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Nei percorsi di formazione e coaching, ogni azione o intervento ha impatto su quella successiva.

Il cambiamento positivo viene favorito da:

  • progettazione delle sequenze di stimolazioni, riscaldamento progressivo dei partecipanti o dell’organizzazione verso una sempre maggiore partecipatività;
  • stimolazione di contrasto (azioni dalla natura molto diversificata);
  • progettazione delle sequenze di contrasto, facilitare la comparazione tra diversi stati di un processo o diversi modi di essere.

Un processo di cambiamento diviso in fasi deve avere collegamenti tra fasi. Devono essere progettati

  • I momenti di overlap tematico e shift tematico (sovrapposizione, cambio di tema, passaggio del testimone, sinergia tra diverse aree di cambiamento);
  • I momenti di overlap strumentale e shift strumentale (il momento del cambio di tecnica, l’introduzione di nuove tecniche, il raccordo tra tecniche).

Il cambiamento viene rallentato o ostacolato da:

  • sequenze di eventi mal progettate;
  • azioni non precedute da fasi di riscaldamento o dalla creazione di un clima di accettazione o fiducia (coaching positivo e collaborativo);
  • necessità di ricorso eccessivo a repair e patti psicologici, per l’insorgere di meccanismi di anti-leadership e boicottaggio del processo;
  • variazioni di stato che sfuggono alla percezione, tali per cui nessun cambiamento appare evidente, anche se in realtà si è prodotto (cambiamento subliminale, sotto la soglia di percezione).
  • difficoltà nel produrre shift tematico, passaggio di tema o di target;
  • scarso grado di overlap tematico (passaggio di tecnica brusco, senza collegamenti comprensibili, ove non vi sia un patto psicologico forte a priori);
  • difficoltà nel produrre shift strumentale, cambio di strumento (abitudine verso una tecnica, trovarsi bene con la tecnica in uso e non volerla cambiare, timore del nuovo);
  • scarso grado di shift strumentale (azioni mono-tecnica o mono-canale).

Dobbiamo ricordare che non sempre le azioni consulenziali o di coaching e formazione devono essere collaborative, ma esistono anche approcci consulenziali o di coaching assertivi, soprattutto verso chi mette in campo atteggiamenti anti-leadership e di boicottaggio del processo.

La crescita assertiva di un team può infatti utilizzare strumenti che non prevedono ricorso a repair, addolcimenti o fasi di riscaldamento, ma puntano dirette all’azione, all’inclusione o esclusione (espulsione) di un soggetto dal team, se egli non risponde a requisiti indispensabili per farvi parte.

Chi pratica Deep Coaching, in altre parole, deve far salire tutti sulla propria carrozza e averli con sé in ogni fase del processo. Non sono ammessi personalismi e vizi che possono danneggiare l’intero impianto di coaching.

Dal Training Deep Coaching. Confini ed evoluzioni della formazione classica e della nuova formazione esperienziale.

La nuova formazione aziendale, e non solo, è quella esperienziale, quella che “fa succedere delle cose”, che fa accadere stimoli formativi, che lavora sulla prova ed errore, sul feedback e sull’assimilazione profonda e mai solo mnemonica.

È questo l’unico vero modo per aiutare una persona o un’impresa a evolvere.

Cambiare, evolvere. Ogni persona, ogni istituzione o azienda, fronteggia giorno dopo giorno questa necessità. L’evoluzione è il principio motore della vita: dalla capacità di evolvere dipende l’esistenza di un organismo. 

“L’evoluzione può essere necessaria soltanto a colui che si renda conto della sua situazione e della possibilità di cambiarla, e si renda conto che ha dei poteri che non usa e delle ricchezze che non vede. Ed è nel senso della presa di possesso di questi poteri e di queste ricchezze che l’evoluzione è possibile.”

George Ivanovitch Gurdjieff

Chiunque abbia tentato di evolvere, sa che il cambiamento non si “comanda”, per ottenere il cambiamento servono almeno (1) una volontà interiore di cambiare o anche solo di evolvere (senza la quale nulla accade), (2) una visione, un indirizzo, aspirazione, ideale o meta da raggiungere, più o meno strutturati, (3) la costruzione di un percorso di cambiamento, (4) strumenti efficaci e leadership per supportare le fasi, le sfide del percorso e le sue trappole o insidie. 

Il cambiamento può avvenire secondo un percorso autonomo o con l’aiuto di un professionista (change agent: counselor, terapeuta, consulente, formatore, docente o trainer, Coach, e altre accezioni varie della relazione d’aiuto). 

Il ruolo dei Coach, consulenti e trainer, è quello di fornire un supporto, una Regia che canalizzi le energie del cambiamentoverso le direzioni più produttive. Che sia una Regia Formativa, una Regia di Coaching, o una Regia del Cambiamento Organizzativo, si tratta sempre di avere un punto di osservazione “alto” dal quale guidare il processo e le sue singole fasi e la capacità di immergersi là dove si compie l’azione, là “in basso”.

In caso contrario avremmo dei comandanti di navi che non hanno mai visitato la sala motori, e questo non è bene.

Un consulente o trainer può fornire aiuto nella fase di:

  1. focalizzazione degli obiettivi, 
  2. costruzione del percorso, 
  3. individuazione di esercizi di formazione attiva esperienziale, e
  4. nella ricerca degli strumenti (tools) che accompagnano il cambiamento.

Il meta-obiettivo è creare delle condizioni favorevoli all’apprendimento e al cambiamento, ponendosi come facilitatore di questi processi.

Il cambiamento autonomo senza supporto esterno genera spesso fasi di stallo, scoraggiamento, difficoltà, o – ancora peggio – la riduzione della pulsione al cambiamento, non appena il raggiungimento di alcuni micro-obiettivi illude il soggetto che il mutamento evolutivo sia avvenuto.

Il cambiamento non riguarda solo le persone, l’azienda, lo sport o il benessere. Aziende e istituzioni richiedono sempre più spesso ai propri collaboratori e manager una forte competenza in comunicazione, problem solving, gestione di processi complessi e capacità adattive.

Tale dinamica ha prodotto la nascita di nuove figure professionali (i formatori in comunicazione, i formatori manageriali, i counselor manageriali o personali, i coach, e altre), che devono possedere un know-how specifico di elevato spessore sul fronte dei contenuti (competenze tematiche) e una capacità elevata nell’abilità di trasmetterli (competenze trasmissive) o di produrre il cambiamento (competenze incisive). 

Il problema è che essi agiscono spesso senza applicare alcuna forma di Regia. Fanno ciò che piace più al cliente o ciò che farà prendere il voto migliore nella “pagellina del docente” di fine corso. Il rischio? Non fare le cose giuste, quelle che magari non gradite, ma sono efficaci e sono di fatto la medicina migliore. Bisogna quindi sapersi destreggiare tra consapevolezza del bisogno di produrre effetto – il bisogno di risultati concreti – e il puro piacere o divertimento fine a sé stesso. Nella formazione outdoor ed esperienziale, questi quadri sono spesso ancora più confusi e gli obiettivi si confondono continuamente. 

