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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Condividere le analisi e stimolare la partecipazione all’analisi

Un venditore che si senta puro esecutore perde entusiasmo e si sente poco gratificato.

È importante realizzare momenti di valutazione congiunta dei clienti potenziali o dei clienti attuali, per ottenere – al di là del risultato – un forte sentimento di partecipazione.

Le check-list per la valutazione del cliente potenziale ed attuale

checklist

La check-list di valutazione del cliente potenziale può essere utilizzata per dare spazio a valutazioni congiunte da compiere tra direttore vendite e venditore.

La check-list di valutazione del cliente attuale, consente invece di fare ragionamenti e ponderazioni su quanto siano realmente contributivi i clienti esistenti, localizzando quelli sui quali vale la pena impegnarsi di più, e quelli sui quali disinvestire tempo ed energie.

Esempio check-list di valutazione del cliente potenziale ed attuale: caratteristiche e fattori che meglio rappresentano la situazione:

  1. Genera un fatturato importante per noi    
  2. Dimostra interesse e comprende l’utilità del nostro prodotto/servizio 
  3. Per questo cliente siamo importanti, ci valuta positivamente, tiene a noi
  4. I costi logistici di ingresso sono ridotti (cliente comodo da raggiungere e servire)
  5. Siamo soddisfatti dei prezzi che riusciamo a praticare ad esso
  6. I termini e le modalità di pagamento sono accettabili
  7. Non ci fa mai perdere tempo ed energie per incassare
  8. Aggiunge prestigio al nostro parco clienti, è un nome spendibile
  9. E’ un rapporto sicuramente duraturo nel tempo
  10. Pianifica gli acquisti, sappiamo di poterci contare, ha buona frequenza di acquisto
  11. Riusciamo a generare soddisfazione agevolmente
  12. Sono persone piacevoli, esiste consonanza di visione e valori, la relazione è buona
  13. È un cliente grazie al quale espandiamo i nostri contatti
  14. Le esperienze legate al rapporto con questo cliente producono know-how culturale, tecnico ed organizzativo

Strategie e leve motivazionali per creare tensione positiva verso gli obiettivi

  • Total compensation plans: progetti di remunerazione che includono sia fattori economici che fattori extra-economici.
  • Team rankings: messa in graduatoria (anche solo parte alta) di chi in un certo periodo di tempo ha dato maggiori risultati, stimoli, contributi, con premiazione e pubblicazione/diffusione interna.
  • Gare di vendita, spesso associate a premio finale.
  • Compensazione tramite point-systems.
  • Employee Stock Ownership Plan (ESOP): una ESOP è definita come un piano di benefici che permette al dipendente di diventare proprietario di azioni, in funzione dei risultati, e come parte della remunerazione ricevuta. 
  • Profit Sharing: incentive basato sulla ricezione di una quota dei profitti aziendali.
  • Formazione come benefit di incentivazione.

Il sistema di compensazione e motivazione deve essere composto con un bilanciamento dei diversi strumenti.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Life Coaching: Aumentare i “Gradi di libertà” fisici e mentali

Avrai sentito molte volte la frase “sii te stesso”.

Bella frase, ma quel “me stesso”, è veramente chi sono io, o è quello che è stato buttato dentro al mio frullatore mentale? Scoprire chi e cosa è veramente quel “me stesso” è un lavoro stupendo e sfidante per il coaching e il counseling.

Il nostro sistema mente-corpo è immerso in un oceano di messaggi, di informazioni, di sensazioni tattili, olfattive, gustative, di pensieri su cosa è giusto e sbagliato, sui “devi” e “non devi fare”, persino “cosa devi e non devi pensare, nella tua testa”, messaggi che lo plasmano sin dalla nascita.

Ci sono persone che vedono lontano e non hanno timore di esprimere il loro sogno, la loro visione. Alcune di queste visioni sono state considerate pazzie, altre sono diventate realtà e storia.

“Non solo la potenza atomica verrà sprigionata, ma un giorno imbriglieremo la salita e la discesa delle maree e imprigioneremo i raggi del sole.”

Thomas Edison

Edison, pensavano i suoi contemporanei, sognava. Oggi possiamo dire: anticipava.

Il timore crea prigioni. Alcune persone temono persino di farsi notare, di esistere, di dire qualsiasi cosa che qualcuno possa contraddire. Muoiono da vivi.

La libertà non è uno stato singolo, ma piuttosto una posizione tra un continuum tra due poli. Da un lato abbiamo la costrizione assoluta (fisica e mentale) e dall’altro lato la libera scelta assoluta (fisica e mentale). Ogni “grado di libertà” che possiamo e riusciamo a scalfire dalla costrizione aggiunge un tassello alla nostra libertà totale.

La formazione dei guerrieri Ninja passava attraverso fasi importanti di superamento delle paure. Queste paure erano viste come ombre che impedivano alle abilità di esprimersi. I Ninja consideravano il superamento delle paure attraverso formazione iniziatica. 

Nelle iniziazioni e addestramenti venivano inseriti elementi di paura controllata, “in modo che l’ombra possa essere portata alla luce della mente dell’iniziato, che potrà così attraversare quella determinata paura. La paura è la porta più importante, perché senza lo slancio energetico che deriva dall’abbandono delle nostre paure ci sarà difficile proseguire nel nostro viaggio”[1].

Nelle pratiche di coaching esistono specifici esercizi, sia tradizionali (es, firewalking, seppure condotti da personaggi a volte discutibili) che innovativi. Personalmente, mi sono occupato di sviluppare alcuni esercizi speciali i quali attingono dalla mia esperienza trentennale nelle arti marziali, mentre altri nascono sulla base di esercizi psicodrammatici o comunicativi. Il fine ultimo è di crescere superando paure e generare slancio emotivo, senza con questo creare rischi fisici stupidi e inutili. Le stesse tecniche possono essere applicate nel counseling.

Possiamo dire che il coaching e il counseling siano due discipline che vogliono dire un grande “adesso basta!” all’essere plasmati a forza da ideologie esterne, da paure interne inutili, e cercano una via vera, più personale, depurata da ogni forma di falsità, consci persino che la libertà vera diventa un fine utopico ma senza quel fine ci sentiremmo morti. Queste discipline vogliono una vita più vera, più propria, più gestita con consapevolezza anziché in un sentimento di schiavitù. 

E’ un approccio rivoluzionario di sommossa esistenziale e non armata ma che cambia, attimo dopo attimo, vita dopo vita, l’intero pianeta.

Non bastassero le informazioni esterne, siamo a nostra insaputa inondati da informazioni interne (enterocettive, provenienti dal corpo stesso), alle quali prestiamo scarsa attenzione se non adeguatamente allenati. 

Alcune di queste sono deboli, sottili, ma importanti, ad esempio i segnali dello stress fisico e mentale, le posture, il respiro stesso.

Le tensioni muscolari latenti, croniche, dovute a stress mentale, sono un esempio classico di segnale “non ascoltato” che però porta a mal di testa, a mal di stomaco, a dolore fisico poi molto concreto, persino all’alterazione della nostra postura. 

Sto dicendo, assolutamente, che il nostro corpo fa trasparire fuori come ci sentiamo dentro, e se impariamo a leggerlo e a leggerci, possiamo fare di noi stessi un grande laboratorio di crescita personale. 

Imparare a leggere i segnali deboli e farli diventare segnali forti è un’arte che si apprende nel coaching e nel counseling corporeo.

Questi segnali sono così anestetizzati dalle nostre menti bombardate da rumore, che scopriamo che qualcosa non va solo quando ci troviamo al pronto soccorso.

Siamo persino sottoposti ad energie come onde elettromagnetiche (la luce solare è una), la forza di gravità e tantissime altre, sulle quali non riflettiamo più di tanto e ancora meno “sentiamo”, tranne quando, come il sole preso troppo, ti bruciano. 

Esistono anche forze psicologiche, come i “calchi mentali” e le credenze più forti che abbiamo assorbito dalle famiglie e dalle persone con cui ci siamo rapportati. Sono forze che sono penetrate nella nostra testa tramite religioni, libri di testo, letture, televisioni, conversazioni, e tanto altro materiale dell’acquario comunicativo nel quale abbiamo respirato e nuotato sinora.

“Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, metti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore. i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e soprattutto prova a rialzarti come ho fatto io.” Luigi Pirandello

Siamo in balia di forze tanto potenti e persistenti, che il fatto di metterle in discussione non passa nemmeno nella testa ai più. Qualche lamento si, qualche boffonchiamento si, ma niente di vero, niente di radicale. Anche nelle città dove l’economia fa schifo e le economie languono, anno dopo anno, i voti non cambiano più di tanto, gli stili di vita non cambiano più di tanto, e molti se potessero non cambierebbero proprio, resistendo al cambiamento fino a morire. 

Zombie che camminano verso la bara.

Ma risvegliarsi in vita è possibile. Può accadere quando accade un incontro con una persona illuminata, o molto più spesso una crisi, un esaurimento fisico o nervoso, o un trauma, ti fanno capire che quel sistema di forze e di equilibri ora non regge più. 

Non è più adatto per te. Poteva andare bene per chi l’ha sviluppato, nell’epoca in cui si è formato, ma non va bene per te, non ora, non qui. E tu te ne rendi conto e vuoi agire.

Coaching Umanistico

Siamo fatti per seguire la direzione mitica della nostra vita, per scoprire e poi intraprendere le più grandi imprese”

 Caroline Miss.

Il Coaching Umanistico vuole dare voce ad una pulsione di speranza, di forza, di azione, di vita vissuta a pieno. 

Il Counseling Corporeo pone invece l’accento sugli intricati meccanismi che rendono il nostro corpo l’unico mezzo abilitante, il mezzo con cui poter, di fatto, accedere al mondo esterno, l’unico ponte della mente verso realtà.

Da questo ponte possiamo cogliere le “pietre preziose” che il nostro cosmo racchiude, quando riusciamo a sviluppare facoltà di percezione aumentata, il che significa che la nostra percezione deve essere (1) abilitata e (2) allenato a vedere queste pietre preziose. 

Parliamo di “Abilitato” (enabled) in quanto alcune parti del nostro corpo, come la retina, devono esistere, materialmente, per cogliere fotoni, e quindi vedere, e questo solo per quanto riguarda la vista, ma per ogni fonte di senso e informazione. Ma qui non parliamo solo di una “abilitazione fisica”, bensì di allenare la nostra percezione a “vedere” di più e cogliere messaggi che ci sono, ma non percepisci semplicemente perché non li sai vedere.

La mente va anche “Allenata” (trained) perché in ogni secondo di “visione” entrano nel nostro cervello circa 20 Giga di dati, ma se nessuno ti ha mai insegnato a cogliere l’essenza e alcuni dettagli speciali, selezionando, di quei 20 giga non rimarrà altro che il nulla, o una visione sbiadita.

Peggio ancora non vedrai le “pietre preziose” che l’universo costantemente ci mette sotto gli occhi in un flusso costante di possibili meraviglie. 

Solo passando attraverso un training specifico di percezione aumentata potrai vedere la realtà un pò più vera, un pò più vicina a quella che è. 

Sarai, allora, un pò più libero.


[1] Heaven, Ross (2006). The Spiritual Practices of the Ninja. Inner Traditions, Rochester. Trad it: 2008, Le Pratiche Spirituali dei Ninja. p. 43-44. Macroedizioni.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La formazione e il coaching per dare tono ed energie al team di vendita

I risultati dipendono da una sommatoria di energie e abilità canalizzate in obiettivi. Questo è – in sintesi – il pensiero sottostante il metodo HPM per lo sviluppo della performance. 

Incentivare la rete di vendita significa porre attenzione ad iniziative diversificate.  

Nel modello HPM sono fondamentale:

  • le energie biologiche (Bio-En),
  • le energie psicologiche e motivazionali (Psic-En)
  • le Micro Competenze (Micro-Skills)
  • le Macro Competenze (Macro Skills)
  • i Goal e progettualità (G)
  • la Vision includente i valori e le aspirazioni (V)

Cosa si può fare concretamente?

  • Sul fronte energetico: Marathon training e “ritiri di formazione” della squadra di vendita;
  • Coaching al venditore, soprattutto un Coaching Umanistico e Coaching Comunicazionale, cioè centrato sulle sue potenzialità e come svilupparle con la comunicazione. Un ciclo di incontri di coaching deve essere tra le 6 e le 10 giornate.
  • Sul fronte micro: training e role-playing, in azienda, almeno settimanalmente, per prepararsi agli incontri in arrivo.
  • Affiancamenti di vendita con feedback in uscita.
  • Sul fronte macro: training plan annuale e pluriennale, personalizzato.
  • Sul fronte Goal: sessioni di goal-setting congiunte.
  • Sul fronte Vision: analisi dei mercati, degli spazi, dei trend, nella zona o area di pertinenza del venditore.

La visione d’insieme deve tenere un doppio focus:

  • sugli individui: colloqui in profondità e valutazioni periodiche;
  • sulle procedure e sulle campagne per il futuro: analisi strategiche di quali campagne di vendita implementare;
  • valutazioni di feedback sulle campagne già svolte.

La costruzione attiva del parco clienti da condividere con il venditore

Per agire all’interno di un processo di vendita consulenziale, il venditore deve condividere alcuni principi base:

  • Il parco clienti non si subisce, si costruisce. Un parco clienti bilanciato può contenere pubblico e privato, tradizionale e innovativo, locale e internazionale, ma, comunque, deve essere il risultato di una logica e di una scelta.
  • Il parco clienti si costruisce tramite:
    • Eliminazione di clienti inutili (De-marketing)
    • Addizione di clienti di valore (Pro-Marketing)
  • Questo presuppone darsi una Strategia Commerciale, l’impostazione di una quota di fatturato da generare per tipologia di cliente. In seguito, si sviluppa un piano commerciale e di promozione per ciascuna tipologia, attivando campagne di vendita tematiche.
  • Ogni strategia di vendita e costruzione attiva del parco clienti va fissata con apposite riunioni, concise, brevi e che fissino unicamente i passaggi concreti da fare.

“Coloro che non sanno imparare dalle riunioni precedenti saranno condannati a ripeterle.”

Massima di McKernan

  • Il venditore è un fattore chiave della strategia commerciale, è un protagonista, non una comparsa.
  • I suoi risultati permettono a tutta l’azienda di procedere, l’azienda deve sempre dimostrare che ha bene in mente questo dato di fatto.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Negoziare con i venditori e fare il patto psicologico

Patti chiari amicizia lunga.

(Proverbio)

Il patto psicologico tra direzione vendite e venditore viene promosso dalla direzione in un apposito incontro, già in fase di ammissione/ingresso nel team, e include:

  • le regole del team, i suoi valori fondanti;
  • le dichiarazioni esplicite di cosa ci si attende (attese, comportamenti, atteggiamenti) dal venditore, atti concreti connessi alle regole del team, con esempi;
  • le regole da seguire in caso di malintesi, incomprensionidifficoltà, con esempi;
  • la durata dei periodi: collaudo relazionale, verifiche, punti di arrivo e milestones (pietre miliari) del rapporto;
  • tipo di verifiche cui si sarà sottoposti;
  • tipo di feedback (e reportistiche) da dare alla direzione vendite, e con che frequenza (ogni quanto, in relazione a cosa);
  • confini esatti dei ruoli di direzione e del venditore, margini e confini di manovra, casi dubbi (zone oscure/grigie del territorio di competenza – con esempi concreti) e comportamento atteso;
  • regole di uscita dal team (quali condizioni provocano l’espulsione), condizioni di permanenza nel team, comportamento atteso in caso di fuoriuscita dal team;
  • comportamento atteso verso la trasparenza dei dati;
  • dichiarazione sulla proprietà dei dati e delle relazioni (aziendale);
  • anticipazione dei possibili cambiamenti e variazioni di impegni (es: rotazione dei territori, job rotation, affiancamenti direzionali);
  • stili di comunicazione attesi e precisione del linguaggio attesa con casi concreti, es: una e-mail, un report di visita;
  • …..altri punti da inserire a giudizio della direzione.

Il colloquio di patto psicologico va simulato e preparato tramite role-playing!

Riunioni con le forze vendita

“Se un problema causa molte riunioni, alla lunga le riunioni diventeranno più importanti del problema.”

