Manager con la Ferrari” (comprata a rate o con che soldi e guadagnati con quale meritocrazia di fondo?)

Ho incontrato personalmente, nella mia vita, casi di ragazzi giovani in fase di counseling universitario, che venivano attratti dall’idea di abbandonare gli studi dopo avere fatto qualche settimana di lavoro per aziende di network marketing, corsi di lettura veloce, successo rapido, e altre porcherie, e il ragazzo nello specifico diceva “ma il mio capo ha solo 26 anni e arriva in Porsche”. 

Capirete da soli quanta distorsione ci sia nei “metri di misurazione”. 

Forse anzi molto probabilmente, quella Porsche nasconde tanti di quei cadaveri nell’armadio, che se potesse parlare andrebbe a costituirsi da sola in commissariato. 

  • Se vuoi essere come “quello figo che ha la Porsche e non si è neanche laureato” stai facendo una idealizzazione tossica,
  • il superbodybuilder (non parlo di atleti veri del bodybuilding che esistono e sono rispettabilissimi, ma di fogne per steroidi) è una falsità ideologica, 
  • la Barbie vivente, la modella anoressica, sono una falsità ideologica, 
  • il dirigente/manager che non sbaglia mai e tratta tutti male, oltre che essere un idiota, è un falso ideologico.

Queste immagini false che rischi di prendere come verità che guidano la tua vita, si chiamano “idealizzazioni tossiche”. 

Trovare modelli e riferimenti positivi, invece, è arte e tecnica fondamentali. Figure che riescono a dare contributi utili, figure autentiche, persone che sono “possibili” e non modelli impossibili, utili solo a castrare e frustrare nella loro impossibilità di essere raggiunti. E che se raggiunti, portano alla distruzione della tua vita.

I modelli di riferimento e le idealizzazioni “buone” aumentano la tua libertà, non la riducono. Aumentano la tua cultura, aumentano la tua consapevolezza, la tua spiritualità, la tua libertà intellettuale.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il titolo della campagna di comunicazione

il titolo della campagna di comunicazione

Il titolo del progetto è la sua icona. Deve esprimere la mission della campagna di comunicazione. Deve veicolarne il senso globale.

Deve essere comprensibile ai membri dell’organizzazione e deve veicolare esso stesso un messaggio chiaro. 

È possibile utilizzare un modello che prevede il titolo principale (sintetico) ed il sottotitolo (più descrittivo).

Esempio di titolo :

Vendita Consulenziale (titolo principale) : modificazione degli stili di vendita per l’introduzione dell’approccio centrato sul cliente (sottotitolo)

In particolare l’esempio espone il titolo di un progetto di comunicazione nel quale un’industria crea un progetto di ricerca-azione per modificare il comportamento della propria rete di vendita. 

L’obiettivo è di introdurre un nuovo modo di vendere e di comunicare maggiormente basato sull’ascolto del cliente e in generale sul “target” da attivare.

ascolto

“Comunicare” non aggiunge nulla a ciò che sia già noto a tutti.

Il titolo corretto introduce già l’intenzione di base del progetto e chiarifica la mission della campagna.

Dobbiamo immaginare ogni campagna di comunicazione come un progetto di ricerca, i cui contenuti ed obiettivi siano facilmente comprensibili già partendo dalla lettura del titolo.

Potranno essere anche adottate sigle, abbreviazioni, acronimi, ma il titolo della campagna non deve essere trascurato.

Esempio di titolo giusto :

Soci Attivi: coinvolgimento dei Soci per l’introduzione di sistemi di network marketing

In questo caso trattiamo una campagna di comunicazione che intende modificare i comportamenti dei soci di una cooperativa di consumatori, utilizzando il valore del socio come promotore e opinion leader presso la propria rete di conoscenze.

Esempio di titolo sbagliato:

Altro Consumo Socio-Consapevole

Il titolo “altro consumo socio-consapevole” è un esercizio di pavoneggiamento intellettual-chic, non chiarifica in alcun modo le intenzioni del progetto.

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I punti chiave che determinano il successo di una campagna

relation

Le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia
Seth Godin

Esponiamo di seguito la struttura di una campagna di comunicazione utilizzabile per un approccio organizzato al Communication Planning.

  1. Titolo: una buona campagna deve avere un titolo, una sigla o acronimo che permetta di identificarla. Dare un titolo significativo è uno dei primi e più trascurati problemi di management comunicativo
  2. Problem Setting,  Situation Analysis – Mission e Obiettivi (P.S.M.): Ogni campagna deve agire su problemi o obiettivi, è quindi necessario passare da definizioni vaghe o imprecise ad una esatta definizione del problema che genera il bisogno di fare una campagna o attività
  3. Team di progetto: Definire il Project Leader, i membri del team, i loro confini di ruolo, il loro motivo di inclusione nella campagna e le attese nei loro riguardi
  4. Partners: quali enti o associazioni o aziende coinvolgere, chi può collaborare e portare contributi? Come incoraggiare e motivare i partners? 
  5. Target Audience Primarie: quali sono i destinatari principali? Se si tratta di una campagna di comunicazione, a chi vogliamo comunicare, per ottenere o cambiare cosa?
  6. Target Audience Secondarie: a chi altri è necessario comunicare per rinforzare il risultato o renderlo possibile. Esistono influenzatori e opinion leaders che dovremmo “toccare”?
  7. Communication Goals: passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goals richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.
  8. Message Strategy, “Narrative Strategy”, “Storytelling” (“Battle for the Narratives”): La strategia del messaggio si pone il problema di quale sia la stimolazione adeguata, quali messaggi inviare e perché. Quale “storia” si sta veicolando? Contro quale storia alternativa stiamo combattendo? Es., la “storia” che ci vuole azienda locale che deve limitarsi ai piccoli clienti locali vs. la storia di un’azienda artigiana di lusso in grado di servire ogni cliente nel mondo? La storia che siamo una multinazionale cattiva che fa del male al mondo o la storia che siamo un’azienda che studia prodotti che possono cambiarlo questo mondo? Esistono poi le auto-storie, le auto-rappresentazioni: come ti vedi, come vedi te stesso, e come questo incide su quanto racconti, su come comunichi? E come cambiare in meglio? Ogni comunicazione ha dietro di se una storia ed è sempre in corso una “battaglia” per quale storia avrà il sopravvento. Di questa storia, di questo messaggio, chi ne sono i protagonisti? Problemi concreti diventano: quale stile di comunicazione utilizzare (es: ironico, poetico, manageriale, informativo, emotivo…), quali argomentazioni, quali informazioni inserire, come organizzare le parti del messaggio, il timeline della comunicazione, e quindi il tipo e struttura del messaggio. Far uscire la “storia” giusta significa fare una buona pianificazione della psicologia del messaggio, base di ogni risultato.
  9. Channel Strategy – per far sì che il messaggio arrivi è necessario ricorrere a canali comunicativi, siano essi persone, mass media o canali social, direct marketing, mailing, fiere, eventi, convegni, incontri fisici, o elettronici e online, videoconferenze e ogni altro media che emergerà in futuro, senza mai dimenticare il media più antico, l’incontro umano (tecnicamente chiamato Key Leader Engagement quando applicato alla comunicazione persuasiva). È necessario quindi fissare i canali comunicativi da utilizzare, media primari e secondari, e il media-mix. La strategia dei media deve essere “command driven” (seguire una linea strategica impostata), e utilizzare una “matrice di sincronizzazione” (Synchronization Matrix) in cui tutti i mezzi di comunicazione, di informazione, di delivery (consegna di messaggi), e di contatto umano, vengano compresi e sincronizzati. Sincronizzare le attività comunicative e tutti i media elettronici e umani è di assoluta necessità, perché ogni azione ha bisogno delle azioni di supporto che la accompagnano in un esatto, preciso momento del tempo. Ogni campagna ha bisogno di sostegno, e come in un cantiere, quando manca sostegno, o non c’è sincronizzazione tra le azioni degli operai in azione, l’impalcatura cade.
  10. Sistema di valutazione. Per capire se la campagna ha funzionato è necessario poter misurare, far riferimento ai goals prima definiti. Ricavare feedback permette anche di tarare in corso d’opera, per quanto possibile, i temi e messaggi, i canali e i veicoli comunicativi. La difficoltà nel valutare la comunicazione consiste soprattutto nel misurare sia i risultati tangibili che quelli intangibili ma comunque accaduti. La Activation Research misura quanti clienti o altri soggetti sono stati “attivati” e da quale canale. Questo permette di valutare l’efficacia dei vari canali e iniziative utilizzate e ottimizzare le campagne per il futuro.
  11. Project Management. Una campagna mette sul campo una serie di risorse, uomini e mezzi, investimenti, impegni, che devono essere coordinati dall’alto e seguiti. Il project management definisce fasi, tempi e responsabilità, all’interno di una matrice di coordinazione (Coordination Matrix).
  12. Budgeting – per una campagna servono risorse, e quindi è necessario avere una stima adeguata dei costi di tutte le operazioni e delle risorse per le diverse fasi, capire quali saranno le fonti di finanziamento e assicurarsi che la campagna non si interrompa sprecando tutte le azioni precedenti.
idea

Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica.

Thomas A. Edison

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Dal ricambio cellulare al ricambio delle idee

Ogni corpo cambia, in ogni istante. Miliardi di cellule muoiono, altre nascono, ogni secondo. Ogni persona, ogni team, ogni impresa, vive un processo evolutivo, in cui possono accadere momenti di stasi, momenti di accelerazione positiva, momenti di regressione negativa e chiusura. Ma anche, momenti sacri, di ri-centraggio, di ri-allineamento con gli scopi più veri e profondi della vita e con un senso di nuovo splendore.

Il ricambio cellulare è reso possibile dalla “apoptosi”, termine coniato da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie[1] a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori. È una forma di morte programmata delle cellule, che l’organismo rimpiazza con cellule nuove. Permette un ricambio, e permette un rinnovamento e la vita. 

L’apoptosi o morte cellulare è un fenomeno fisiologico che comporta la degenerazione della cellula a conclusione del suo ciclo vitale.[2]

L’idea stessa che una cosa non duri per sempre ma abbia un suo ciclo vitale è fondamentale per il coaching, il counseling, e il cambiamento. Se non accettiamo questo, ci attaccheremo a idee vecchie e modi di essere passati, come un lupo imprigionato potrebbe attaccarsi al suo recinto invece di correre nel bosco.

  • Qual è il ciclo vitale delle tue idee dominanti? Proviamo a cercare di individuarlo? Partiamo dalle prime…
  • Quale è stata la tua idea dominante da bambino? In cosa credevi, in cosa ti identificavi, cosa contava per te?
  • Quale nell’adolescenza?
  • Quale da adulto e in qualsiasi fase tu sia ora?
  • Quale idea dominante ti farebbe bene o ti piacerebbe assimilare per il futuro senza che sia lei ad assimilare te?

Nel metodo HPM, specifici esercizi sono nati, a livello fisico, per accelerare l’apoptosi soprattutto a livello muscolare e degli organi interni, esercizi fisici che letteralmente portano ad un “rinnovamento” del corpo. In un coaching olistico, questi esercizi sono fondamentali.

Il termine viene dalla biologia, ma possiamo chiederci se non sia utile anche per il training mentale. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema

Purtroppo per noi, non abbiamo lo stesso meccanismo a livello mentale. Le nostre idee si “bloccano” e si fissano in alcuni casi indissolubilmente, finché un trauma o un bravo coach, terapeuta o Counselor riesce a farle venir fuori, mettercele in mano, e farcele “vedere”.

Il ruolo del coaching e del counseling è nobile: indirizzare il passaggio da energie racchiuse ad energie espresse, da potenzialità latenti a potenzialità che cercano itinerari di espressione, da blocco mentale a fluidità delle idee. Da corpi che sono sì e no gusci rattrappiti, a corpi “abilitanti”, enabling bodies: corpi che ti permettono di fare ciò che vuoi, corpi che non ti dicono di no, corpi che ti aiutano, corpi dotati di energia, il corpo che ti serve per i tuoi progetti, fino ad un abitare il corpo con passione e sentimento.

Nessuna idea sarà mai trasformabile in progetto reale se il corpo che abitiamo non ci aiuta, per cui il primato del corpo è definitivo. 

Dal corpo bisogna partire e al corpo bisogna arrivare, sempre. E lo stesso vale per i nostri pensieri più radicati “ereditati” dalla nostra cultura: se non ci confrontiamo con essi, a fondo, definitivamente, saranno sempre loro a dirigere noi.

Una condizione di blocco, di rigidità fisica e cognitiva, non è in genere positiva, mentre la plasticità, la flessibilità mentale e fisica, la capacità di mutare, di nutrirsi di nuovo cibo per la mente, favorisce l’adattamento all’ambiente. 

Non si tratta di rinunciare ai propri valori di fondo o lasciarli fluttuare come bandiere al vento, ma di accettare il senso stesso che nella rigidità assoluta non è possibile alcun cambiamento in positivo.


[1] Kerr JF, Wyllie AH, Currie AR, Apoptosis: a basic biological phenomenon with wide-ranging implications in tissue kinetics, in Br J Cancer., vol. 26, nº 4, agosto 1972.

[2] Microsoft® Encarta® 2009. © 1993-2008 Microsoft Corporation. Voce “apoptosi”

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Perché le campagne di comunicazione funzionano meglio delle attività di comunicazione generiche

Esistono diversi motivi per i quali le campagne di comunicazione sono più produttive rispetto alla comunicazione costante, non disaggregata in obiettivi tematici.

Li esponiamo tramite un principio-guida:

Principio della precisione e misurabilità dei risultati comunicativi

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • Definire un obiettivo della campagna comunicativa preciso e misurabile, rendicontabile in ogni singola azione, mentre un flusso di comunicazione aziendale indistinto non lo è.
  • Definire in una campagna comunicativa precisi confini geo-merceologici, temporali, e goals precisi, un programma permanente non ha confini e goals quantificabili o questi sono molto labili, sfumati e sfuggenti.
  • Definire per ogni campagna un responsabile e delle scadenze, mentre un programma permanente segue il corso degli eventi e spesso fugge da responsabilità e scadenze.
  • Empowerment di un leader di campagna. Nelle comunicazioni non strutturate, nessuno paga se si sbaglia (o è molto più facile assegnare colpe al mercato, alla concorrenza, e a chiunque capiti in giro per l’azienda), mentre le campagne hanno responsabili che devono ottimizzare le risorse e rendicontare i risultati, con impegni personali rintracciabili (concetto di “Accountability”).

Applicazioni sul fronte della vendita

sales

Una campagna di vendita è definibile come una sequenza di azioni strutturate che ruotano attorno ad uno specifico obiettivo di vendita, delimitate da un preciso arco temporale.

Possiamo distinguere in particolare diverse tipologie di campagne di comunicazione :

  • Centrate sul cliente : ricercano mix di soluzioni (sales mix) partendo dalle esigenze del cliente
  • Centrate sul prodotto : ricercano il raggiungimento di un goal di vendita andando alla ricerche di chi possa acquistare

L’interna azione commerciale annuale può trarre beneficio dalla gestione tramite campagne centrate sul cliente.

La gestione delle campagne centrata sul cliente risulta più positiva rispetto all’applicazione coerente di modelli di vendita consulenziale.

Esempi per un’azienda bancaria

Campagne centrate sul prodotto

Problema: come vendere il seguente prodotto?

Elenco di alcuni possibili prodotti da promuovere

  • leasing
  • carte di debito ricaricabili
  • internet banking
  • polizze vita, pensione integrativa.