La chiarezza del “perché facciamo questo” – di qualsiasi tecnica formativa o di coaching si tratti – va portata sempre in primo piano, e comunicata a tutti: clienti, collaboratori, membri dello staff, con grande chiarezza, sensibilità e assertività.

Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.

Galileo Galilei

I consulenti di cambiamento possono (1) erogare direttamente i propri servizi di coachingcommunication training, personal training, o management training, ma anche (2) agire come “consulenti del processo formativo” in ogni area della trasmissione dei saperi, del saper essere, del saper fare, del cambiamento personale e della crescita personale e delle risorse umane. 

In questo caso, la loro funzione diventa veramente quella di “Consulente di Processo”, che aiuta la persona o l’organizzazione nel passare da un processo precedente ad uno migliore e più funzionale. Edgar Schein, autore e ricercatore, ha scritto su questa funzione di “Consulente di Processo” un intero libro[1] che invito assolutamente ad approfondire perché densissimo di ragionamenti e strumenti utili.

Il principio di base di una consulenza di processo è quello di portare una persona o un sistema (azienda, organizzazione), da X ad Y, da uno stato attuale ad uno desiderato, e di farlo con estrema chiarezza.

Se non riusciamo a spiegare ed esporre chiaramente il perché una certa azione di coaching o di formazione sia necessaria, e a cosa punta, probabilmente non l’abbiamo capita nemmeno noi.

Nei casi in cui mi preoccupano questioni di stile e di esposizione cerco di seguire una massima semplice: se non lo posso esporre con chiarezza non lo posso nemmeno comprendere io stesso.

John Searle

Anche nel contesto aziendale, lo scenario che viviamo ci spinge sempre più a volere i formatori attivi, praticanti di una didattica attiva – sempre meno come 

“docenti classici” e sempre più come “Change Agents” (agenti di cambiamento) – cui si chiede la capacità di “far crescere le persone” in maniera dinamica, mettendo in campo esercitazioni, un agire che vuole incidere davvero su atteggiamenti e comportamenti, e non solo trasferire contenuti verso un ricevente passivo. 

Questa necessità di cambiamento nella visione del ruolo è presente anche per l’“insegnante”, ma ancora maggiormente nei ruoli di formatore, nei ruoli di terapeuta, Coach, Counselor, trainer, allenatore sportivo, nel coaching manageriale, nello sviluppo personale, e nella direzione delle risorse umane.

Il processo formativo o di cambiamento si compone di diverse fasi, di cui il “training” rappresenta la parte centrale. Prima del “corso” o “intervento”, a monte e a valle, sono necessarie altre azioni, quali (1) la diagnosi degli obiettivi e fabbisogni formativi, (2) la progettazione formativa, ma ancora meglio una Regia Formativa, (3) l’acquisizione delle risorse e realizzazione, sino a (4) la valutazione dei risultati, sia tangibili che intangibili, di apprendimento ma anche di effetti sul modo di lavorare sino all’impatto sul cliente finale. 

La formazione richiede una professionalità specifica, che va oltre la competenza nella materia trattata e richiede conoscenza delle dinamiche di comunicazione e apprendimento attivo (coinvolgimento, partecipazione, active training).

In altre parole, essere dei Formatori con la F maiuscola, o dei Coach con la C maiuscola, significa avere a cuore il risultato e saper predisporre un impianto complesso di risorse – formatori – coach – sedi didattiche – fattori sia tangibili che intangibili, e competenze per raggiungere quel risultato.

Questo non è diverso da quanto faccia un regista con un film, con la differenza che spesso nella Formazione e Coaching, il Regista entra in campo in prima persona, o almeno deve avere avuto migliaia di ore di “field experience” e training specifici per poter anche solo pronunciare le parole Formazione Esperienziale e Coaching Esperienziale. 

“L’evoluzione è molto più importante che il vivere.”

ERNST JÙNGER

Le domande esposte sono solo un campione di moltissimi altri temi aperti, che troviamo in ogni progetto di cambiamento attuato tramite la formazione attiva, il coaching e il mentoring. La loro numerosità è spessore evidenzia come il cambiamento sia un processo realmente complesso. Numerose altre domande sono quindi utili e andrebbero aggiunte al modello, ma il compito di realizzarle è contestuale, dipende quindi dal singolo progetto, dal singolo caso, dalla singola situazione, che va trattata appunto in modo individuale e personalizzato.

Un processo di cambiamento, formazione o coaching deve essere partecipato attivamente. Le fasi partecipative devono variare in intensità, tipologia (tipo di attività), e livello di elaborazione, permettendo di attivare canali di apprendimento multipli.

Il cambiamento positivo viene favorito dalla sequenzialità (orchestrata registicamente) di almeno i seguenti fattori:

  • azioni in prima persona;
  • osservazione attiva di azioni compiute da altri;
  • fasi di rielaborazione dell’esperienza, debriefing esperienziale;
  • fasi di chill-out (scarico).

Le azioni di coinvolgimento devono sollecitare la multisensorialità o immersività sensoriale:

  • immersività nell’osservazione (canali visivi), in real life o aumentata con ausili tecnologici;
  • immersività nell’azione (provare, manipolare, fare), l’azione diretta, esperienze cinestesiche (legate al movimento);
  • immersività uditiva (ascolto, ausili audio);
  • i canali olfattivi e gustativi (ove possibile).

Le diverse azioni e canali di azioni devono essere divise in frames esperienziali progettati per evitare l’effetto di saturazione (ceiling effect) di una tecnica o canale. 

Nonostante quanto sostengono alcuni teorici (vedi Kolb), è possibile creare impatto sia partendo dalla teoria che partendo dalla pratica, o con qualsiasi altro formato, purché l’insieme complessivo dell’esperienza riesca a generare volontà di partecipare attivamente al cambiamento e non solo essere spettatori.

Il principio delle curve esperienziali si applica sia nel micro-ciclo, che nel meso-ciclo e macro-ciclo di un progetto di Deep Coaching.

Principio di varietà e multicanalità nel coaching: prevenire ed evitare il ceiling effect (effetto saturazione)

Chi pratica Deep Coaching (coaching in profondità) e lavora con impegno ed intensità, deve mettere in conto l’”effetto stanchezza” e l’effetto “saturazione” che l’allenamento produce in ogni singola tecnica, poi nell’insieme di una sessione allenante, e ancora in un intero ciclo allenante. Questo vale sia per le skills motorie e training fisico, per le skills mentali e training mentale, e per le skills manageriali e il training manageriale.

Un evento formativo o di crescita personale di durata x deve essere progettato tramite azioni formative di natura molto varia, tali da attaccare le training issues (temi di training) e i change targets (obiettivi di cambiamento da raggiungere) con strumenti multipli, consentendo di aggredire il problema da più angolature, e creare varietà che combatta la monotonia.

Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.

Friedrich Nietzsche

Il principio di varietà si prefigge di combattere il fenomeno del ceiling effect, o “effetto tetto”: il raggiungimento di un grado di saturazione oltre il quale una singola tecnica smette di funzionare e produrre risultati.

Persino mangiare dolci, per quanto buoni, ha un suo tetto. Lo stesso vale per ogni tecnica allenante, fisica e mentale.

Il ceiling effect è un fenomeno pervasivo e agisce in molte variabili che riguardano il funzionamento umano. Ad esempio, per l’alimentazione, in un singolo pasto il corpo non può assorbire oltre un certo livello di cibo e di proteine, ed esiste un limite anche per le proteine assorbibili al giorno, in base al lavoro fisico svolto e altri fattori. 

Ogni sovrappiù viene sprecato e a volte va persino ad intasare il sistema, e può addirittura risultare dannoso. Una dose extra di proteine assunte diventerebbe inutile, mentre invece i canali di assorbimento dei carboidrati, delle vitamine e dei sali minerali potrebbero essere ancora aperti e disponibili all’assorbimento di sostanze.

Lo stesso fenomeno si presenta nella “assunzione di formazione”, nella terapia, nel cambiamento, nello studio e nella didattica.

Un vero coach che pratica Deep Coaching è sempre alla ricerca di “canali di assorbimento aperti” entro i quali far fluire azione, saperi, saper essere, e saper fare.

La fame di risultato e la pulsione neotropica del cliente (voglia di passare da uno stadio attuale ad uno stadio superiore evolutivo) possono comunque innalzare molto questa soglia fisiologica, consentono di aumentare il pressing formativo, ma il Coach deve essere sempre e comunque cosciente che quanto il cliente “vuole” non sempre è quello che gli fa bene, per cui, ancora una volta, emerge il fattore della Leadership, che deve essere del Coach e non del cliente.In questo caso, il Cliente non ha sempre ragione. Ad avere ragione è il risultato finale che vogliamo produrre entro i limiti di salvaguardia del cliente stesso, nel suo bene, e nel suo interesse esclusivo.

Curve di attenzione, presenza mentale, immersività, frames esperienziali. Verso la Total Quality Training Experience.

Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri.

Mark Twain

Nel campo dell’educazione si parla spesso di “curva di attenzione”, ma questo è un concetto molto limitativo. La curva di attenzione riguarda la capacità di un soggetto nel fornire presenza mentale

Alcuni teorici formulano soglie standard (es: 45 minuti), ma questo è assolutamente errato, la realtà è molto diversa. 

Vi sono docenti o oratori che riescono a “uccidere” la curva di attenzione in tre, quattro minuti, o ancora meno, i più “mostruosi” riescono a far passare a chiunque la voglia di ascoltare in 20 secondi. Vi sono altri operatori che riescono a tenere alta l’attenzione e la presenza mentale anche per intere giornate formative, stimolando diversi canali sensoriali, facendo lavorare le persone con esercizi diversificati, e aprendo canali di apprendimento tramite una Regia di Coaching ben studiata.

Il metodo delle Regie di Coaching si prefigge di mantenere alta la curva di presenza mentale (e la curva di attenzione) per il tempo che serve: ore, intere giornate, settimane, e qualsiasi sia il tempo di azione di cambiamento, offrendo un mix di esperienzeanziché un’unica e monotona modalità di partecipazione. Ad esempio, in un training sul public speaking, potremmo avere 

  1. una breve lezione teorica dove si spiegano i concetti da trattare tramite audiovisivi, e a seguire 
  2. alcuni video di esempi di discorsi efficaci proiettati con video proiettori o schermi. Poi
  3. una sessione di prova di un singolo brano (es, l’apertura del discorso) che invita a mettersi in gioco, e quindi 
  4. una sessione di analisi emozionale (cosa hai provato durante l’apertura, quando è stato il tuo turno), poi 
  5. una spiegazione concettuale del formatore su come le emozioni si connettono alla comunicazione in pubblico, e ancora 
  6. una seconda prova, poi 
  7. un training mentale sul public speaking basato su visualizzazioni ad occhi chiusi ove la persona si vede agire con assoluta calma e padronanza, poi
  8. una prova ulteriore anche di pochi minuti, e quindi
  9. un dibattito finale dove ciascuno esprime cosa pensa di avere imparato o su cosa vuole riflettere. 

Si tratta di specifici Frames ciascuno con i propri scopi, e non di una lezione di 4 ore. Questa sessione, di durata di 4 ore, è certamente diversa dal guardare passivamente per 4 ore un formatore che ti “racconta” come si fa ma quando esci, non ne hai fatto esperienza diretta.

Nell’adottare una regia, occorre definire il grado di overlap (condivisione di contenuti/aree) dei diversi elementi del training mix (overlap tematico) e tra diversi strumenti da adottare (overlap strumentale).

L’overlap tematico significa: quanto un tema ha in comune con un altro tema, e come faccio a crearne la connessione. Esempio, nel parlare in pubblico, c’è certamente un overlap tra concetti di comunicazione umana (il processo di comunicazione) e le emozioni (che emozioni provo mentre parlo in pubblico), per cui questo passaggio va evidenziato e analizzato. 

L’overlap strumentale significa “quanto strumenti e metodi diversi riescono ad attaccare lo stesso problema, o portare un contributo sulla stessa area”. Esempio, per potenziare un muscolo, possiamo agire con un peso (strumento 1), con una elettrostimolazione (strumento 2) o con un elastico che fornisca resistenza al movimento (strumento 3). Nel Business Coaching, se affrontiamo il tema dell’imparare a delegare, potrebbe essere saggio agire con una prima parte concettuale (strumento 1), un’esercitazione centrata sul fare deleghe volutamente sbagliate (strumento 2, deleghe paradossali) e un’esercitazione sul cercare di emettere delle deleghe sensate.

La scelta di usare uno solo o più di questi canali da parte del Coach è appunto una scelta di overlap strumentale. 

Se decide di usare una singola e sola tecnica, non ci sarà alcun overlap. Se le userà tutte e tre, in combinazione corretta, ci sarà un alto livello di overlap.

Un altro dei temi centrali inerenti il Deep Coaching consiste nell’elaborare uno shift tematico: il momento del cambio di tema, il passaggio da un tema ad un nuovo tema, il salto verso un nuovo obiettivo, l’abbandono di una fase del progetto già compiuta per aggredirne una diversa.

Tu sei quello che fai, non quello che dici di fare.

Carl Gustav Jung

Occorre definire il grado di ridondanza (ripetizione) attraverso i diversi tempi, senza dare per scontato che un argomento o tema, anche quando trattato più volte, sia stato automaticamente assimilato.

Sarà assimilato solo e quando lo vedremo in azione in modo fluido, spontaneo e naturale, senza nemmeno dover pensare più alla tecnica.