Legge di Hendrickson

Le riunioni sono momenti essenziali ma vanno tenute brevi, concise, concentrate sui punti che si vogliono trattare. Meglio più riunioni focalizzate, che una singola riunione fiume.

Quando si fa una riunione, occorre distinguere nettamente tra:

  • riunioni informative;
  • riunioni decisionali strategiche;
  • riunioni di ascolto dei collaboratori, ascolto “dal basso” o bottom-up;
  • riunioni di patto psicologico;

Ogni riunione ha un formato specifico e un timeline che va deciso e fatto rispettare.

Occorre sensibilizzarsi alle deviazioni dal format e – ogni volta che una riunione devia – applicare la leadership conversazionale per riprendere le redini della riunione.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Milano, Franco Angeli. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Immagine di sé (Self-image), identità e ruoli, conflitti in­te­rio­ri, pulizia mentale

L’immagine di sé corrisponde a ciò che noi pensiamo di noi stessi. Costituisce una forma di auto-percezione, di auto-immagine, con la quale ci misuriamo costantemente. 

Risponde in pratica alla domanda “cosa penso davvero di me?”, “come mi vedo?”. La “fotografia di noi stessi” può piacerci o meno, ed in genere, quanto più è bassa tanto più diminuiscono le energie mentali. Con alcune importanti eccezioni da esaminare.

In genere le energie mentali crescono quanto meglio riusciamo a sentirci con noi stessi, accettarci, piacerci. 

L’importante eccezione è la seguente: le situazioni in cui non ci sentiamo bene con noi stessi possono svolgere funzione positiva quando questa insoddisfazione si trasforma in un piano di lavoro e azioni concrete di cambiamento. In altre parole, non piacersi e macerarsi in questo stato è distruttivo per le energie mentali, mentre non piacersi, ma trovare una strada di miglioramento e praticarla, è un modo efficace per generare energie.

Uno dei compiti essenziali del coaching, sul piano etico, è quello di determinare se il “non piacersi” sia su variabili importanti e “giuste” o su aspetti di vita pericolosamente sbagliati, o assorbiti da modelli altrui improduttivi, mode effimere, esempi esposti dai media, il cui perseguimento finirebbe per fare danni elevati alla persona. 

Ad esempio, molte modelle non si piacciono e vorrebbero vedersi sempre più magre, diventando anoressiche, con casi accertati di morti per anoressia. 

Un coach (LifeCoach o FitCoach, o un consulente, o un medico) che aiuti questa persona ad essere tanto magra al punto di morire non è un coach ma un perfetto idiota e un delinquente. Aiutare le persone a perseguire obiettivi distruttivi è moralmente sbagliato. L’aiuto ha sempre uno sfondo etico.

Nessun problema invece per un coaching in cui una persona non sia soddisfatta delle proprie capacità di comunicazione, di negoziazione, o di leadership, o di vendita, e voglia migliorarle, o ancora non accetti un corpo evidentemente fuori forma, flaccido, e voglia essere tonico e sano, o ancora sia in perfetta forma ma voglia trovare una condizione agonistica di picco.

Trasformare gli stati di insoddisfazione in azioni positive quindi è uno dei compiti fonda­mentali del coaching.

Su quali temi può lavorare un coaching profondo?

Le forme specifiche di autoimmagini possono essere numerose e provenire da diversi angoli di osservazione. 

Distinguiamo alcuni piani di osservazione o analisi:

  • Self-image intellettuale: l’immagine di noi stessi sul fronte dell’intelligenza che ci attribuiamo, della capacità di interagire con le persone su un piano culturale, di usare la mente in modo raffinato;
  • Self-image dello spessore umano e morale: il nostro auto-giudizio su co­­me applichiamo alcuni valori in cui crediamo, il nostro valore morale. Comprende il giudizio su alcune delle scelte fatte in passato, il gradimento o rifiuto che abbiamo per noi e il valore morale che ci attribuiamo. Sul piano del coaching, è essenziale che il coach riesca ad isolare i fallimenti passati e ripulirli da giudizi errati sul proprio spessore umano e morale (au­toflagellazione improduttiva), per inquadrarne invece le reali condizioni, situazioni e difficoltà incontrate;
  • Self-image di ruolo professionale attuale: analisi limitata al piano della per­cezione di sé sul lavoro, come professionisti, lavoratori, o comunque nell’occupazione attuale;
  • Self-image dei ruoli e identità del passato personale: autovalutazione e gradimento di chi e come eravamo in diversi momenti della nostra vita passata;
  • Self-image bloccata nell’evento: un’immagine di sé negativa legata ad un evento critico (critical incident), es., una perdita, un fallimento, un atto spiacevole compiuto – che non viene accettata, superata, metabolizzata;
  • Self-image relazionale: l’immagine che abbiamo delle nostre abilità di re­lazione con gli altri. All’interno, ancora più in profondità, possiamo trovare altri piani sempre più analitici, alcuni dei quali citati di seguito;
  • Self-image della seduttività: l’immagine che abbiamo di noi come seduttori, amatori, comunicatori efficaci, sino alle relazioni sessuali;
  • Self-image agonistica: l’immagine di ruolo che abbiamo di noi come lottatori, sia in azioni proattive (di “attacco” a problemi e situazioni) che difensive, quando qualcuno attacca il nostro territorio fisico o psicologico. La ricerca del prototipo interiore può assumere le sfumature di guerriero fisico, di mediatore, o di soggetto abile nelle sfide verbali, di chi “non si lascia pestare i piedi”, o ancora di chi “preferisce sempre parlarne”, o di uno con cui “è meglio lasciare perdere”, o del “perdente”, e altre;
  • Self-image di ruolo genitoriale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni (o cattivi) padri o madri, reali o potenziali;
  • Self-image di ruolo filiale: l’immagine che abbiamo di noi come buoni o cattivi figli, rispetto ai doveri sociali introiettati e attivi in noi;
  • Self-image corporea: l’immagine che abbiamo del nostro corpo, anch’es­sa connessa al gradimento o rifiuto che proviamo per essa (self-sa­tisfaction corporea);
  • Self-image complessiva: la sommatoria di auto-immagini, il quadro com­ples­sivo della nostra auto-percezione.

Il quadro delle percezioni è spesso confuso e dissonante. Possiamo trovarci a nostro agio con una delle nostre auto-immagini ma non con un’altra. 

Ogni autoimmagine non accettata può produrre 

  • un calo delle energie mentali, quando emerge la rassegnazione verso lo stato negativo (da non confondere con auto-accettazione dei propri limiti), o si scatena senso di colpa e frustrazione associati a senso di impotenza, o 
  • incremento delle energie mentali, quando la consapevolezza di un tratto negativo stimola il senso di orgoglio e la volontà di lavorarvi sopra, e viene individuato un percorso concreto nella direzione voluta. Anche piccolissimi passi possono sbloccare la situazione.

Per questo motivo, l’immagine di sé va chiarita sui diversi distretti psicologici e non solo in termini generali.

Un buon modo di partire è porsi la domanda (o porla, per i coach, formatori, terapeuti, educatori e counselor): In cosa sei diverso da come vorresti essere?… per poi entrare nello specifico.. es. Che tipo di manager vorresti essere, e in quali situazioni non si senti come vorresti? Ed ancora: Che tipo di professionista vorresti essere? Dove, in cosa, con chi non riesci ad essere come vorrestiCosa ti piace e non ti piace fare in particolare?  Con chi non ottieni i risultati che vorresti? Quando accade? Esaminiamo in dettaglio come ti muovi: cosa ti succede quando…? Dove invece ti senti funzionare al meglio? In quali situazioni? Facciamo qualche esempio…

Fare i conti con la propria identità: i ruoli multipli

Le autoimmagini pongono il problema dell’identità, il senso profondo di “chi e cosa siamo”, e fanno emergere la presenza della “molteplicità dei sistemi di appartenenza degli attori sociali”, delle identità multiple, il fenomeno per cui diverse identità e ruoli sono compresenti nell’individuo stesso, e spesso sono in conflitto per la gestione delle risorse (tempo, denaro, attenzioni).