Campagne centrate sul cliente

Problema: come soddisfare i seguenti clienti (traendone ricavi e profitto)

Elenco di alcuni possibili target

  • Membri forze dell’ordine
  • Sportivi 
  • Pensionati 
  • Liberi professionisti
  • Artigiani autonomi
  • Casalinghe
  • Studenti universitari
  • Strutture del turismo e ricettività

Per ciascuno di questi target, usati come esempio, si possono sviluppare specifiche campagne.

market

La strutturazione della comunicazione ottimale richiede il passaggio dalla concezione di prodotto (“svuotare i magazzini”) alla concezione centrata sul cliente (costruire relazioni).

Ricerca e valutazione: gli strumenti per produrre campagne comunicative di qualità ed impatto

La campagna di comunicazione utilizza alcuni strumenti che la distinguono dai programmi generalizzati: 

  1. La ricerca diagnostica (a priori) 
  2. La ricerca di processo o monitoraggio (durante)
  3. La ricerca valutativa (a posteriori).

L’utilizzo della ricerca diagnostica (Research-Based Communication) permette di identificare scientificamente le problematiche di marketing e gli obiettivi strategici sui quali agire tramite la leva comunicativa, limitando l’uso della sola intuizione o altre metodologie non scientifiche, ma basandosi su dati.

Utilizzare la ricerca di processo (Communication Process Research) significa monitorare l’evoluzione della campagna, verificare gli scostamenti dai tempi e dagli obiettivi, controllare che l’operato delle risorse umane sia corretto. 

Essa consente di mantenere il focus manageriale sul processo di comunicazione, evitando che i progetti scadano di qualità ed attenzione.

Praticare ricerca valutativa (Communication Campaign Evaluation) significa invece misurare gli effetti di una campagna, durante e dopo l’emissione dei messaggi. 

Riassumendo.

La ricerca diagnostica condotta a priori ha lo scopo di (1) analizzare i bisogni e gli scenari, e (2) testare l’efficacia dei messaggi su piccoli campioni prima che essi vengano emessi definitivamente verso tutto il target. 

La ricerca di processo svolta durante la campagna ha lo scopo di verificare che il processo comunicativo segua le linee guida fissate per la campagna, controllando che tutto si svolga secondo i piani, o per ridefinirli in progress.

La ricerca valutativa a posteriori ha lo scopo di misurare gli effetti tangibili e intangibili, positivi o negativi, che la campagna ha prodotto.

testing

Li esponiamo tramite un principio-guida:

Principio Communication Design Efficace

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • definizione di macro-obiettivi manageriali e di marketing da raggiungere tramite la comunicazione;
  • analisi dei target e valutazione dei bisogni comunicativi;
  • definizione dei micro-obiettivi e goals;
  • produzione di messaggi (persuasivi o informativi) utilizzando criteri scientifici;
  • definire quale “storia” o “narrazione” vogliamo far passare e metterla alla base dei messaggi, capire quale sia la “Battle of the Narratives” in corso (quale storia vincerà, quale passerà, quale no, e con quali altre “storie” siamo in concorrenza psicologica sul campo)
  • valutazione sul campo della qualità dei messaggi che andremo ad emettere, prima che essi vengano diffusi (pre-testing);
  • planning sistematico dei canali comunicativi e degli eventi correlati;
  • assegnazione di risorse umane capaci e motivate;
  • ricerca dei fornitori per le attività da svolgere in outsourcing (fornitori quali grafici, programmazione web, scrittura, voce, eventi, montaggio, audio, video, PR, e qualsiasi altra esigenza si manifesti);
  • valutazione continua e monitoraggio del buon funzionamento del processo;
  • valutazione a posteriori sui risultati ottenuti, tangibili e intangibili (post-testing);
  • remunerazioni e benefits legate ai risultati prodotti dai membri del team incluso il responsabile della campagna.

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Centrare i bisogni psicologici del target

Ci sono persone che comprano un fuoristrada anche se viaggiano solo su strade asfaltate. Ve ne sono altre che comprano grandi berline ma fanno 100 km al mese. Altri ancora esigono di avere il modello più ecologico esistente sul mercato, al di la di ogni altra considerazione, o a costo di sacrifici.

Evidentemente, dobbiamo pensare che la mente razionale non abbia sempre il sopravvento, ma la mente emozionale suggerisca bisogni diversi, che vengono poi coperti da una “coltre” di raziocinio.

Centrare i bisogni profondi, che muovono veramente le persone, è un tema della comunicazione strategica.

Siamo animali evoluti, con bisogni speciali, ma la nostra natura animale non va dimenticata.

La psicologia degli esseri umani è parte della psicologia degli animali in generale. 

Gareth Matthews

I bisogni nascosti, quelli non detti apertamente, quelli che pulsano ma non si vedono, dettano il successo di una campagna di comunicazione strategica.

Lo psicologo svizzero Carl Jung ha individuato alcuni di questi bisogni umani, e questi diventano per noi “temi narrativi”, ovvero, temi “sovraordinati”, strutture superiori al singolo messaggio, ancoraggi a cui ogni messaggio deve connettersi e rispettare.

Jung ha identificato quattro motivazioni fondamentali ed universali in cui le persone si possono identificare: 

  • Il bisogno di sicurezza, che ci spinge a cercare la struttura e la stabilità. 
  • La necessità di auto-realizzazione, che ci spinge a cercare la conoscenza e l’avventura. 
  • La necessità di autostima, che ci spinge a cercare una migliore performance e la padronanza delle cose. 
  • Il bisogno di appartenenza, che ci fa sentire il bisogno di sentirsi attraenti, essere apprezzati, in armonia con gli altri.

In qualsiasi momento della vita, un certo bisogno “pulsa” più di un’altro, lo sentiamo, e riempie di senso la nostra ricerca e le nostre giornate.

 “L’uomo può realizzare delle cose stupefacenti se queste hanno un senso per lui.”

Carl Gustav Jung

Centrare i bisogni di un target e collegarli al nostro messaggio strategico è una scienza.

Quali bisogni di base vogliamo mettere come ancoraggio per la nostra comunicazione strategica? Su quali il target è sensibile e agirà? Che guadagno ne trae il target audience rispetto alla sua area di bisogni?

Collegamento tra bisogni e “archetipi”, le strutture primordiali cui le persone desiderano appartenere

Ognuno di noi dentro di sè ha un’anima che si “agita” per essere qualcosa, per diventare qualcosa, per poter dire “io sono questo”.

Gli archetipi si aggirano nell’ombra e spesso non siamo consapevoli di quali archetipi ci guidano. Pertanto, ogni comunicatore, deve prima di tutto fare i conti con se stesso, con chi veramente è.

“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri.”

Carl Gustav Jung

Questo vale ovviamente anche per il conoscere le proprie bellezze, le proprie luci, le proprie aree che splendono e vogliono esprimersi

Se un messaggio, un prodotto, o un marchio (brand) riescono ad avvicinarsi e persino interpretare, diventare protagonisti dell’espressione di questo bisogno, saranno persuasivi oltre ogni limite.

harley

Un vero Harleysta (proprietario di una moto Harley Davidson, frequentatore di raduni e “credente” del marchio) vede nel suo essere alcuni tratti distintivi: potere, esplorazione, essere diversi dai mediocri, un tocco di attrattività, aiutata da tatuaggi e abbigliamento di pelle, e tanta fratellanza. A questo “codice d’onore” si collega semanticamente una grande bevuta di birra (e non poca o birra analcolica), o uno scarico speciale, una gomma posteriore maggiorata, e un messaggio come “vivi la tua strada” o altri inni di libertà fuori dalle regole.

Ma vediamo un altro esempio

I guerrieri Pashtun nel sud dell’Afghanistan hanno un proprio codice d’onore (Pashtunwali). Pashtunwali (in pashto: پښتونوالی), è un codice consuetudinario ed etico non scritto nonché stile di vita tradizionale che segue il popolo Pashtun indigeno.

Comprende il dovere di essere coraggiosi guerrieri e sfidare i più forti di loro. Per cui, se qualcuno dicesse loro, “arrendetevi, siamo più di voi e meglio armati”, farebbe un grande regalo al loro archetipo, che di questi messaggi si nutre. E invece di arrendersi, il Pashtun combatterebbe con ancora più coraggio.