L’overlap strumentale si collega al “passaggio di testimone” tra uno strumento e l’altro, lo shift strumentale, nel quale una tecnica d’intervento o cambiamento cede il turno a quella successiva.

Il metodo Deep Coaching prevede che un evento formativo e di coaching di durata “x” debba essere progettato tramite curve emozionali. Nei picchi alti di tali curve l’evento deve far vivere al partecipante esperienze emotive forti. 

Per “forti” non s’intende necessariamente “shoccanti” o traumatizzanti, anche se non sono esclusi casi di “shock experience” – esperienze d’impatto necessarie soprattutto a rompere la cintura protettiva di credenze (protective belt) che impedisce alle persone di aprirsi al cambiamento. 

Le esperienze sono tanto più forti quanto più riescono a contattare emozioni interiori in grado di smuovere le motivazioni. Sono ancora più impattanti quando prevedono azione diretta, coinvolgimento sensoriale del partecipante, l’uso di tutti i sensi e il coinvolgimento corporeo, il fare in prima persona e non solo ascoltare o vedere.

Un esempio: dover compiere un’azione bendati, fidandosi solo della guida del coach, e dover camminare, muovere il busto o le braccia in un percorso che prevede ostacoli, fa uscire allo scoperto l’importanza del legame comunicativo tra coach e cliente, o tra leader e collaboratori, e sensibilizza enormemente sul bisogno di intendersi comunicando. Spesso, togliendosi le bende, si prova un senso di sollievo, ma da quel momento in avanti, il legame si è fatto più solido, gli errori comunicativi più chiari, e la comprensione dell’importanza della comunicazione umana sarà aumentata.

L’etica del formatore attivo e del coach deve intervenire per capire quale sia la soglia tra intervento positivo e intervento shoccante fine a sé stesso, inteso come qualcosa che non aiuta ad evolvere ma solo a “fare fumo”. 

In un training sulla negoziazione, venire “messi al muro” da un negoziatore esperto e abile può generare emozioni negative forti, e aprire le porte del desiderio di acquisire nuovi strumenti e migliorarsi. 

Ancora, emozioni forti possono essere suscitate da un video, da una esperienza nella natura, da una fase di meditazione, da un esercizio teatrale, o altri passaggi del training. Si possono creare situazioni di lavoro under stress sia fisico che psicologico, o al contrario di rilassamento e meditazione profonda.

Per esperienze emotive non si intende qualcosa di fantasmagorico fine a sé stesso, ma qualcosa di esperienziale e partecipativo, che coinvolga il soggetto.

Coinvolgimento emotivo

Quanto più il Coach o Formatore saprà toccare e attivare emozioni profonde, tanto maggiori saranno le possibilità che il training, la consulenza o ogni altro intervento sia in grado di penetrare nell’animo e nel vissuto personale o organizzativo. 

Azioni di cambiamento che non sollecitano le emozioni hanno scarsissima possibilità di impatto.

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  • attivazione (arousal) del partecipante verso i temi di intervento e le azioni di cambiamento;
  • alternanze emotive (elasticità emotiva): sollecitazione dell’arousal (attivazione emotiva) verso più stati emotivi, saper toccare diversi aspetti della sfera emotiva in relazione all’intervento (es: disgusto per…, amore per…, noia verso…, rabbia contro…, compassione per…). 
  • esperienzialità emotiva diretta, favorita da azioni in cui il soggetto possa esperire emozioni basata su brani di azione diretta, partecipata, vissuta in prima persona;
  • coinvolgimento sensoriale, psicomotorio, azione diretta, lavoro in prima persona.

Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

  • scollegamento emotivo (mancanza di arousal) del partecipante verso i temi di intervento e le azioni di cambiamento;
  • dominanza di singoli stati emotivi (positivi o negativi);
  • emotività unicamente riflessa (riferita ad azioni altrui, come nella sola visione di materiali audiovideo), e non prodotta da azione diretta, agita e partecipata, atta a generare vissuti emotivi in prima persona;
  • scarso coinvolgimento psicomotorio, stasi, interventi monocanali.

Occorre quindi progettare quando e come far vivere al partecipante le esperienze emotive. 

A seconda dell’intervento, è necessario articolare un training program, un coaching program e un mentoring program che spazino in più aree emozionali, e alternino momenti di carica a momenti di scarica.

È necessario progettare eventi in cui l’attenzione e l’interesse non scendano mai sotto una soglia di noia. 

È necessario che il Change Agent, Coach, Trainer o terapeuta, sappia analizzare la situazione per verificare l’impatto sul campo e avviare azioni di modificazione istantanea o recupero emozionale.

“Credo profondamente che la compassione sia la strada non solo per l’evoluzione del pieno potenziale umano, ma anche per la sopravvivenza stessa degli uomini, dal concepimento alla nascita, alla crescita. Per questo dico che gentilezza e compassione sono la mia religione. Non c’è bisogno di filosofie complicate e nemmeno di templi. Il cuore è il nostro tempio.”

Dalai Lama

Il coinvolgimento emotivo può essere ottenuto tramite diversi strumenti, dai video al role-playing, dal dialogo Socratico (maieutica), dall’autonarrazione al lavoro sul body language di gruppo, dal working under stress sino all’azione di scavo interiore (drag) sul vissuto del partecipante, o – per agire su emozioni positive – i customer dreams, le proiezioni di self futuri (visualizzarsi ad occhi chiusi nel come vorremmo essere), e altre attività stimolanti.

La ciclicità della regia formativa è il senso da cogliere nel metodo. Non è fisiologicamente sostenibile vivere in costante stato di arousal (attivazione) ai massimi livelli, ma senza stati di arousal un percorso di cambiamento diventa improduttivo e noioso, e la noia non produce apprendimento e tantomeno evoluzione.

Un tema da valutare attentamente è il cosiddetto overreaching –un principio generale del funzionamento umano – qui applicato al piano emozionale. Per overreaching emozionale intendiamo una stimolazione che vada al di là della possibilità di gestione emozionale attuale del soggetto.

Come abbiamo già esposto nel libro Regie di Cambiamento, qui riprendiamo e approfondiamo il concetto:

L’abilità professionale del regista formativo consiste nel costruire azioni-stimolo dotate – verso il partecipante – di potere di sfida sufficiente, senza scivolare nel campo della frustrazione permanente. Le azioni-stimolo possono ricadere – in una classificazione semplificata – in uno dei seguenti punti:

  • zona di noia: lo stimolo è sottodimensionato, inutile, non coinvolge;
  • zona di comfort: azioni-stimolo che non mettono in crisi il sistema;
  • zona di sfida: azioni-stimolo che possiedono un grado di difficoltà, sfidano le competenze e risorse esistenti, ma risultano affrontabili e risolvibili con un certo grado di impegno;
  • zona di overreaching: “andare oltre”: le risorse del soggetto non sono sufficienti a raggiungere lo scopo assegnato, nemmeno con il massimo impegno; le capacità o energie vengono sfidate sino a trovarne la soglia, e viene a galla il proprio limite. Da evitare accuratamente nei casi che possono provocare traumi fisici o mentali.