Queste identità possono convivere (a volte solo apparentemente) ma entrano normalmente in conflitto. Ad esempio, l’identità di padre può richiedere di uscire prima dal lavoro o di non assumere un nuovo incarico (perché già saturi), mentre l’identità di professionista, basata su stereotipi di manager onnipotente, super-efficiente, richiede che un nuovo incarico vada assolutamente accettato e ricercato, non ci si faccia scappare l’occasione. Per scegliere bene e rapidamente dobbiamo sapere bene chi siamo.

Perseguire obiettivi ambiziosi nel percorso di carriera e nell’ascesa professionale può andare in conflitto con l’ambizione di essere un buon padre o madre. Dividere bene “chi siamo” nei vari momenti della giornata, e rispettare i confini tra i diversi ruoli personali, è un’abilità sociale e professionale da non dare per scontata.

Ogni energia e tempo possiedono limiti, ed si possono generare conflitti tra le diverse identità. Le domande interiori sono costanti, ad esempio: dedicarsi alla carriera o alla famiglia (e se ad entrambe, con che equilibri)? Dedicare la prossima serata agli amici o al mio sè intellettuale (lettura)? Dare spazio all’avventuriero o al pantofolaio, nella prossima vacanza? Andare in palestra o stare a casa? 

Ogni volta che si presenta una scelta, le identità latenti emergono.

Riuscire a compiere una sintesi tra le diverse identità e ruoli, evitare di disgregarsi, trovare una centratura personale, è fondamentale[1].

Finché non si sono “fatti i conti” con i propri sé multipli, e ricercato un equilibrio consapevole tra le identità multiple compresenti in ciascuno di noi, appare difficile trovare una armonia interiore e vi saranno conflitti interni permanenti (dissonanze cognitive). 

Queste dissonanze interne porteranno a pensare “sono qui ma dovrei essere là” in ogni occasione: sono qui al mare con la famiglia (identità genitoriale) ma dovrei essere  a dedicarmi a quel progetto di lavoro (identità professionale), ma vorrei anche leggere un libro (identità intellettuale), e via così. I conflitti interni non risolti assorbono e consumano energie.

Questi conflitti di identità minano letteralmente la percezione del tempo (time perception), distruggono il vissuto “sano” del tempo, impediscono di vivere a fondo il momento nel quale stiamo vivendo, con la costante sensazione “mi sta sfuggendo qualcosa di importante”. 

Per superarli è necessario applicare un training di “cultura dei confini” nel quale il soggetto apprenda a creare barriere mentali tra le attività (da non confondere con il tentativo goffo di dirsi “smetti di pensarci”), tramite una vera ristrutturazione cognitiva dei tempi personali.

Il problema delle identità riguarda anche la sfera del role-fitting (letteralmente: adattamento nel ruolo): sentire il ruolo come proprio, sentirsi adatto al ruolo, ben calato nel ruolo, essere “a pieno nel ruolo” o “forzato entro il ruolo”. Impadronirsi a pieno del ruolo (empowerment) è spesso difficile.

In alcuni rari casi si assiste al miracolo: persone che per un certo periodo di vita riescono a far coincidere una propria passione con la professione. Es.: un pallavolista o calciatore professionista, un ballerino o ballerina che praticano l’attività per professione ma anche per passione, un artista o pittore che amano l’arte, un leader che ama sfide professionali, un medico che ama curare, un formatore o docente che amano davvero insegnare e trasmettere.

Questa coincidenza di identità professionali e passioni non è la norma. E anche quando accade non è permanente.

Un pallavolista o calciatore può trovarsi a convivere con un allenatore che gli è poco simpatico. Un artista o pittore può trovarsi a dover mantenere una famiglia e dover produrre dipinti o opere non più solo per l’arte ma anche e soprattutto per comprare le scarpe ai figli. Un leader può trovarsi improvvisamente con l’azienda per cui lavora fallita o acquistata da un gruppo internazionale, e – se gli va bene – accettare una posizione minore, o essere licenziato. Un medico può anche trovarsi a dover curare una malattia oggi incurabile, o gestire casi più forti delle sue capacità o lavorare in ambienti demotivanti. 

Il dilemma “lotta o fuggi” pone domande: puoi permetterti di abbandonare? Hai soldi da parte per vivere tutta la vita? Vivi di rendita? Hai avuto eredità? Riesci a produrre e vivere con passione anche in mezzo ai problemi o in ambienti imperfetti? 

Imparare a trovare le energie mentali per vivere anche fuori da un mondo ideale è una competenza utile per ogni persona e per ogni performer. Questa capacità psicoenergetica è la capacità di sostenere imperfezioni e abilità di adeguamento ad ambienti ostili, vivere un mondo difettoso per natura e in situazioni carenti senza che queste lacune facciano soccombere le forze e la volontà. Vivere nell’impossibilità di perfezione è una nuova arte.

Abbiamo detto, tuttavia, che inseguire un sogno è importante, per cui le abilità di adeguamento sono una capacità apprezzabile, ma ancora di più lo è capire quando è ora di cambiare e trovare il coraggio di farlo.

L’analisi complessiva dei fattori di identità e di ruolo permette di scomporre larga parte del disagio esistenziale. Il coaching potrà quindi rimuovere le aspettative su di sé che non possono veramente essere raggiunte. Potrà sostituirle con qualcosa di sfidante ma perseguibile e sano.

Potrà anche supportare i processi utili per trovare un equilibrio forte e fissare nuove mete raggiungibili con le proprie risorse, maggiormente coerenti con un principio di realtà, ripulite da illusioni e modelli proposti dai mass media e dalle aspettative altrui.

Il coach può e deve facilitare l’impegno dell’individuo verso la propria formazione, indipendentemente dal fatto che il risultato venga poi raggiunto o meno, e ristrutturare il concetto di apprendimento, da male necessario a piacere di scoperta.

Per fissare ancora meglio alcuni punti cardine, esponiamo alcuni pensieri basilari nei principi che seguono.

Principio 1 – Identità, ruoli ed energie mentali

Le energie mentali sono collegate alle capacità di:

  • riconoscere i diversi ruoli giocati ed eliminare le forme di concorrenza interna per le energie disponibili, con aumento di una cultura dei confini tra ruoli;
  • capire bene come distribuire energie e tempi nei diversi ruoli giocati in un certo momento della vita, staccare mentalmente da un ruolo (es. lavorativo) prima di entrare in un ruolo diverso (es.: genitore); evitare trascinamenti e confusioni di ruolo;
  • capire quali priorità dare e saper rinunciare senza rimpianti a pretese di onnipotenza e desiderio di “voler essere dovunque” o “voler essere in troppi ruoli”, capacità di rinuncia serena e consapevole, senza rimpianto;
  • armonizzazione dei sé multipli in una identità sana, coerente, senza dissonanze interne tra i ruoli, ancorata a principi solidi;
  • gustare e assaporare il vissuto del tempo speso in un ruolo e attività connesse senza voler essere contemporaneamente in un ruolo e attività diverse e concorrenti (incremento della presenza mentale);
  • pulizia mentale dalle aspettative sbagliate su di sé, inerenti i ruoli proposti dai media e dalla cultura dominante, e ricerca di una propria identità più vera.

[1] Va reso omaggio in questo ambito al mirabile lavoro di Roberto Assagioli, che su questo tema ha prodotto numerosi contributi. Il senso stesso del metodo da lui creato, la Psicosintesi, ha un significato simile a quello che stiamo qui proponendo. Vedi Assagioli, R. (1973), Principi e metodi della Psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1977), L’atto di volontà, Astrolabio, Roma; Assagioli, R. (1999), Psicosintesi: per l’armonia della vita, Astrolabio, Roma.

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Libertà di valori e libertà ideologica. Come queste diventano libertà nei comportamenti di tutti i giorni

La libertà della persona di assumere sistemi di valori che sente propri, di cambiarli.  Esaminare il sistema di valori ritenuti importanti nella vita, priorità tra valori e eventuali aspettative divergenti. Si tratta di un esame delle ideologie, dei “credo” valoriali, delle scelte di fondo che ci possono rendere un’attività soddisfazione o sacrificio. In cosa credi? Cosa è importante per te? Cosa da senso alla vita? 

Questo tratto è il più difficile da far emergere, toccando le scelte esistenziali, il significato stesso dell’esistenza. Se però riusciamo a far emergere alcuni di questi elementi forti, essi possono costituire l’ancoraggio di qualsiasi motivazione al fare, al crescere al migliorarsi. Un faro che guida la persona nella nebbia e verso la libertà più vera.