Il Pashtunwali è un codice d’onore, un codice comportamentale non scritto, e comunicare ai Pashtun senza conoscerlo è come offrire una grigliata ad un vegetariano, il messaggio potrebbe persino diventare offesa.

Quindi, la domanda è: quale codice comportamentale attiva il tuo target?

A che archetipo si ispira il tuo target?

Sulla base dei diversi bisogni, si configurano specifici modi di essere, chiamati archetipi.

L’archetipo è un’immagine mentale, una sorta di prototipo universale per i modi di essere, attraverso il quale l’individuo interpreta la realtà, percepisce e crea i propri bisogni.

Nel linguaggio degli archetipi, questi sono i tipi principali:

  • Ruler. Il guidatore, il leader. si nutre di potere e autorità
  • Creator. Il Creatore: si nutre di novità e creatività
  • Innocent. L’innocente: si nutre di purezza, rinnovamento
  • Sage: il saggio. Si nutre di intelletto e curiosità
  • Explorer. L’esploratore. Si nutre di avventura ed esplorazione
  • Magician. Il mago. Si nutre di trasformazioni e sviluppo di sè
  • Rebel. Il ribelle. Si nutre di sfida all’autorità e alle convenzioni
  • Hero. Eroe. Si nutre di coraggio, sfida e determinazione
  • Lover. L’amante si nutre di attrazione e sensualità
  • Jester. Il Folle. Si nutre di divertimento e spontaneità
  • Regular guy/gal: il ragazzo/a per bene, a volte individuato anche come l’Orfano. Si nutre di affidabilità e lealtà
  • Caregiver. L’aiutante si nutre del portare cura, sollievo, aiuto.
archetipi

Gli archetipi rappresentano anche una modalità per inquadrare un target di comunicazione, o la percezione di un marchio. 

Ogni marchio o “brand” si radica in uno o più di questi archetipi dominanti. Ogni marchio oltretutto subisce variazioni di percezione che lo associano all’interno di questa mappa di archetipi.[1]

La comunicazione strategica consiste proprio nell’associare la propria idea, la propria iniziativa, o il proprio marchio, in una zona specifica della mappa degli archetipi

“Il sogno dei vostri clienti è una vita migliore e più felice. Non muovere prodotti, arricchisci le loro vite”. 

“Your customers dream of a happier and better life. Don’t move products. Enrich lives“.

Steve Jobs


[1]

Margaret Mark, Carol Pearson (2001)). The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes. McGraw Hill

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La strategia di comunicazione

Una strategia di comunicazione efficace richiede attenzione a diversi elementi.

Esponiamo alcuni dei passaggi e nodi critici:

  1. Identificazione del target – pubblico obiettivo (target di marketing e target di comunicazione). Da chi voglio ottenere qualcosa?
  2. Determinazione degli obiettivi di comunicazione: è necessario identificare con precisione la risposta che si vuole ottenere dal pubblico. Cosa vogliamo ottenere? Dobbiamo chiarire cosa intendiamo produrre.
  3. Definizione del messaggio e del tema narrativo, attraverso la risoluzione di quattro problemi: 
    1. che cosa dire – contenuto: quale “storia” vogliamo raccontare?;
    1. come esprimerlo in modo logico, comprensibile e persuasivo – struttura dei messaggi;
    1. come comunicare a livello simbolico – formato simbolico ed emotivo, stile comunicativo adatto (es, poetico, ingegneristico, umanista, pragmatico, e altri); quali temi e simboli possono rappresentare la campagna?
    1. chi dovrà emetterlo – fonte.
  4. Scelta dei canali di comunicazione, definizione del mix adeguato tra:
    1. canali personali, vendita, esperti o opinion leader, canali umani;
    1. canali non personali, pubblicità, propaganda, pubbliche relazioni, web, social media, e altri.
  5. Gestione e coordinamento del personale e risorse attive nel processo di comunicazione (people management, project management).
  6. Definizione dello stanziamento totale, in base a: budget disponibile o residuale, percentuale sulle vendite; obiettivo da raggiungere.
  7. Misurazione dei risultati: occorre procedere ad accurate verifiche per analizzare se il messaggio sia stato colto e ricordato, come viene valutato, quali modificazioni conoscitive e/o comportamentali si sono verificate nell’atteggiamento verso il prodotto o l’impresa (o altro goal di campagna, qualsiasi essi siano).
la strategia di comunicazione

Communication Planning: programmare campagne marketing “centrate sul cliente”

Uno degli errori più gravi della comunicazione aziendale consiste nell’emettere messaggi incessantemente, realizzando flussi comunicativi disorganizzati, che perdono un senso dell’insieme e del risultato finale da ottenere. 

La quantità e il volume di fuoco prendono il posto dell’obiettivo da raggiungere. I “cannoni comunicativi” sparano a raffica, ma nel vuoto.

La comunicazione che procede senza l’utilizzo di campagne comunicative o di marketing è poco “centrata sul cliente”.

Il messaggio non incontra per niente il vissuto personale, i bisogni del cliente e la sfera di interessi dell’individuo.

Il tipico modo di dire “non mi tocca” è molto esplicito e chiaro per descrivere un messaggio che non incontra per niente il vissuto personale del cliente e la sfera di interessi dell’individuo : uno dei fattori più rilevanti è il grado di centratura della comunicazione sui bisogni del cliente

Al contrario, la campagna consente una focalizzazione maggiore sia sul messaggio che sul processo, un planning che si traduce in risultati superiori.

Il passaggio più significativo verso la qualità della comunicazione consiste nel trasformare una massa indistinta di messaggi (poniamo, quelli emessi durante un anno lavorativo) in una sequenza “campagne di comunicazione” orientate a risultati circoscritti, limitati, focalizzati. 

Il termine “campagna” nella sua accezione generale significa infatti “una serie di operazioni costruite attorno ad un particolare risultato”.

Una campagna di comunicazione o di pubbliche relazioni è uno sforzo organizzato per costruire relazioni e ottenere goals (basati sulla ricerca) attraverso l’applicazione di strategie comunicative e la misurazione dei risultati ottenuti[2].

Se non riesci a colpire il bersaglio non è mai colpa del bersaglio.

Anonimo

Una campagna di comunicazione o campagna commerciale ha il pregio di avere obiettivi e goals misurabili, scadenze e responsabilità precise, e, finalmente, “confini” delimitati.

strategia di comunicazione

Un’ulteriore caratteristica fondamentale del Communication Campaign Planning proviene dal basare la comunicazione sulla ricerca e non sull’improvvisazione.

Questa cultura comunicativa costringe l’organizzazione a dare alla comunicazione un approccio strutturato indispensabile per l’efficienza e per i risultati. Essa forza l’azienda ad adottare un metodo manageriale per comunicare, sostituendosi all’approccio approssimativo che caratterizza la comunicazione in molte culture organizzative.

Dal punto di vista aziendale, quindi, la gestione della comunicazione tramite campagne costituisce (oltre al risultato che produce sulle vendite) una vera e propria cura organizzativa.

Facendo alcuni esempi specifici:

Per un’impresa di servizi formativi (un centro di formazione manageriale, o un centro di formazione professionale), produrre una campagna di acquisizione clienti denominata “Progetto Engagement Direttori Risorse Umane Nord-Est” nel primo semestre, mentre per il secondo semestre un “Progetto Formazione Responsabili Qualità Aziende Chimiche” (proseguendo “per campagne” in funzione delle risorse presenti).

Per un’azienda di allestimenti fieristici: disaggregare il proprio operato commerciale in “Campagna acquisitiva aziende tessili Veneto” per il funzionario commerciale A, e “Campagna fidelizzativa clienti direzionali settore meccanico” per il funzionario B.