Se applichiamo il concetto al fronte emozionale, valutiamo che le stimolazioni di overreaching emotivo possano essere adottate solo con stretta supervisione di un coach o terapeuta in grado di gestire i flussi di transfert e controtransfert che si producono in tali sessioni, saper rielaborare il materiale emotivo che emerge, e predisporre adeguati momenti di recupero successivo allo stress.

Principio del coinvolgimento partecipativo ed azione esperienziale

Cerco sempre di fare ciò che non sono capace di fare, per imparare come farlo

Pablo Picasso

Un evento formativo di durata x deve essere progettato tramite curve esperienziali-partecipative, tali da far vivere al partecipante sia (1) esperienze di lavoro su progetti (azione/active training) sia (2) fasi riflessive di assorbimento/sedimentazione/sistematizzazione. Occorre progettare quando e come alternare le fasi attive e le fasi di rielaborazione. È necessario articolare un training program che spazi attraverso più tools attivi, e alterni momenti di forte carica partecipativa a momenti di sistematizzazione e riflessione efficace.

Il grafico non deve trarci in inganno. La ciclicità di una curva non è statica o predefinita, ma è assolutamente da stabilire caso per caso. Potremo avere momenti di lunga durata dedicati alla fase esperienziale e momenti di breve durata per la sistematizzazione, o viceversa, ampi momenti di studio teorico affiancati a brevi ma importanti momenti di azione. 

Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione; loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario“.

Steve Jobs

Utilizzare il metodo del Deep Coaching significa condurre per mano il cliente lungo ripide discese nella sensazione corporea, sino ad elevarsi alle vette della spiritualità, e in questi passaggi stare a fianco, accompagnare lungo un percorso fatto di tappe. La tendenza deve essere quella di fissare piani di incontro o affiancamenti regolari, con cadenze minime prefissate, senza dilazionare troppo. 

Proviamo a dare alcuni numeri, da prendere tuttavia con assoluta circospezione e da adattare ai propri specifici obiettivi. 

In un affiancamento di mentoring o coaching, o in un piano formativo consulenziale, una cadenza inferiore al minimo di un incontro al mese, rende qualsiasi progetto poco incisivo. Un numero d’incontri inferiore a 10 per moduli di circa 1-2 ore rende poco significativo un progetto di coaching. Nei coaching a giornata intera, il minimo significativo è di tre incontri. Un’azione di riorganizzazione che non prenda in considerazione almeno tre leve operative risulta spesso inefficace. Nel metodo registico bisogna puntare ad aumentare le dosi, a non illudere il cliente o l’organizzazione che tutto sarà facile, indolore e automatico.

Per avere successo, lavora sodo, non mollare mai e soprattutto coltiva una magnifica ossessione”.

Walt Disney

Nel metodo registico non sono possibili azioni spot o improvvisazioni di percorso, ma occorre ancorarsi ad un piano di lavoro. L’improvvisazione creativa può essere uno strumento essenziale “intra sessione” ma non è il metodo corretto nel costruire un senso generale di percorso.

Il grado di strutturazione può essere limitato e granulare nelle prime fasi, e avere momenti di verifica e ri-valutazione della situazione, ma il senso del procedere lungo un percorso e il “senso della tappa” rimane.

In un viaggio a due, si possono fare soste, si possono fare uscite non programmate, può anche succedere che a metà percorso si modifichi la scelta delle tappe intermedie, si può addirittura cambiare destinazione, ma non si può non condividere un senso di percorso. In questo caso, è meglio non partire assieme. Lo stesso vale per il viaggio del cambiamento, del coaching e della formazione.

Come abbiamo notato nella pratica, la pulsione neotropica consiste nell’aspirazione dell’individuo a “dirigersi verso il nuovo”, orizzonti nuovi, aria fresca, vite rinnovate, e raggiungere un livello superiore di esistenza e benessere, un “fuoco sacro” dell’evoluzione personale. 

“Ogni conoscenza che tu cerchi al solo fine di arricchire il tuo sapere, di accumulare tesori, ti fa deviare dalla tua strada; ogni conoscenza però, che tu cerchi per maturarti sulla via della nobilitazione dell’uomo e dell’evoluzione del mondo, ti porta avanti di un passo.”

Rudolf Steiner

Nell’organizzazione, il fuoco sacro della motivazione a lavorare bene assieme e migliorarsi è il vero ancoraggio che unisce un gruppo di persone, il “sale” dei progetti di miglioramento veramente partecipati. Questo, sia nei progetti di peer-learning(apprendimento tra pari) o nei gruppi di lavoro, o ancora nei piani di addestramento e coaching.

La pulsione neotropica deve trovare accoglienza entro un prototipo formativo, una “struttura” o “frame” di metodi di lavoro nei quali questa pulsione possa esprimersi. 

Mentre la presenza della pulsione neotropica (volontà) è condizione indispensabile per voler avviare un percorso, trovare un prototipo formativo o concordare metodi di lavoro in cui ci si trovi a proprio agio è meno automatico, rappresenta un fatto tecnico. Prevede il confronto tra modelli, il fatto di soppesarne pro e contro, e fare scelte di campo.

Trovarsi a proprio agio, per il cliente, non significa “starsene comodi” o non faticare, ma sentire di stare procedendo entro un metodo che si capisce e condivide.

La concordanza del prototipo formativo

Grandi cambiamenti richiedono grandi livelli di impegno, sia nel coach che nel cliente. Tuttavia, possono produrre grandi risultati. Questo accade ad esempio nei ritiri manageriali e nei ritiri di crescita personale dove si lavora concentrati per più giorni su se stessi, senza distrazioni.

Più difficile è la vittoria, più grande è la felicità nel vincere”.

Pelè

La concordanza del prototipo formativo richiede che il coach/formatore (e più in generale la struttura/sistema che fornisce il servizio) e il cliente siano in linea rispetto agli obiettivi sottostanti e ai format da utilizzare.

Troppo spesso accade che vengano usate tecniche incrementali (fare di più di quanto si faceva prima) per ottenere obiettivi dichiarati come trasformazionali (fare le cose diversamente). 

Un caso tipico è l’apprendimento delle tecniche di ascolto attivo ed empatico in un corso di negoziazione, trasmesso solo tramite slides e concetti, e non sperimentato né in aula né in “real life”. 

Non si può agire sulla propria capacità di ascolto senza cambiare il proprio atteggiamento interiore di curiosità, di empatia, e senza provarsi e sperimentarsi contro difficoltà ed ostacoli, sia attesi che inattesi, sia in aula che in reality-check (confronti con la realtà atti a testarsi o testare il comportamento proprio e altrui).