Tacco 12 in borsa, e cravatte odiose d’estate. Passerelle e patologie dell’Homo Aziendalis, in fuga dalla libertà

Guardiamo bene, e siamo sinceri.

Si stanno creando comportamenti osservabili, nelle aziende soprattutto, che sono ripieni di patologia. Quando a Milano o Roma vedi signore e ragazze scendere dal motorino o metropolitana, sfilarsi scarpe comode, infilarsi scarpe con tacco 10 o 12 e entrare in azienda, capisci che quel comportamento è un segnale di valori che si stanno distorcendo. 

Non si sta andando ad un matrimonio, ma ad una giornata di lavoro. 

In una giornata di lavoro, si cerca di essere produttivi. Si valorizza la meritocrazia, non la taccocrazia. Come fa un tacco 12 a renderti più produttiva?

Bisogna allora essere sinceri e dire che dentro alle aziende vige molto più la regola dell’apparire che dell’essere o del fare, e che questo male è una cancrena.

Lo stesso si può dire per i manager in giacca e cravatta d’estate, visibilmente sofferenti nel doversi vestire e coprire tanto. Del resto quanto finalmente, appena entrati in macchina, possono sfilarsi le stupidaggini da dosso, e mandare a quel paese quel sistema di falsità e rilassarsi, si sentono sollevati. All’estremo, arriviamo al manager che prima di entrare in azienda va dalla parrucchiera per rifarsi l’onda che tutto il giorno passa ad accarezzarsi, ma questo è “oltre”.

Il problema è “perché”? Goffman parlerebbe di “rituali” e “abiti di scena” con cui i personaggi aziendali cercano di darsi un’immagine. Ma in azienda servono “personaggi” o “persone vere?”.

Uno psichiatra sano, vedendoti vestito come d’inverno con 40 gradi, ti inserirebbe in qualche struttura di ricovero e recupero molto volentieri.

Invece, no. Diventa normale, diventa la regola del branco, il Dress Code diventa un valore, il che è pazzesco perché dovrebbe essere il contrario. 

I Valori dovrebbero dettare i Dress Code.

E nei miei valori, meritocrazia, creatività, produttività, far crescere il Potenziale Umano e Potenziale Personale, non vedo grande consonanza con il mascherarsi con tacco 12 e cravatta estiva. Quelli vanno benissimo, magari ad un party, o se sono scelta libera, se invece a non metterli rischi il licenziamento o il gulag, o il declassamento d’immagine, non ci siamo.

Come ci fa notare Harrison[1], esiste una serie di comportamenti che ogni etnia, ogni tribù, fa propri, e guai a chi li mette in discussione. L’Homo Aziendalis sta prendendo proprio una brutta piega, molto lontana dalla libertà e dalla verità, molto vicina alla “passerella aziendale” che poi fa chiudere le aziende per mancanza di veri contenuti e vere proposte. Pochi progetti e tanto packaging, non fanno bene.

In altre culture, penso alla Silicon Valley, vediamo amministratori delegati di colossi dell’Information Technology tenere discorsi ufficiali con un bomberino di pelle o una camicia semplice, e non tanto per apparire e fare understatement, ma proprio perché quanto hanno da dire è talmente denso e forte, che sovrasta enormemente il bisogno di vestirsi in abito di scena speciale.

Per cui, tornare a “dire” cose importanti deve diventare una nuova moda, rompere la Spirale del Silenzio, rompere la passerella del corridoio, e tornare a ragionare su cosa fa bene all’azienda veramente.

Ciò che vale sempre – come riferimento per il coach – è di puntare a inserire memi che potenziano la ricerca di una soddisfazione soggettiva verso la vita (life satisfaction soggettiva), la verità e la libertà espressiva, rimuovendo la spazzatura mentale che troviamo in circolo, con un’enorme dose di etica professionale e di attenzione.

I memi (tracce mentali) fanno la differenza tra attività che l’individuo vorrebbe saper svolgere e quelle che riesce a svolgere, condizionano il senso di efficacia personale, gli obiettivi che vorrebbe raggiungere e quelli pensa di non poter mai effettivamente a raggiungere (senso di potere personale). Il potere personale dell’essere liberi da falsità e cercatori di verità, è un potere enorme. Vale la pena cercarlo, dovessimo metterci tutta la vita.

I valori determinano comportamenti, in azienda e nel privato

Un valore vero si trasforma sempre in comportamento. In azienda, se un imprenditore crede veramente nel valore delle persone, fisserà un budget per la formazione, imprescindibile. Sul piano privato, se un tuo valore è mantenerti sano, un tuo comportamento sarà mangiare molta verdura e frutta, e fare ogni giorno attività fisica. Se non succede, siamo di fronte ad una dissonanza pesante. E la scusa “non ho tempo” regge poco, pochissimo.

Non parlo di diventare “santi”, parlo di diventare sinceri con se stessi e lavorare sulle dissonanze che troviamo, quando andiamo a scavare tra quello che facciamo realmente e i valori che possediamo e enunciamo essere nostri.

Non è un lavoro che fai per gli altri. Lo fai per te.

C’è gente che riesce ad allenarsi anche 10 minuti al giorno, in modo molto efficace, in stanza d’albergo prima di fare una doccia. Per diversi miei clienti che viaggiano molto ho sviluppato un circuito serio di 10 minuti con 10 esercizi diversi da fare in camera, a corpo libero, e con attrezzi quali il pavimento, le seggiole e niente altro, che vi garantisco che “fa”.

E questo vale per tutto. Se un tuo valore vero è la meritocrazia, ci sono comportamenti che ne derivano, molto concreti.

Ogni intervento di formazione o di coaching inerente il potenziale personale deve obbligatoriamente comprendere lo stato attuale delle credenze (sfondo memetico della persona) e la coerenza valori-comportamenti, rispetto alle aree su cui vuole intervenire. 

Più specificamente, dovrà inoltre analizzare le credenze attive su specifici quadranti che riguardano la performance (sfondi memetici di dettaglio), rimuovere e modificare credenze dannose rispetto agli obiettivi di coaching, e costruire un quadro consonante rispetto agli obiettivi desiderati di crescita e sviluppo personale.

Come conseguenza, va ribadito che le azioni di coaching in profondità e di coaching analitico non si accontentano di cambiare il comportamento esteriore ma devono obbligatoriamente incidere sugli sfondi memetici, sulle credenze profonde delle persone, localizzando blocchi e limitazioni, e stimolando stili di pensiero positivi. 

Il coaching agisce sulla “cultura personale”, non su psicopatologie, e quando investiamo sulla nostra cultura, quando una persona lavora su di sè, diventa più libera. 

Non esiste investimento migliore. È probabile che la cultura dell’investire su di sè riguardi per ora un’elite di professionisti, di manager, di persone che non si accontentano di adagiarsi su un nido vecchio ma desiderano lavorare al proprio “nido interiore” e renderlo più accogliente sia per se che per gli altri. Questa, a mio parere, è una grande forma di libertà.


[1] Harrison, Gualtiero (1988). Antropologia Psicologica. CLEUP, Padova.

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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Costruire il profilo ideale contro il quale comparare il soggetto

Per poter svolgere una buona valutazione del potenziale è necessario ricorrere alla profilazione. Per profilazione si intende la tecnica di mappatura di un profilo, in questo caso un profilo di competenze (saper fare), saperi e saper essere, rispetto al quale viene posizionato il soggetto.

Come arrivare alla profilazione

Per poter arrivare alla stesura di un profilo, è necessario compiere prima di tutto una raccolta delle caratteristiche, per poi organizzarla in aree, ed inserirla in una tabella.

Per raccogliere le caratteristiche è possibile ricorrere a diversi metodi:

  • ricerca sulla letteratura inerente la valutazione, le Human Resources, la psicologia sociale (soprattutto gli items inseriti all’interno dei differenziali semantici con i quali viene misurata l’immagine e il profilo nelle ricerche di psicologia sociale);
  • ricorso all’esperienza tramite colloquio a due, nel quale uno dei due soggetti funge da “serbatoio di esperienza” ed espone le caratteristiche positive e negative dei venditori da lui incontrati o gestiti, ed uno svolge da consulente, da “orecchio” attento a listare le variabili valutative che il primo usa mentre di fatto li valuta e li commenta.