Per lo sviluppo del mercato, l’approccio Communication Campaign Planning richiede il passaggio da un’indistinta “Attività di comunicazione per l’anno xxx”, ad una serie di specifiche campagne settoriali, in cui identifichiamo chiari target e precisi obiettivi, limitati nel tempo e nello spazio, focalizzati, ed estremamente precisi e misurabili. E sopratttto, con responsabili chiari ed “empowered” ad agire con ogni mezzo, e a decidere.

La campagna non è un  metodo democratico, ma strategico.

Dove sono troppi a comandare, nasce la confusione. 

(Luigi Einaudi)

Il fatto che le attività coincidano con l’anno solare non ha alcuna importanza, anzi, non conta.

Il budget per la comunicazione trae un beneficio enorme di efficienza, soprattutto nelle PMI, nel passaggio da una comunicazione indistinta a campagne di comunicazione mirata. 

A parità di risorse i risultati ottenuti tramite Campaign Planning sono stati notati incrementi sino al doppio di risultato, in buona parte grazie allo sforzo di focalizzazione (focusing e ”narrowing down”) che il pensiero strategico di campagna richiede al management, per poi trasmettersi ai funzionari e professionisti impegnati sui progetti.

focus

L’approccio Communication Campaign Planning richiede un netto cambiamento di mentalità, e diventa anche un grande training manageriale sulla comunicazione: passare dalla concezione di comunicazione come attività destrutturata e secondaria, a quello della comunicazione come leva primaria dello sviluppo aziendale, che come tale richiede organizzazione, impegno, focalizzazione e volontà.

[1] Trevisani, Daniele (2003), Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica, Franco Angeli editore, Milano.

[2] Vedi per un esame approfondito degli strumenti di “campagna” il trattato di Kendall, R. (1992). Public Relations Campaign Strategies: Planning for Implementation. Harper Collins Publisher, New York.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online


© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Campagne di comunicazione strategica

Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione).

Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”. E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

comunicazione strategica

Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”.

Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

“Nulla può impedire all’uomo con il giusto atteggiamento mentale di raggiungere il proprio obiettivo; nulla sulla terra può aiutare l’uomo con l’atteggiamento mentale sbagliato.”

Thomas Jefferson

La comunicazione strategica ne utilizza le logiche,  spostando il tiro su obiettivi tangibili e intangibili importanti, come lo sviluppo di un marchio, la conquista di notorietà, portare avanti un valore, o concetto, trovare consenso, o sviluppo nelle vendite. 

Lo scopo è ottenere comportamenti sociali da parte di pubblici-obiettivo (i target-audience della campagna). Che si tratti di una campagna contro il fumo o per il rispetto della meritocrazia, o vendere l’immagine dell’Italia nel mondo, o un integratore alimentare, si tratta di mettere in moto azioni che producano effetti reali.

Una campagna, consiste nell’applicazione di un insieme di molteplici azioni comunicative, azioni che non devono “viaggiare” in modo confuso, ma essere convergenti e strutturate verso uno scopo.

Per fare una buona campagna, serve una buona “regia”. Un comando strategico. Una visione di cosa ottenere.

E noi cosa vogliamo ottenere? Senza saper rispondere a questa domanda basilare, non avremo la possibilità di iniziare né di arrivare a niente. 

Per cui, il lavoro di “focusing” – la focalizzazione sul ”cosa”, sul “quando”, sul “dove” e sul “perché” , è estremamente preziosa e farà luce tra veri risultati e falsi risultati.

Ciò che determina il successo di una campagna non è tanto il “volume di fuoco” dei messaggi ma la precisione chirurgica, la perfetta identificazione dei target, e la qualità dei messaggi. E quando parte di questi messaggi arrivano via contatti personali, anche la qualità delle persone fa la differenza.

Nelle campagne, le azioni devono organizzate strategicamente per avvicinarsi a specifici obiettivi.

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • Fissare “End-States”, punti di destinazione strategica (principio di inquadramento di obiettivi chiari o Focusing);
  • Agire tramite “campagne di comunicazione strategica” anziché con miriadi di iniziative scollegate e scoordinate – (principio della Sincronizzazione);
  • Avere un “Comando” della comunicazione strategica, non lasciare la comunicazione ad un ruolo marginale o autoproclamato, o vittima delle questioni tribali organizzative,
  • Costruire una leadership chiara sia dei messaggi, dei temi narrativi sovraordinati, da condividere, e delle operations, fare empowerment di chi dirige la comunicazione strategica 
  • Evitare dissonanze nei messaggi che escono (principio di Riduzione della Dissonanza Comunicativa e dei Rumori Comunicativi).

Il concetto di Energia di Attivazione

Una campagna di marketing o di comunicazione deve possedere energia di attivazione. Quando poi si arriva alla vendita, ne deve possedere ancora di più, e questa energia deve essere ancora maggiormente simile ad un raggio  laser che non ad una luce diffusa.

L’attivazione (o Activation nel gergo del marketing) è la metafora di una scintilla che accende interi processi e li alimenta, sintetizza il concetto-chiave : imparare a sviluppare campagne che “attivano”, che generano risultati, che determinano cambiamenti misurabili anche nel breve termine, e mettono in moto le potenzialità aziendali. 

L’Activation Research, letteralmente “ricerca su cosa attiva le persone” dovrà poi misurare gli esiti, e dirci se una campagna ha funzionato.

Perché una reazione avvenga è necessaria la sinergia di più azioni comunicative opportunamente orientate. Le azioni devono essere dotate di un minimo livello di energia (l’energia di attivazione), senza la quale le azioni aziendali diventano solo energia sprecata.

Il mondo della comunicazione oggi vive in un caos di “entropia”, un capogiro di opzioni tra canali social, pubblicitari, siti web, spot, vendita personale, incontri, presentazioni, meeting, fiere, show, eventi, e qualsiasi altra modalità con cui le aziende cercano di “far uscire” il proprio messaggio e vendere. Chi non afferra le leggi di questo caos, rimane fuori mercato.

far uscire il proprio messaggio

In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.

Carl Gustav Jung

Da questo bombardamento le persone escono frastornate. E per chi comunica, fare tanto rumore per nulla, far esplodere fuochi d’artificio che divertono ma non producono azione o vendita, serve a poco, a pochissimo. 

Molto meglio un incontro face-to-face nel quale porti a casa un ordine, che una valanga di messaggi a caso. E nel modello delle campagne, ancora meglio quando i media si “intrecciano” strategicamente, creando un campo di convergenze dove le energie di un canale valorizzano quelle degli altri, in un “coro comunicativo” veramente ben orchestrato.

E’ una questione di leadership. Anche nel gestire campagne di comunicazione. 

Ogni comandante deve sviluppare una strategia comunicativa coordinata e sincronizzata ed essere guida per il supporto e l’esecuzione di uno sforzo coeso.”[1]

Nel mondo aziendale, per uscire dall’indifferenza e dal caos comunicativo occorre sviluppare azioni e messaggi in grado di superare barriera di indifferenza e il “rumore di fondo” e determinare effetti su target localizzati. 

La potenzialità del metodo genera ricadute sia nell’immediato, e anche sulla cultura e il “modo di fare” azione commerciale, nel medio e lungo periodo, e in tutta l’azienda. 

Il metodo instilla un “pensiero strategico” nel quale prima di tutto ci si focalizza sullo stato finale da raggiungere (End-State, in termini militari) e poi sui media e canali da attivare, facendo sinergia tra metodi di vendita face-to-face, canali pubblicitari, strategie di social media, fiere, congressi, eventi. 

Ma al di la del canale, il fondamento è fare chiarezza sui messaggi, sui destinatari, sugli influenzatori, sui prodotti, sulle persone e sul chi deve fare cosa, nelle responsabilità individuali e in team.

La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

Albert Einstein

È fondamentale pensare a quali veri obiettivi attivare in una “campagna” che assimila molti concetti dai metodi delle “campagne militari”, e da questi deriva una sua impostazione strategica. 

Per fare una metafora, troppo spesso le aziende si impegnano in una “guerra di logoramento” in cui ogni giorno drenano energie senza vederne il ritorno, anziché focalizzarle in azioni mirate e d’impatto.