Allo stesso tempo, può accadere il contrario, che rappresenta comunque un errore: l’uso di tecniche trasformazionali in situazioni che dovrebbero essere incrementali. Il caso classico può essere un master universitario nel quale un elemento del pubblico si attenda che il docente proceda con l’illustrazione di principi e modelli, teorie e date, nomi e luoghi, mentre il docente lo coinvolge in una esercitazione esperienziale non desiderata, controvoglia, esponendosi in lati del suo carattere che non aveva assolutamente intenzione di mostrare e che il programma non prevedeva assolutamente.

Se il programma formativo è esperienziale, bisogna scriverlo e dichiararlo apertamente.

Un esercizio esperienziale che lavora sul carattere viene apprezzato sicuramente in un master di coaching esperienziale ma può essere rifiutato entro il contesto di un business master venduto come strettamente accademico. 

Entrambe le attese sono apparentemente giustificate, ma senza condividere un modello o prototipo formativo avremo sempre un contrasto di fondo.

Per ogni obiettivo esiste un’alchimia formativa, un mix di addizione e trasformazione, e questo rappresenta uno dei principali elementi del patto psicologico nella formazione, nel coaching, nel mentoring, nel personal training.

Altri problemi di format riguardano il grado di strutturazione o de-strutturazione del percorso, l’utilizzo di tecniche direttive o non direttive, la presenza di momenti di meditazione, spiritualità o riflessione opposti a sole azioni operative, e ancora la scelta se lavorare o meno sul piano corporeo e bioenergetico esperienziale, e con che intensità.

Tutte queste scelte fanno parte del prototipo, la cui condivisione o comprensione è alla base del successo di un piano formativo e di coaching neotropico. Fare scelte di campo è una caratteristica del metodo HPM e del Deep Coaching che mettono l’accento sul valore esperienziale del coaching e della formazione. Chi desidera altro, può tranquillamente frequentare l’accademia e le migliaia di video da ascoltare tranquillamente sul divano senza però fare davvero niente per cambiare in profondità.

Accettare la propria identità di Deep Coach e di formatore esperienziale è una scelta di fondo che richiede coraggio ma per chi crede in questi valori è una scelta che si fa volentieri.

Quando fai qualcosa, sappi che avrai contro quelli che volevano fare la stessa cosa, quelli che volevano fare il contrario e la stragrande maggioranza di quelli che non volevano fare niente”.

Confucio

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dello spazio progettuale

Un’adeguata esplorazione del cliente permette di capirne le esigenze, ma anche di prefigurare il costo della relazione (fisico e relazionale) e il potenziale della relazione.

L’esame dei due livelli di identità (chi siamo noi, chi sono loro) permette di trovare uno spazio di condivisione entro il quale costruire qualche forma di progetto.

Le potenzialità della relazione possono essere capite solo in seguito ad una diagnosi accurata, non devono essere considerate in modo affrettato.

Una diagnosi può far emergere importanti “pepite informative”, dati e informazioni sulle quali basare l’analisi. Queste “pepite informative” sono racchiuse un giacimento informativo al quale non è facile arrivare, e la cui esplorazione richiede professionalità e training. 

La consapevolezza di “chi siamo” e di “chi è di fronte a me” (con chi tratto), permette di analizzare lo spazio progettuale, le potenzialità del lavoro che possiamo avviare assieme. 

I tratti principali della potenzialità del rapporto

  • Le opportunità del rapporto

Alcune domande chiave per aprire un ragionamento sulle opportunità della relazione: Che opzioni posso offrire ora, e che spazi si possono aprire in futuro? Quanto sono concreti i progetti avviabili? È un rapporto che sembra concluso in un singolo progetto o vi sono spazi di continuità? Che reti relazionali positive si aprono se il progetto va a buon fine (ingresso in network, nuove conoscenze, sviluppo di immagine)?

  • Rischi del rapporto

Vi sono rischi nel lavorare con questo soggetto? Rischiamo di perdere risorse, energie, rischiamo di non essere pagati o non adeguatamente, rischiamo di perdere know-how senza avere nulla in cambio? Sono in grado di apprezzarci? Quante e quali forze esterne possono impedirmi di raggiungere i risultati?

  • Limiti e confini attuali

Dove è bene fermarsi, dato l’attuale stato di maturazione del rapporto? Faccio bene a espormi molto e subito? È bene testare il comportamento di questo soggetto nella realtà (es: se rischio un mancato pagamento del primo intervento, devo evitare di farne altri a rischio: devo mettere alla prova la serietà del cliente prima di perdere valore o erogarlo gratis).

  • Limiti e confini massimi

Dove potrà mai arrivare questo rapporto, anche se il cliente applica il massimo della sua buona volontà e le circostanze sono favorevoli? Dove si arresterà per forza lo spazio di questa collaborazione? Fino a che punto vale la pena investire energie e risorse su questo cliente?

  • Piano di cooperazione attuale

Cosa risulta saggio fare ora, alla luce delle informazioni disponibili, sui potenziali attuali e futuri? Quali progetti possiamo avviare subito?

  • Piano di cooperazione futuro

Posso avviare un sistema di contatto abbastanza frequente, tale da farmi restare vicino al cliente? Riesco ad acquisire anche le future opportunità? Tengo gli spazi aperti per farlo? Mi accontento di chiudere un progetto o cerco di conquistare la relazione e quindi anche il valore futuro che quel cliente potrà esprimere?

  • Profondità di relazione

Riesco a raggiungere livelli di co-makership (costruire progetti congiunti), di reale partnership? Si, no, solo in parte? Su quali piani possiamo collaborare in profondità? Quali sono gli ostacoli a collaborare in profondità?

  • Progettazione congiunta

Su quali progetti posso stimolare un “lavorare assieme”? È possibile avviare una ricerca e sviluppo congiunta? Possiamo fare qualcosa di più che non sia vendere e comprare, ma costruire assieme un progetto che porti entrambi ad entrare dove da soli non arriveremo? Possiamo coinvolgere il cliente nel progettare soluzioni, affinché egli le senta più “sue”?

  • Terza cultura

La prima cultura è quella del cliente. La seconda cultura è quella del venditore o altro interlocutore. Dall’incontro tra le due realtà può nascere qualcosa di nuovo, una “terza cultura” che apre spazi nuovi di mercato per entrambi. Una terza cultura è il risultato del lavoro di più menti che scambiano tra loro informazioni, valori, linguaggi, e arricchisce il rapporto. Quando tra due aziende nasce una cultura comune, frutto del lavoro svolto assieme, il vantaggio competitivo della relazione è sicuramente maggiore, rispetto a quando si svolgono semplici forniture su richiesta.

  • Presidio comunicativo e Total Quality Communication

Chi presidia le comunicazioni con quel cliente, sia quotidiane, di servizi, tecniche o istituzionali? Abbiamo la consapevolezza di chi ai vari livelli manda messaggi a quel cliente (anche sul piano tecnico, di servizio o customer care, o amministrativo, ad esempio, e non solo commerciale)? Chi controlla la qualità dei messaggi che inviamo? Chi tratta con quel cliente è all’altezza di farlo? Esiste un piano per dare continuità ai messaggi? Abbiamo un piano per dare spessore alla relazione mantenendo “caldo” il contatto, e presidiare il cliente?