Ecco un esempio di variabili valutative basato sul ricorso all’esperienza, in un tentativo di profilazione di area managers e venditori di ufficio export. 

  • creatività
  • capacità interculturale, sapersi comportare diversamente a seconda del paese nel quale ti trovi
  • capacità negoziali
  • capacità di analisi
  • saper fare un piano di sviluppo paese
  • analisi socioeconomica del sistema-paese, saper leggere i dati statistici e le tendenze sociali del paese
  • analisi struttura distributiva, sa capire come funziona la distribuzione in quel mercato
  • analisi qualitativa del mercato (gusti, tendenze, mode)
  • sa realizzare un piano pubblicitario e promozionale per il lancio di un prodotto
  • sa costruire partnership, piani di co-marketing
  • capacità di PR
  • autonomia logistica-organizzativa (viaggi, trasferte)
  • predispone campagne di comunicazione
  • capacità di negoziare con i fornitori locali 
  • conosce le tecniche costruttive del prodotto (fonts, pantoni, grafica editoriale)
  • sa creare concept di vendita (es: nuovi packaging) 
  • sa trovare chi realizza i concept (fornitori locali)
  • sa trovare i fornitori locali per promozioni 
  • sa condurre una riunione (meeting management)
  • prioritization skills: sa fissare le priorità
  • time management: sa gestire i tempi
  • assertività interna in azienda: sa esprimere le proprie posizioni, esigenze e richieste verso le altre aree e la direzione
  • source awareness: sa dove trovare le informazioni, conosce le fonti informative
  • ha capacità di ricerca autonoma di informazioni in internet
  • sa fare un’analisi del potenziale di vendita del paese
  • sa fare un budget di vendita e strutturarlo (per linee di prodotto e tempi)
  • collaboratività interna: non è geloso delle proprie informazioni verso la direzione, no egoismo, furbizia, non intende tenersi dati e potere
  • sa gestire filiali estere
  • sa finalizzare e chiudere le posizioni 
  • sa organizzare fiere all’estero e gestire la partecipazione aziendale
  • sa gestire i conflitti interni assertivamente (no ricorso all’aggressività immotivata, no passività)
  • sa fare planning con diagrammi Gantt
  • saperi finanziari e di controllo di gestione, vocabolario finanziario
  • sa i principi di matematica finanziaria
  • ha affidabilità personale, si può contare sulla sua parola
  • non è un confusionario
  • ha capacità relazionale
  • impegno, dedizione, committment verso l’azienda e il risultato
  • riesce a tenere una visione d’insieme sul mercato e sui progetti
  • comunica apertamente all’interno (no furbizie/astuzie strategiche, giochi tattici interni)
  • è smart, sveglia/o
  • buona capacità di utilizzo di software statistico-matematico (Excel)
  • sa realizzare presentazioni in PowerPoint
  • sa costruire un report professionale in word
  • sa realizzare mailing e e-mailing
  • buona autoefficacia e capacità di automotivazione
  • sa promuovere il branding dell’azienda
  • sa muoversi internamente (sa riportare al livello decisionale giusto)
  • rispetta i confini del suo ruolo
  • sa fare gruppo e squadra
  • ha un buon lifestyle e buona energia
  • non si tira indietro, non fa solo il minimo indispensabile
  • è serio/a
  • sa far crescere i junior, può essere un buon tutor
  • ha grinta/non ha grinta
  • è umorale (negativo)
  • è arrogante e/o presuntuoso (negativo)
  • è scontroso, difficile (negativo)
  • introverso/estroverso
  • disponibile a viaggiare in luoghi/nazioni pericolosi
  • è un incursore vs. sta nelle retrovie

Come si potrà notare, le caratteristiche sono listate senza un ordine logico, le formule verbali sono a volte imprecise e variabili, come emergono “durante la conversazione”.

Sarà compito successivo del sales manager sistemarle, formularle in modo comprensibile, ordinarle e creare un rating scale (tabella valutativa).

Costruisci il tuo profilo di venditore ideale

Dopo aver prodotto un elenco esauriente, è possibile raggruppare gli items (voci valutative) e passare alla costruzione e alla stesura del profilo del Il mio venditore ideale dove esplicitare :

  • le conoscenze tecniche e intellettuali attese ( Sapere )
  • gli atteggiamenti e “modi di essere” attesi ( Saper essere )
  • le azioni e compiti che ci attendiamo sappia svolgere bene ( Saper fare )

Ogni leader deve saper profilare cosa si attende.

Ciascuna direzione vendite, in ciascun mercato, deve procedere alla costruzione del suo profilo ideale. Non esistono profili standardizzabili validi per ogni azienda e per ogni occasione. Ogni azienda ha esigenze diversificate sia, sul piano tecnico-professionale, sia sul piano della personalità ideale.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Risultati di vendita

“Non importa il risultato che raggiungi facendo una cosa; l’importante è esserci dentro con tutto te stesso, con la consapevolezza di aver dato il massimo senza mai arrenderti e senza rimpianti, credendoci fino all’ultimo senza chiederti se la scelta è giusta o meno. L’importante è non mollare.”

Samuele Diglio

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori

Una frase come questa ci porterebbe a pensare che i risultati non contino, ma non è questa la chiave di lettura che vogliamo dare. 

Quello che sosteniamo, è che nella vendita, i risultati, quando arrivano, sono sempre frutto di una semina e di una forte determinazione, mai del caso, e quando il caso butta alla porta, la persona formata e pronta lo sa cogliere, la persona non formata e non pronta non lo vede nemmeno passare.

Aree di valutazione : atteggiamenti e comportamenti

Le possibili aree di valutazione dipendono strettamente dal job-profile di vendita, dal tipo di ruolo organizzativo che l’azienda chiede al venditore consulenziale di assumere.

I diversi mandati organizzativi possono essere classificati in:

  • Capacità di apertura di contatti.
  • Capacità di analisi e negoziazione.
  • Capacità di chiusura.
  • Numero di contratti conclusi.
  • Gestione del post-vendita.

Valutare significa chiedersi:

  • Come si muove il venditore all’interno dell’imbuto di vendita (Funnel di Vendita o Sales Funnel)? 
  • Quale curva assume il suo tempo? 
  • Su quali aree è forte e su quali è debole?
  • Sta seguendo il mandato assegnato?
  • Che cosa caratterizza i diversi venditori secondo voi? 
  • Come li descrivereste? 
  • E voi in che tipo di Funnel vi rivedete? 

Facciamo un’autoanalisi il più possibile oggettiva.

In generale, è indispensabile analizzare non solo i risultati di vendita ma anche atteggiamenti e comportamenti consulenziali del venditore nelle diverse zone temporali.

Atteggiamenti e comportamenti relativi alle soft-skills da valutare nel venditore

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori
  • Capacità di Public Speaking e di presentazione
  • Capacità di ascolto attivo del cliente
  • Comportamenti empatici nel front-line
  • Comunicazione interpersonale
  • Gestire riunioni
  • Time Management
  • Capacità di negoziazione
  • Intelligenza Emotiva
  • Resilienza: capacità di risollevarsi dopo una difficoltà
  • Contributo al team
  • Autonomia organizzativa
  • Qualità dell’azione sul mercato
  • Curve di apprendimento (rapide o scarse)
  • Disponibilità ad apprendere e mettersi in gioco
  • Flessibilità vs. rigidità nel condurre mansioni e compiti non naturali per il ruolo per far fronte ad emergenze organizzative.

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La struttura di una Campagna di Vendita Professionale

Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione). Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”.

E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”. Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

Lo schema a 12 Punti per le Campagne di Vendita, Comunicazione e Marketing.