Azioni comunicative come forma di Engagement 

Il concetto di “engagement” o “ingaggio” ha una connotazione di natura militare, es, si parla di Key Leader Engagementper definire la capacità di incontrare con interlocutori umani importanti, in un certo contesto locale in cui agiscono eserciti, o in fase pre e post-conflict.

Nel campo aziendale, la similitudine è forte: saper “ingaggiare” significa saper costruire una serie di contatti dalla quale emergano progressivamente nuovi clienti. In questo senso, i canali “social” hanno discrete potenzialità di “ingaggio debole” (far conoscere un marchio o iniziativa, ad esempio), o virali, mentre gli incontri faccia a faccia sono forme di ingaggio “forte”, sono in grado di negoziare e condurre trattative, possono e devono essere la priorità per siglare contratti nel business-to-business.

Bisogna trovare le parole giuste che aprono l’attenzione del nostro target, bisogna apprendere a comunicare anche e soprattutto con chi non usa il nostro stesso linguaggio.

Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.

Oriana Fallaci, da “Quel giorno sulla luna”

Gli esseri umani possono essere “media speciali” e la sinergia tra azioni “fredde” o mediatiche o via internet, e azioni face-to-face, è di forte impatto.

Per forniture di grande peso economico, le azioni che portano alla conoscenza del marchio (brand development) e usano i media e i social, devono essere “chiuse” (concluse) da esseri umani.

social media

La dove invece l’obiettivo di campagna sia soprattutto divulgare informazione, i media hanno maggiore efficienza.

Il termine “campagna” essendo di derivazione militare e utilizza una concezione tipicamente militare dell’azione sul campo, fatta di analisi tattica, leadership operativa e valutazione dei possibili blocchi interni ed esterni che impediscono la “conquista” di un risultato, e una concezione dei tempi dotata di scadenza.

La sequenzialità si riferisce alla necessità e possibilità di utilizzare una serie di operazioni (sequenza) per ottenere un particolare risultato. 

Come per altre operazioni manageriali, le campagne si basano sul principio di Backward-planning (pianificazione a ritroso): Fissare un obiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obiettivo, fissare una scadenza finale, le fasi precedenti e le scadenze intermedie.

La letteratura presenta una distinzione tra campagna di comunicazione e programma di comunicazione. In particolare, la campagna è considerata come una serie di eventi che hanno una durata temporale definita, mentre il programma non ha una durata o limite preciso.

Una campagna pianificata per la durata di un mese, sei mesi, un anno o più (ma comunque di durata definita e controllabile), si presta alla misurazione degli effetti, genera una maggiore precisione sia nella pianificazione che nella fase di esecuzione, mentre programmazione continua non ha un chiaro inizio o fine, e l’impegno spesso degenera e si deteriora.

Piani di attività che non hanno scadenze tendono ad essere rimandati di continuo nella scala delle priorità.

La durata di 60 giorni, in genere, qualifica un tempo medio sufficientemente corto per poter focalizzare la mente e le menti di chi vi opera.

Le macro-fasi della campagna di comunicazione 

Nelle campagne di pubbliche relazioni l’attuazione di una “generica” campagna richiede attenzione a quattro fasi sequenziali:

  • Ricerca
  • Adattamento
  • Implementazione
  • Valutazione.

Ciascuna fase è caratterizzata da operazioni che elenchiamo di seguito in forma riassuntiva.

Ricerca

La ricerca precede la campagna e riguarda l’acquisizione di informazioni sui problemi da risolvere (atteggiamenti, comportamenti, background, condizioni), sulla loro natura ed entità. Gli obiettivi e processi sottostanti sono:

  • Analizzare la natura del problema o problemi, studiare il background.
  • Analizzare i sintomi e ipotizzare cause (formulazione di ipotesi).
  • Raccogliere dati per verificare le ipotesi, utilizzando metodologie valide e affidabili sia nella raccolta che nella misurazione.
  • Interpretare i dati.
  • Identificare i problemi in forma di dichiarazione scritta del problema (problem setting).

Adattamento

L’adattamento implica la capacità di far combaciare i goals e obiettivi comunicativi con la situazione rilevata nella ricerca. 

Per produrre un adattamento adeguato è necessario suddividere il problema o i problemi in obiettivi specifici e misurabili, chiarificando i vincoli e confini della campagna. I processi sottostanti sono:

  • Suddividere i problemi in dichiarazioni di goals misurabili.
  • Segmentare i pubblici e dare ordini di priorità.
  • Creare una lista di possibili soluzioni per la soluzione dei problemi (problem solving).
  • Elencare risorse umane finanziarie
  • Evidenziare le limitazioni e fissare i confini: evidenziare i limiti comunicazionali della campagna (temporali, numero di soggetti raggiungibili, luoghi, spazi), considerando le risorse disponibili e i dati della fase di ricerca.

Implementazione

L’implementazione riguarda la scelta delle strategie e la loro realizzazione pratica. Per procedere all’implementazione occorre attivare i seguenti processi:

  • Selezione le strategie di problem solving dotate di elevata probabilità di successo e maggiore fattibilità.
  • Individuare il piano di comunicazione (fonti, messaggi, canali, media-mix o Communication mix, destinatari e pubblici obiettivo).
  • Assegnare un budget per ogni azione o evento.
  • Pianificare nel tempo l’intera strategia e piano di comunicazione (scadenzario, pianificazione Gantt).

Valutazione

La valutazione riguarda l’analisi relativa al livello di conseguimento degli obiettivi, e altri effetti causati dalla campagna. I processi coinvolti:

  • Misurare il livello di ottenimento dei goals.
  • Misurare i miglioramenti verificati.
  • Valutare l’efficienza economica della campagna (analisi costi-benefici).
  • Valutare la presenza di effetti inaspettati della campagna (positivi e/o negativi).
  • Valutare gli effetti sull’organizzazione stessa, prodotti dalla campagna (team building, coesione, migliore organizzazione, maggiore managerialità).
  • Concentrarsi sia sugli effetti immediati che sugli effetti che la campagna può lasciare nel medio e lungo periodo come eredità comunicativa.

[1] Major General Stephen Layfield Introduction to US Joint Forces Command (2010). In: “Commander’s Handbook for Strategic Communication and Communication Strategies”. Published by U.S. Joint Forces Command, Joint Warfighting Center, Suffolk, Virginia.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Sbagliare sin dalla fase di selezione

Non aver paura di fare degli errori, perché non c’è altro modo per imparare come si vive.

(Alfred Adler)

La selezione di personale adatto alla Vendita Consulenziale è particolarmente difficile, in quanto si tratta di trovare persone che siano disposte all’ascolto, così come all’azione di squadra.

Persone che sappiano dare valore al proprio prodotto/servizio e trasformarlo in una soluzione adatta ai bisogni del cliente.

Tutte le persone conoscono il prezzo delle cose ma soltanto alcune ne conoscono il vero valore.
(Oscar Wilde)

Gli errori principali possono avviarsi già in fase di selezione, in particolare:

  • quando manca una buona profilazione del candidato ideale.
  • quando non si realizza un forte patto psicologico con il venditore.

Evitare di porsi domande fondamentali

Ad esempio:

  • Quanto tempo intende rimanere il venditore presso questa organizzazione?
  • Considera questo posto di lavoro o posizione come definitiva, o sta inviando curriculum in giro?
  • È completamente fedele o usa i propri contatti anche per altri scopi (concorrenza, vendita di informazioni, contoterzismo, secondi lavori)?
  • È interessato al tipo di prodotto o lo trova stupido o banale o poco interessante da trattare?

Esistono molte modalità, più o meno legali, per verificare quanto sopra. Si va dal fatto che il venditore si impegni con costanza ad alimentare il CRM aziendale, o non lo faccia per niente, sino alla possibilità di installare “keylogger” sul pc aziendale del venditore per scoprire con chi e cosa comunica.