Nel compiere questo tipo di analisi dobbiamo sempre considerare che:

  • nessuna relazione è perfetta;
  • il nostro scopo non è amarci, ma lavorare assieme;
  • dobbiamo apprendere a convivere con culture aziendali diverse dalle nostre;
  • siamo qui per lavorare e non per regalare il nostro sapere o i nostri prodotti;
  • dietro ad ogni uscita (tempo, denaro, attenzione, energie umane) deve esservi qualche forma di entrata, monetaria o immateriale;
  • i bilanci non si fanno solo con il denaro;
  • il valore di apprendimento che una relazione offre può farci produrre salti di qualità fondamentali per la nostra stessa azienda.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Fotografia Immobiliare Ferrara e Bologna. Benedetta Biscaro è considerata da Comunicazione Aziendale.it una delle migliori professioniste nella fotografia immobiliare in Italia. Opera prevalentemente per aziende e agenzie, con diverse specializzazioni. Tra queste, la specializzazione in Fotografia Immobiliare a Ferrara, Bologna, e in Emilia Romagna e Veneto. Tra le specializzazioni, oltre alla Fotografia Immobiliare a Ferrara e Bologna, la fotografia per dimore artistiche in tutta Italia e la fotografia d’architettura con elevatissimi standard professionali.

Hai un progetto o esigenze di fotografia immobiliare o di fotografia architettonica di interni o esterni? Se vuoi un contatto con Comunicazione Aziendale.it e con il suo Direttore, Dott. Daniele Trevisani, per valutare il tuo progetto e le tue esigenze, siamo a disposizione tramite il seguente form.

fotografo di architettura

Alcune caratteristiche della Fotografia Immobiliare a Ferrara e Bologna

Nella Fotografia Immobiliare è essenziale trasmettere “l’anima” dell’immobile e le sue sfumature emotive.

Questo richiede ben più che una semplice conoscenza della fotografia immobiliare e della tecnica della fotografia architettonica, ma una capacità di cogliere le atmosfere da trasmettere.

Le nostre città, i nostri paesi, le nostre case, sono piene di residenze, dimore, abitazioni, di valore eccellente ma non abbastanza valorizzate. Questo è il compito essenziale e la mission della Fotografia Immobiliare d’interni e d’esterni, centrata sulla comunicazione e sulle emozioni che vogliamo trasmettere.

fotografo immobiliare ferrara

Fotografia Immobiliare a Ferrara e Bologna. Alcuni cenni di tecnica fotografica

Fotografia architettonica. Migliore Fotografo architettura in Italia

La fotografia architettonica è il sottogenere della disciplina fotografica in cui l’enfasi principale è posta sulla cattura di fotografie di edifici e strutture architettoniche simili che sono sia esteticamente gradevoli che accurate in termini di rappresentazioni dei loro soggetti. I fotografi di architettura sono solitamente abili nell’uso di tecniche e fotocamere specializzate per la produzione di tale fotografia specializzata.

Storia della foto d’architettura

La prima fotografia permanente, Vista dalla finestra a Le Gras di Nicéphore Niépce , è stata anche la prima fotografia architettonica in quanto era una vista di edifici. Allo stesso modo, le fotografie scattate dal primo fotografo William Henry Fox Talbot erano di architettura, inclusa la sua fotografia di una finestra Latticed nell’abbazia di Lacock scattata nel 1835. [ citazione necessaria ]    

Nel corso della storia della fotografia, le strutture architettoniche, compresi gli edifici, sono stati soggetti fotografici molto apprezzati, rispecchiando l’apprezzamento della società per l’architettura e il suo significato culturale. Entro il 1860, la fotografia di architettura iniziò a diventare un mezzo visivo affermato.

Proprio come i progetti di edifici sono cambiati e si sono trasformati con forme tradizionali, anche la fotografia architettonica si è evoluta nel tempo. Durante la prima metà del XX secolo, la fotografia architettonica divenne più creativa poiché i fotografi utilizzavano linee diagonali e ombre audaci nelle loro composizioni e sperimentavano altre tecniche innovative.

All’inizio degli anni ’50, gli architetti assumevano più fotografi per lavori su commissione, con il risultato che la fotografia di architettura veniva considerata più una forma d’arte di quanto non fosse stata considerata prima. [1]

Migliore Fotografo architettura in Italia. Tecniche della fotografia d’architettura

Un principio della fotografia di architettura è l’uso del controllo prospettico , con un’enfasi sulle linee verticali che non sono convergenti (parallele). Ciò si ottiene posizionando il piano focale della telecamera in modo che sia perpendicolare al suolo, indipendentemente dall’elevazione dell’occhio della telecamera. Questo risultato può essere ottenuto mediante l’uso di fotocamere , obiettivi tilt/shift o post-elaborazione.

Tradizionalmente, le fotocamere sono state utilizzate per la fotografia architettonica in quanto consentono di inclinare o spostare l’obiettivo rispetto al piano della pellicola. Ciò consente il controllo della prospettiva, nonché una varietà di possibilità creative.

In modo simile alla fotografia di paesaggio, di solito viene utilizzata una profondità di campo profonda in modo che sia il primo piano che lo sfondo (all’infinito) siano a fuoco.

Più recentemente, le fotocamere reflex digitali a obiettivo singolo (DSLR) sono state utilizzate nel campo della fotografia architettonica. Queste fotocamere impiegano anche obiettivi rimovibili e decentrabili con lunghezze focali variabili (di solito fisse).

Quando si scattano fotografie di interni ed esterni è importante scattare con un obiettivo grandangolare . Vuoi usare due pareti dritte per inquadrare gli scatti interni.

Migliore Fotografo architettura in Italia. Esterno e interno

La fotografia architettonica in genere mostra l’esterno o l’interno degli edifici. Le tecniche utilizzate in ciascuno di questi tipi di fotografia sono simili, ma presentano alcune differenze e talvolta richiedono attrezzature diverse a seconda delle esigenze.

Migliore Fotografo architettura in Italia. Esterno

La fotografia di architettura per esterni di solito sfrutta la luce disponibile di giorno, o di notte utilizza la luce ambientale dei lampioni adiacenti, le luci del paesaggio, le luci degli edifici esterni, la luce della luna e persino il crepuscolo presente nel cielo in tutte le situazioni tranne quelle più buie.

In molti casi, il paesaggio che circonda un edificio è importante per la composizione complessiva di una fotografia e persino necessario per comunicare l’armonia estetica di un edificio con il suo ambiente. Il fotografo includerà spesso fiori, alberi, fontane o statue in primo piano in una composizione, sfruttando la loro capacità di aiutare a guidare lo sguardo nella composizione e al suo soggetto principale, l’edificio.