  1. Titolo: una buona campagna deve avere un titolo, una sigla o acronimo che permetta di identificarla. Dare un titolo significativo è uno dei primi e più trascurati problemi di management comunicativo
  2. Problem Setting, Situation Analysis – Mission e Obiettivi (P.S.M.): Ogni campagna deve agire su problemi o obiettivi, è quindi necessario passare da definizioni vaghe o imprecise ad una esatta definizione del problema che genera il bisogno di fare una campagna o attività
  3. Team di progetto: Definire il Project Leader, i membri del team, i loro confini di ruolo, il loro motivo di inclusione nella campagna e le attese nei loro riguardi
  4. Partners: quali enti o associazioni o aziende coinvolgere, chi può collaborare e portare contributi? Come incoraggiare e motivare i partners? 
  5. Target Audience Primarie: quali sono i destinatari principali? Se si tratta di una campagna di comunicazione, a chi vogliamo comunicare, per ottenere o cambiare cosa?
  6. Target Audience Secondarie: a chi altri è necessario comunicare per rinforzare il risultato o renderlo possibile. Esistono influenzatori e opinion leaders che dovremmo “toccare”?
  7. Communication Goal: passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goal richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.
  8. Message Strategy, “Narrative Strategy”, “Storytelling” (“Battle for the Narratives”): La strategia del messaggio si pone il problema di quale sia la stimolazione adeguata, quali messaggi inviare e perché. Quale “storia” si sta veicolando? Contro quale storia alternativa stiamo combattendo? Es., la “storia” che ci vuole azienda locale che deve limitarsi ai piccoli clienti locali vs. la storia di un’azienda artigiana di lusso in grado di servire ogni cliente nel mondo? Ogni comunicazione ha dietro di se una storia ed è sempre in corso una “battaglia” per quale storia avrà il sopravvento. Di questa storia, di questo messaggio, chi ne sono i protagonisti? Problemi concreti diventano: quale stile di comunicazione utilizzare (es: ironico, poetico, manageriale, informativo, emotivo…), quali argomentazioni, quali informazioni inserire, come organizzare le parti del messaggio, il timeline della comunicazione, e quindi il tipo e struttura del messaggio. Far uscire la “storia” giusta significa fare una buona pianificazione della psicologia del messaggio, base di ogni risultato.
  9. Channel Strategy – per far sì che il messaggio arrivi è necessario ricorrere a canali comunicativi, siano essi persone, mass media o canali social, direct marketing, mailing, fiere, eventi, convegni, incontri fisici, o elettronici e online, videoconferenze e ogni altro media che emergerà in futuro, senza mai dimenticare il media più antico, l’incontro umano (tecnicamente chiamato Key Leader Engagement quando applicato alla comunicazione persuasiva). È necessario quindi fissare i canali comunicativi da utilizzare, media primari e secondari, e il media-mix. La strategia dei media deve essere “command driven” (seguire una linea strategica impostata), e utilizzare una “matrice di sincronizzazione” (Synchronization Matrix) in cui tutti i mezzi di comunicazione, di informazione, di delivery (consegna di messaggi), e di contatto umano, vengano compresi e sincronizzati. Sincronizzare le attività comunicative e tutti i media elettronici e umani è di assoluta necessità, perché ogni azione ha bisogno delle azioni di supporto che la accompagnano in un esatto, preciso momento del tempo. Ogni campagna ha bisogno di sostegno, e come in un cantiere, quando manca sostegno, o non c’è sincronizzazione tra le azioni degli operai in azione, l’impalcatura cade.
  10. Sistema di valutazione. Per capire se la campagna ha funzionato è necessario poter misurare, far riferimento ai goal prima definiti. Ricavare feedback permette anche di tarare in corso d’opera, per quanto possibile, i temi e messaggi, i canali e i veicoli comunicativi. La difficoltà nel valutare la comunicazione consiste soprattutto nel misurare sia i risultati tangibili che quelli intangibili ma comunque accaduti. La Activation Research misura quanti clienti o altri soggetti sono stati “attivati” e da quale canale. Questo permette di valutare l’efficacia dei vari canali e iniziative utilizzate e ottimizzare le campagne per il futuro.
  11. Project Management. Una campagna mette sul campo una serie di risorse, uomini e mezzi, investimenti, impegni, che devono essere coordinati dall’alto e seguiti. Il project management definisce fasi, tempi e responsabilità, all’interno di una matrice di coordinazione (Coordination Matrix).
  12. Budgeting – per una campagna servono risorse, e quindi è necessario avere una stima adeguata dei costi di tutte le operazioni e delle risorse per le diverse fasi, capire quali saranno le fonti di finanziamento e assicurarsi che la campagna non si interrompa sprecando tutte le azioni precedenti.
I punti chiave che determinano il successo di una campagna

Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica.

Thomas A. Edison



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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Libertà del corpo (area bioenergetica)

Con il corpo si fanno i conti solo quando va male, si ammala, o una parte di esso smette di funzionare bene. Cambiare la cultura del corpo per manager è fondamentale, per lavorare meglio, per vivere meglio, per essere migliori

La cultura dell’abitare in un corpo cui dai “attenzione” è stata persa man mano che il lavoro si è spostato sul piano intellettuale. Si crede, erroneamente, che un compito come essere manager sia un compito della mente, dimenticando che è un compito ampiamente dipendente dalle energie corporee a disposizione. Provate a dirigere con attenzione una riunione avendo mal di testa, e capirete immediatamente quanto questo sia vero. Vi è poi un altro capitolo, quello dell’effetto che ha un corpo forte e sano sull’auto-immagine. L’assertività e la pacatezza di un corpo sano e forte sono un connubio assoluto. La malattia o un corpo debole portano sempre con sè anche disturbi dell’umore, sino a vere e proprie distorsioni della personalità

La libertà del corpo è qualcosa che si conquista. Persino imparare a camminare, o a mangiare da soli, è una conquista e deve essere letteralmente “imparata”. 

Se poi vogliamo essere liberi di correre o fare sport impegnativi, allora è davvero il caso che per ottenere questa libertà, mettiamo il corpo, il nostro corpo, al centro di un serio piano di allenamento, alimentazione, recupero, e lo trattiamo come macchina delicata, evitando di romperlo. 

Qui diventa fondamentale distinguere tra stimoli allenanti (un buon allenamento, anche duro, e progressivamente impegnativo, fa bene) e stress inutili (intasarsi di smog, di stress relazionale, di climi tossici, non fa bene, mai).

La libertà corporea è condizionata dalle nostre credenze e abitudini sul funzionamento del corpo e del rapporto corpo-mente. Questo sfondo di conoscenze è spesso viziato da enormità di errori e informazioni dissonanti assorbite dalle fonti più disparate, riviste, media, amici, parenti.

Rispetto al corpo, esiste ogni tipo di atteggiamento e il suo contrario, per cui andiamo dai vegani che rifiutano ogni fonte di cibo legata agli animali (definendo il latte “sangue bianco”), ai fan delle proteine ad ogni pasto (mangio ogni cosa che abbia due occhi e un naso), dai fautori dello yoga del respiro ai praticanti di Mixed Martial Arts e dell’allenamento estremo. E non sto giudicando queste discipline, ne pratico parecchie. Ma è bene essere coscienti di cosa si fa con il proprio corpo e di quali effetti ne verranno. 

Per cui, spendiamo tempo a curare la nostra macchina corporea, alleniamola, curiamola, diamogli attenzione. Ci ripagherà!

Mai dare per scontato niente. Un buon coach, deve verificare eventuali squilibri sul piano corporeo e biologico che impediscono all’individuo di avere un corpo libero, flessibile, sano, e uno stile di vita in cui il corpo va usato, gli va fatta manutenzione, va curato, e non solo abusato.

La libertà è anche alzarsi sulle proprie gambe e avere un corpo che ti porti dove vuoi e non ti faccia da ostacolo o palla al piede. E per quanto la vecchiaia, gli handicap, le malattie, non aiutino, l’attenzione al corpo e il lavoro allenante ha sempre una sua dignità, in qualsiasi condizione si sia.

Libertà mentale (psicoenergetica)

La libertà psicoenergetica riguarda il pieno possesso delle nostre energie mentali e facoltà mentali. Quali facoltà? Ne cito solo alcune tra le migliaia individuabili:

  • resilienza psicologica e resistenza allo stress;
  • forza emotiva e connessione alla fragilità emotiva;
  • capacità di percezione;
  • capacità propriocettive (percezione dei propri stati interni);
  • capacità di analisi;
  • capacità di isolamento mentale (concentrazione focalizzata);
  • capacità di concentrazione sul task/compito;
  • capacità di focalizzazione;
  • capacità di ricentrare le energie mentali;
  • capacità di rilassamento;
  • capacità di meditazione;
  • capacità emozionali (intelligenza emotiva);
  • capacità di distanziare l’ansia;
  • capacità relazionali (es.: empatiche e assertive).