Al di là del metodo, l’essenziale è sapere o meno di poter contare su quella determinata persona.

Non difendere la squadra e i suoi membri da attacchi esterni e interni

Non difendere la squadra e i suoi membri da attacchi esterni e interni

Il leader del team di vendita deve saper difendere sia il team che i suoi membri da attacchi esterni al team, sia provenienti dall’interno dell’azienda che dall’esterno.

  • Esempio di attacco interno: l’area produzione boicotta un tempo di consegna o non consente di rispettare una promessa di vendita.
  • Esempio di attacco esterno: un cliente che si dichiara insoddisfatto mentre in realtà è un soggetto problematico in sé (dall’essere demanding oltre una soglia ragionevole, sino all’essere psicopatico), o sta cercando di ottenere merce di scambio.

Non valorizzare le autonomie

“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.”

Frank A. Clark

Ogni venditore ha bisogno di una direzione che li supporti e li aiuti ad individuare strategie e obiettivi. Tuttavia, è bene pensare che la Direzione possa davvero occuparsi sempre più di strategia e sempre meno di seguire ogni singolo passo del venditore. Procedere verso l’autonomia è un grande risultato da perseguire.

Per ogni direzione che usa il metodo consulenziale, l’obiettivo (o sogno da perseguire) deve essere quello di avere una organizzazione e dei professionisti di valore, cui conferire :

  • più delega possibile
  • applicare meno controllo possibile.

Per fare questo, devono sempre essere svolte attività di sviluppo dell’autonomia che amplifichino la delega sino ai suoi massimi livelli. In questo modo la direzione potrà veramente occuparsi di mission, vision, innovazione e strategia, anziché doversi occupare di controllo costante dei dettagli.

Fissare budget di vendita non in base ai potenziali reali

Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.

(Niels Bohr)

Le vendite-target, o obiettivi di vendita, devono essere fissati sulla base dei potenziali dei territori e dei mercati, e non utilizzando come criterio semplici aumenti indiscriminati sulla base dell’anno precedente (es: +10% per tutti).

Per valutare i potenziali dei mercati, è necessario svolgere operazioni di misurazione, spesso intuitive, ma erronee, e correttamente complesse quando si voglia invece ricorrere a formule di calcolo (algoritmi). Questi calcoli puntano a calcolare la quota di mercato attuale e quella invece conseguibile come la concorrenza o competitività dei mercati di riferimento, i costi di ingresso e di uscita, le difficoltà logistiche ed operative.

Mancanza di backup dei dati, delle informazioni di vendita e intrasferibilità delle relazionali interpersonali

Mancanza di backup dei dati, delle informazioni di vendita e intrasferibilità delle relazionali interpersonali

Se l’unico soggetto in possesso delle informazioni è il venditore, i rapporti di forza si sbilanciano e la direzione vendite è ostaggio del venditore stesso.

Devono esistere: 

  • sistemi di backup dei dati (fisicamente) tali da poterne svolgere il recupero da più sedi. Esempio: un backup settimanale dei dati completi dal PC o “client” del venditore verso il sistema centrale, un backup giornaliero dei dati critici (es: sincronizzazione contatti e cartelle clienti);
  • sistemi di backup di funzione e di ruolo, tali da poter dare continuità ad un processo di vendita anche in assenza di chi lo ha iniziato o lo sta seguendo. Esempio: sapere i nominativi dei decisori e con chi parla il nostro venditore entro l’azienda cliente.

Nella vendita consulenziale – che fa perno sul valore della consulenza data dalla persona (venditore) alla persona (cliente) – si assiste al fenomeno della intrasferibilità delle relazioni interpersonali (mi fido di te, conosco te di persona), mentre nella vendita distributiva (es, in una Grande Distribuzione) la fidelizzazione umana è decisamente più blanda o in alcuni casi (in un discount) quasi assente.

L’obiettivo del backup relazionale è molto più difficile da perseguire (ma comunque importante) nelle aziende che adottano la tecnica della vendita consulenziale, dove molto affidamento viene dato ai rapporti umani personali, ai valori relazionali che non si possono “backuppare” come se si trattasse di bits. 

Per questo motivo, la quota relazionale totale (il totale dei contatti di relazione umana con i clienti), va esplosa su più livelli:

  1. il contatto del venditore (prevalente);
  2. il contatto della direzione in affiancamento con il venditore (portandolo ad un grado almeno annuale, o sino a semestrale o trimestrale nei clienti top);
  3. il contatto umano delle segreterie organizzative, che devono essere portate a conoscenza del metodo consulenziale e devono esse stesse adottare stili comunicativi di alta qualità e attenzioni individuali;
  4. la possibilità di avere un quadro completo informatizzato del sistema cliente, tale che ad ogni contatto e ad ogni telefonata possiamo sempre avere sott’occhio le informazione determinanti di quel cliente e non essere sprovveduti.

Fuoriuscita di informazioni riservate

La Direzione di un team di vendita deve prevedere possibilità anche molto negative, e porre attenzione a:

  • Furti esterni di dati e lavoro, causati da falsi acquirenti (spesso concorrenti) che intendono ottenere solo informazioni o progettualità gratuita.
  • Furti interni di dati, soprattutto prima di licenziamenti o dopo aver subodorato intenzioni di licenziamento (del venditore o da parte della direzione).

Consentire deviazioni dal modello di chiarezza di quale sia la situazione e risultato atteso dal cliente (modello X Y)

Per me la più grande bellezza sta sempre nella massima chiarezza.

(Gotthold Ephraim Lessing)

Il principio base del Solutions Selling è che si vendono soluzioni per aiutare un cliente e risolvere/anticipare i suoi problemi attuali e/o futuri. Quali sono quindi questi problemi? Questo deve essere chiaro.

Il leader della direzione vendite non deve accettare trattative in cui non sia chiaro cosa vuole veramente il cliente e da quale situazione si parte (vedi modello XY di customer satisfaction). 

Senza avere compreso la situazione del cliente e quali problemi dobbiamo risolvere (o obiettivi da conseguire) non può aver luogo alcun processo di vendita realmente consulenziale

Mancanza di doppio focus: sugli anelli forti (Strong Points) e sugli anelli deboli (Weak Points) della catena di vendita

Ogni catena di vendita – intesa come sequenza di attività/operazioni finalizzate alla vendita, ha una propria sequenza logica, realizzata da persone e svolta tramite procedure.

All’interno di questa sequenza nessuna organizzazione è perfetta, ed è positivo tendere all’ottimizzazione con una particolare attenzione a due punti:

  • non perdere i vantaggi conseguiti grazie agli anelli forti: tenere particolarmente conto delle persone e delle procedure/modalità contributive e vincenti, fare di tutto per mantenerle, coltivarle, estenderle, amplificarle;
  • non vedere o far finta di non vedere gli anelli deboli della catena (persone o procedure); questi vanno invece osservati e trattati con metodi di coaching, counseling o formazione, per farli crescere.

Le domande chiave da porsi rispetto all’organigramma di vendita :

  • Su quali aree potremmo lavorare per migliorare?
  • Dove sono i nostri punti di forza?
  • Dove sono i nostri punti di debolezza?
  • Di chi mi posso fidare e per cosa, in relazione alle sfide da sostenere?
  • Chi mi dà energie?
  • Chi mi toglie energie?

Comunicazione, motivazione e incentivazione della rete di vendita

Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci.
(Jim Morrison)

Il problema della motivazione va separato nettamente dal tema della fattibilità di una pratica motivante legata alle legislazioni nazionali sul campo del lavoro. La motivazione ha basi psicologiche e su queste è per noi opportuno concentrarsi, per poi eliminare dal campo o ridisegnare le soluzioni giuridicamente sostenibili. 