Quando siamo in pieno possesso della motivazione, della volontà, dell’attenzione, delle facoltà di percezione, siamo molto più pronti ad essere liberi o a diventarlo. Siamo in grado di recepire i segnali corporei, e le atmosfere umane.

Siamo più in grado di capire cosa ci nutre, cosa ci intossica, e intervenire.

Il lavoro comprende il conoscere come funziona la propria motivazione ed energie mentali interiori; tocca la libertà dall’ansia, dalle paure immotivate e inutili. 

Se non impariamo a filtrare i messaggi in ingresso, ad ancorarci a facoltà mentali con buona capacità di accedervi quando lo vogliamo, rischiamo di venire strattonati da ogni possibile persona che vuole influenzarci, vittime di ogni possibile gruppo o messaggio, sino ad ingolfare la mente ed entrare in dissonanza totale.

Libertà dalle “Emozioni parassite” e capacità di attivare una “Ginnastica delle Emozioni”

Lo scopo del metodo HPM sull’area psicoenergetica è che le emozioni siano vissute in armonia con i propri bisogni e desideri, e soprattutto che possano esserne un supporto, e non un peso. 

Le emozioni che l’individuo vive però a volte sfuggono di mano, diventano zavorra, anziché aiutare, possono impedirgli di realizzare sogni, bisogni e desideri. Ad esempio, potresti sentirti triste seppure accanto ad una persona con cui invece vorresti essere, oppure invaso da pensieri negativi, introversione e tristezza ad una festa, una festa dove desideri socializzare. Potresti vivere un convegno interessante e ricco di possibili incontri e scoperte come una serie di fastidi e obblighi.

La tristezza viene vissuta nel momento sbagliato e porta il tempo verso un crescente isolamento, In questo caso, la tristezza diventa un’emozione parassita.

Le emozioni parassite si presentano spesso unite a svalutazione di sè, a pensieri del tipo “non valgo”, non merito, non sono all’altezza e altre ruminazioni mentali negative. 

Nel metodo HPM ci occupiamo proprio di riconoscere e rimuovere questi stati, che non riguardano una “patologia” ma un bisogno di alfabetizzazione ai vissuti emotivi. 

Le tecniche utilizzate vanno dall’Emotional Detection (riconoscere l’emozione, grazie ad un lavoro di “Focusing”), all’Emotional Labeling (saperla denominare), Emotional Refraiming (saper sostituire uno stato emotivo con pensieri alternativi e positivi), Emotional Communication (saper comunicare i propri stati emotivi e condividerli con le persone giuste e i momenti giusti per non lasciarli macerare dentro). 

Tutto questo repertorio porta verso una “Ginnastica delle Emozioni”, di cui ho parlato già nel libro “Il Coraggio delle Emozioni”, e altro materiale verrà esposto in questo libro.

Libertà dei propri ruoli di vita

Vivere ha spesso l’obbligo sottostante di interpretare un ruolo. Medico, cantante, saldatore, giardiniere, studente di architettura, sportivo, padre, single, studente di scuola media, artista, leader, capitano, gregario. Sono tutti ruoli rispettabili. 

Il punto è: quando viene il momento in cui tu decidi il tuo ruolo? E quanto sei in grado di far convivere tra di loro più ruoli? Es. essere padre senza rinunciare ad essere sportivo ed evitare di cedere allo stile “lavoro-stress-mangiare-divano-tv-pancia”?

Come fare per trovare forme di autoregolazione tali che il desiderio di carriera non distrugga la famiglia e te? Intanto sappiamo che è possibile. Secondo, sappiamo che è materia di Life Coaching: trovare equilibri di vita, sperimentare, provare e riprovare senza paura.

Questo ha a che fare con le conoscenze su come si forma un ruolo e sul funzionamento delle proprie competenze di ruolo; credenze su come “si fa carriera”, su cosa significa progredire, avanzare, trovare se stessi in un ruolo.

Per ogni ruolo, esiste quello che è bene conoscere e quello che puoi fare a meno di conoscere. E nella vita, i ruoli si susseguono, non sono statici, e non devono mai diventarlo. La libertà, è anche libertà di cambiare ruolo.

Occorre liberare le idee su quanto si possa o non si possa incidere attivamente sul proprio futuro, su dove esso è o non può essere diretto o bloccato.

In questo campo il coaching è fondamentale per assistere la persona nel dotarsi di competenze indispensabili per costruire il proprio futuro anziché lasciarlo in mano al destino o alle volontà di altri. Vivere la propria vita a pieno significa anche acquisire i saperi, saper fare, e saper essere, che lo rendono possibile. Vivere con gioia un ruolo è un forte stato di libertà.

Libertà di esprimersi nei dettagli

Possiamo decidere di andare in profondità nelle cose anziché starne solo alla superficie? Questa è una forma interessante di libertà. Una “micro-libertà”.

Riguarda la libertà di appassionarsi a cose che altri giudicano futili, es fare modellini di auto in miniatura, o bonsai, o curare un giardino.

Esiste un grado di abilità nei dettagli di esecuzione, i possibili miglioramenti di esecuzione rispetto ad attività che la persona compie e in cui vuole migliorarsi; ad esempio, un coaching sulla respirazione durante il gesto sportivo, o in campo manageriale, migliorare le tecniche di apertura di un public speaking, imparare a riconoscere le micro-espressioni. Un buon coach sa capire e far emergere quali sono i dettagli lavorabili che possono aumentare l’efficacia della persona.

Maggiore è la nostra padronanza nei dettagli di qualcosa che per noi è importante, maggiore è il senso di autoefficacia, potenza e libertà esecutiva.

Libertà progettuale

Essere liberi significa anche saper realizzare progetti. 

Avere sogni che non si concretizzano mai e poi mai, non è vera libertà. Quando ve ne sono le condizioni, o impariamo a crearle, fare progetti diventa bellissimo e liberatorio. Un atto di espressività.

Dobbiamo quindi esaminare le nostre credenze sul tema della propria capacità progettuale, ampliamento della capacità di concretizzare un proprio progetto, tradurre un ideale in progetto.

Il coaching qui è veramente fondamentale per far passare un sogno da qualcosa di utopico ad un progetto realizzabile. Se sogno di dimagrire, un progetto concreto per dimagrire mi sarà di enorme aiuto, e qualcuno che mi segue diventa un mio compagno di viaggio. Se voglio esplorare i mercati asiatici, devo identificare gli step da compiere, e iniziare con step praticabili molto pratici. Non posso solo sognare di farlo.

La libertà di progetto è una “libertà pragmatica”, fatta di cose tangibili, di azione, di “chi fa cosa”, di gestione di risorse e dei tempi. Ma è creativa tanto quanto la pittura o la scultura. Così come la libertà di portare avanti un progetto “a modo nostro” senza dovere sempre seguire la tradizione.

Assagioli[1], un grandissimo scienziato Italiano vissuto negli USA, in un classico degli studi sul potere personale del “fare”, tuttora attualissimo, ci parla dell’ “Atto di Volontà” come forma suprema di espressione umana. Bene, quando questo atto si concretizza e passa dal “voglio” al “lo faccio, ci provo”, abbiamo fatto grandi passi avanti.

Libertà di valori e libertà ideologica. Come queste diventano libertà nei comportamenti di tutti i giorni

La libertà della persona di assumere sistemi di valori che sente propri, di cambiarli.  Esaminare il sistema di valori ritenuti importanti nella vita, priorità tra valori e eventuali aspettative divergenti. Si tratta di un esame delle ideologie, dei “credo” valoriali, delle scelte di fondo che ci possono rendere un’attività soddisfazione o sacrificio. In cosa credi? Cosa è importante per te? Cosa da senso alla vita? 

Questo tratto è il più difficile da far emergere, toccando le scelte esistenziali, il significato stesso dell’esistenza. Se però riusciamo a far emergere alcuni di questi elementi forti, essi possono costituire l’ancoraggio di qualsiasi motivazione al fare, al crescere al migliorarsi. Un faro che guida la persona nella nebbia e verso la libertà più vera.


[1] Assagioli, Roberto (1973). The Act of Will. Viking Press, NY. Trad it. L’atto di volontà, Roma, Astrolabio, 1977.

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