Comunicazione, motivazione e incentivazione della rete di vendita

Vediamo quindi quali sono alcuni dei presupposti della motivazione e incentivazione delle reti di vendita:

  1. Il fattore grounding organizzativo: l’incentivazione dipende dalla qualità organizzativa e dal senso di solidità aziendale: è più facile incentivare quando si ha la percezione di un buon supporto organizzativo;
  2. Il fattore grounding nel ruolo: la motivazione dipende dal grado di role-fitting (benessere nel ruolo, centratura tra ruolo e personalità/self);
  3. il fattore della prospettiva temporale (sua lunghezza e densità): un orizzonte vuoto spaventa, così come un orizzonte incerto;
  4. il fattore della correlazione sforzo-risultato: deve esistere un sistema premiante che crei un meccanismo di feedback positivo, rafforzando la convinzione che lo sforzo premia, e la struttura nella quale si sta lavorando è una “macchina da feedback positivo”;
  5. il fattore della qualità dei climi organizzativi: così come esistono ambienti fisicamente inquinati, possono esistere ambienti psicologici inquinati e demotivanti. È ruolo della leadership capire chi inquina, cosa inquina, e rimuovere i fattori inquinanti dal sistema;
  6. il fattore delle comunicazioni in ingresso, la qualità comunicativa, day-by-day, che colpisce il soggetto, la sua frequenza, natura e tipologia, un fattore di tale importanza da far emergere il bisogno di un vero e proprio piano di comunicazione interna per il team di vendita.

Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.
(Eleanor Roosevelt)

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Non cogliere il calo bioenergetico o psicoenergetico del venditore

Le tecniche di vendita consulenziali vengono utilizzate soprattutto per vendite di alto profilo e con clienti di valore. È necessario che il leader sia sensibilizzato e abile nel riconoscimento dello stato di forma fisico e motivazionale del venditore. 

Per la vendita consulenziale servono energie elevate, sia fisiche che mentali. Serve concentrazione. Non ci si può permettere di fare un incontro delicato con il mal di testa o con la testa altrove, o poco motivati. Chi gestisce team di vendita deve monitorare ogni suo collaboratore rispetto al suo stato e se necessario intervenire.

La direzione di un team di vendita deve essere particolarmente attenta a far sì che le persone siano al migliore stato della propria forma, e cogliere i cali.

Questo si può notare particolarmente da:

  • Momenti di perdita di concentrazione e focalizzazione.
  • Dispersività logistiche, mancata ottimizzazione dei percorsi di vendita.
  • Perdere di vista la preparazione agli appuntamenti e arrivarvi poco preparati.
  • Materiali di presentazione scarsi o contenenti errori.

Quando si nota che un venditore ha continuo bisogno di rassicurazione su ciò che sta facendo, quando si nota che apre un progetto e non lo conclude, quando la mimica del volto e la postura sono segnate da stanchezza e demotivazione, è tempo di intervenire, senza indugi, sia con colloquio in profondità che con coaching e affiancamento, ma mai prima di avere capito “cosa non va realmente”.

Troppe posizioni aperte

Una “posizione aperta” significa un cliente che è in fase di acquisizione e sul quale non siamo ancora arrivati alla chiusura. Consentire che troppe posizioni siano aperte e non vengano concluse è un danno per l’organizzazione di vendita, che beneficia invece di un approccio sequenziale, di alta focalizzazione delle energie. 

Il rischio ed errore di cui parliamo qui, è quello di disperdere il proprio tempo ed energia mentale verso troppe “cose”, troppi progetti, troppi clienti, mentre il nostro tempo è per forza di cose, limitato.

Quando un uomo rivolge tutta la volontà verso una data cosa, finisce sempre per raggiungerla.
(Hermann Hesse)

Il leader del team di vendita deve prestare costante attenzione al numero di posizioni aperte in ciascun venditore, allo stato della trattativa, alla sua possibilità di concretizzazione, e impedire che altre posizioni si aprano senza che un numero N massimo di posizioni aperte vengano concluse (in positivo o in negativo, ma concluse).

La mancanza di monitoraggio della “temperatura” di vendita

Ogni vendita complessa abbisogna di un costante flusso di messaggi che mantengano caldo il contatto e non lasciare che il rapporto si raffreddi. Anche pochi giorni o settimane senza che le parti si sentano determinano una degenerazione del clima di “attivazione verso la conclusione”. La direzione vendite deve riuscire a monitorare l’andamento della “temperatura” delle negoziazioni in corso

Essere coach significa anche non permettere che la propria squadra si rilassi nel momento in cui dovrebbe rimanere tesa verso il risultato.

La concentrazione e la determinazione mentale sono i margini di una vittoria.

(Bill Russell)

Dimenticare la visione d’insieme del team

Le energie che un team può sviluppare sono più della sommatoria delle energie degli individui. Sono il risultato delle interazioni tra energie, e dipendono dalle configurazioni HPM di ciascuno (membro del team e leader).

Dimenticare la visione d’insieme del team

Ogni membro del team deve cercare di apportare il massimo livello di energie possibili, e coltivare le proprie con cura e sacralità, spendo che ogni sua energia diventerà energia per il gruppo e per la Direzione, e per chi sono stati i suoi Maestri nella via della vendita.

Non sforzarti di seguire le orme dei maestri: cerca ciò che essi cercavano.
(Ma-tzu)

Analisi del team come sistema energetico:

  • Osmosi in ingresso : immissione di valore, energie, competenze, nutrimento positivo del team.
  • Osmosi in uscita : depurazione di concetti e da elementi negativi, detossificazione del team

Ricordiamolo, le “osmosi” sono idee che filtrano dentro al team, persone o atteggiamenti, che possono essere sbagliati o buoni. Essere leader significa presidiare attentamente queste osmosi, favorire le osmosi positive, e contrastare duramente le osmosi negative.

Dimenticare la dimensione delle interazioni comunicative interne e della qualità quotidiana degli scambi comunicativi

Ogni team è tenuto assieme da un collante di comunicazioni e scambi comunicativi. La qualità di ogni singolo scambio conta.

Analisi del team come sistema di interazioni comunicative :

  • Chi comunica con chi?
  • Che modalità comunicative usano?
  • Che frequenza di contatti esiste?
  • Quali sono i contenuti utili che dovrebbero essere condivisi?

Non affiancare il venditore e mancare di osservarlo sul campo

Occorre vedere in azione le persone, sul campo, davanti al cliente, per capire come si comportano davvero e come comunicano davvero.

Le micro-competenze sono osservabili soprattutto sul campo. È sul campo che bisogna osservare la performance reale. Soprattutto per quanto riguarda le difficoltà di ascolto, e la gestione degli imprevisti, è necessario affiancare il venditore sul campo. Solo in seguito, sarà possibile dargli feedback e coaching affinché cresca e migliori.

Non fare adeguata formazione

Un team di vendita deve essere come una squadra di calcio o di volley, o un team di pugilato. Sia che si combatta da soli, o in gruppo, ci si allena, sempre.

Soprattutto verso le macro-competenze, è necessario un approccio di continua riqualificazione, che tocchi sia le aree di prodotto e le evoluzioni dei prodotti, sia un costante aggiornamento professionale nel marketing e nella vendita.

Mancare come riferimento per il mentoring e coaching dei venditori

Pronuncia sempre con riverenza questo nome – maestro – che dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.

(Edmondo De Amicis)

Mancare come riferimento per il mentoring e coaching dei venditori

Un vero Direttore Vendite o Direttore Commerciale deve essere anche il coach e il Maestro della propria squadra. Deve essere un riferimento soprattutto di solidità morale. Devi sapere che puoi contare su di lui/lei nei momenti di difficoltà. Sempre.

L’errore dell’assenza di un ruolo di supporto e aiuto è molto grave. Significa abbandonare le persone sul campo da sole.

Questo errore, gravissimo, consiste nel venir meno del leader del team di vendita come riferimento per lo sviluppo, come punto di riferimento morale, come “genitore” del team, con i suoi compiti “duri” di ispezione, monitoraggio e se necessario, ripresa, punizione, correzione – e i compiti di sviluppo, “emozionali”, di sostegno morale, professionale, supporto, senso di vicinanza, aiuto nelle difficoltà.

L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira.

(Socrate)

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