La fotografia aerea è di tendenza in quanto mostra prospettive diverse e uniche della struttura fotografata. Ciò può includere l’allineamento con la struttura, la visualizzazione dei confini della proprietà, la rivelazione della posizione in un punto di vista geografico e la contestualizzazione dello scenario circostante.

Migliore Fotografo architettura in Italia Interni

La fotografia di architettura d’interni può essere eseguita anche con luce ambientale trasmessa attraverso finestre e lucernari, così come apparecchi di illuminazione per interni. Spesso, però, i fotografi di architettura utilizzano l’illuminazione supplementare per migliorare l’illuminazione all’interno di un edificio. In genere vengono utilizzati flash elettronici o “luci calde” a incandescenza. Una caratteristica della fotografia di architettura è che i soggetti principali rimangono quasi sempre fermi. È quindi possibile utilizzare l’editing post-elaborazione per ottenere uno schema di illuminazione equilibrato, anche in assenza di illuminazione aggiuntiva.

Organizzazioni commerciali

La fotografia di architettura come professione è rappresentata principalmente da tre organizzazioni di categoria, che si sforzano di diffondere le migliori pratiche tra i fotografi di architettura, nonché di promuovere le pratiche commerciali sane, la coerenza, la qualità e la protezione del copyright.

  • L’ American Society of Media Photographers (ASMP)
  • L’Associazione dei fotografi di architettura indipendenti (AIAP)
  • L’Associazione Internazionale dei Fotografi di Architettura (IAAP)
  • L’Associazione dei Fotografi (AOP)

Guarda anche

Riferimenti [ modifica ]

    1.    ^ Lowe, Jim (2006). Fotografia di architettura. Lewes, East Sussex, Regno Unito: Photographers Institute Press. ISBN 1-86108-447-1 .

Collegamenti esterni [ modifica ]

Migliore Fotografo architettura in Italia. Fonti

IAAP – International Association of Architectural Photographers

 

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La capacità comunicativa e l’attività della negoziazione

Comunicazione e negoziazione sono un territorio delicatissimo dell’esistenza umana.

Dalle abilità comunicative dipendono successi e fallimenti, vittorie e cadute, e la possibilità di concretizzare sogni e ideali.

comunication

I desideri, le nostre aspirazioni umane e professionali – le idee che vorremmo concretizzare – i nostri stessi progetti di vita, sono collegati a questa capacità di comunicazione, spesso inespressa, una capacità latente, un fiore da far sbocciare. Una capacità che raramente coltiviamo e studiamo.

Essa rappresenta una delle facoltà più preziose della natura umana: poter esprimere e condividere sentimenti, idee, pensieri, visioni, sogni, progetti. 

L’importanza delle capacità di comunicazione può alterare (in meglio o in peggio) anche le traiettorie della propria vita sentimentale; può farci avvicinare alle persone che amiamo, o allontanarci, può generare comprensione o incomprensione, passione o tristezza, gioia o dolore. 

Una buona comunicazione può dare vita ad amicizie e rapporti che durano una vita, una cattiva comunicazione determina invece il malfunzionamento o la rottura irreparabile di relazioni umane e professionali.

Per ogni essere umano, la capacità di comunicare le proprie emozioni ad altri, aprirsi, non lasciare che esse rimangano soffocate in una ruminazione mentale solo interna, è un fattore primario di salute fisica e mentale.

Le capacità comunicative arrivano persino a determinare la vita e morte di persone, come nelle negoziazioni militari o per la liberazione di ostaggi.

In questo ambito, anche i dettagli contano, ad esempio:

  • capire chi sono i decisori veri con cui trattare può cambiare la vita di un’azienda; può farle vincere o meno una gara, un appalto, o conquistare un cliente determinante per molti anni a venire; 
  • un errore di battitura in un punto cruciale dell’offerta può generare senso di pressapochismo e far alzare le barriere valutative, rendendo la vendita più “in salita”; ma ancora…
  • una distrazione in fase di ascolto che ci faccia perdere un “segnale” importante lanciato dall’interlocutore;
  • cogliere o non cogliere un’occhiata o una smorfia di approvazione o disapprovazione che si lanciano due persone nel team con cui trattiamo.
comunicazione
inazione

È un risultato eccezionale, dal punto di vista della negoziazione e della relazione umana, capirsi tra le parti, rompere le barriere di incomunicabilità, trovare modi per avere successo cooperativo, e crescere assieme. 

Di fatto, comunicatori, negoziatori professionisti, venditori, rappresentano una parte attiva della società e “muovono le cose”. Senza di loro, le aziende non potrebbero vivere. 

Un’azienda senza persone in grado di vendere è un’azienda sull’orlo del baratro. Tutti gli stipendi vengono da un’unica fonte: le vendite.

Dobbiamo quindi prepararci, così come un soldato si prepara per una battaglia, un atleta per una gara, un attore per la scena.

La chiave è far crescere le nostre competenze comunicative, supportare la crescita degli altri

Le capacità comunicative devono diventare sempre più un vero e proprio asset (risorsa strategica) e non (quando mancano) un punto di debolezza da coprire a suon di sconti, ribassi, umiliazioni, concessioni e perdite.

Per questo bisogna agire con spirito guerriero e strategico, con una mente pronta e risoluta – una mente da analista – e “gambe” pronte ad incontrare persone in ogni luogo. 

Una frase antica, espressa da un Samurai giapponese, ci offre una bella rappresentazione, che spiega con poche parole questo atteggiamento:

Kenshin disse:  «Il fato è in paradiso, l’armatura è sul torace, il risultato è nei piedi »

Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800)

In: Cleary, Thomas. La Mente del Samurai[1]

La suggestione del Samurai Masahiro ci aiuta a capire che esistono molte aree della vita che non possiamo dominare, e altre per le quali dobbiamo e possiamo agire, sia in prima persona che in squadra.

Il “paradiso” di Kenshin sono gli scenari globali, le scelte dei competitors, la nostra armatura è la nostra preparazione, i nostri piedi sono le azioni che adottiamo.

Dobbiamo quindi distinguere le aree per le quali non vale nemmeno la pena preoccuparsi troppo, da quelle per le quali possiamo “prepararci” e fare strategia, sia che si tratti di proteggere i nostri interessi vitali (armatura) che di muoversi con scientificità tattica (i “piedi” dello Strategic Selling). 

Nessun altro può farlo per noi. 

Ma, per concretizzare, dobbiamo assimilare lo spirito guerriero proposto da Masahiro e adattarlo ai nostri scopi e alla nostra professione.

È indubbio che operare nella vendita oggi significhi avere coraggio. 

Il coraggio di chi esce con una valigia e va a conquistare un cliente. 

coraggio
coraggio

Il coraggio di chi affronta il mondo, di chi entra in culture diverse, in aziende nuove e sconosciute, di chi lotta contro competitors più forti, più finanziati o potenti, il coraggio di chi si muove in prima linea. 

Ed ancora maggiore coraggio serve per dirigere le persone, stare a fianco degli uomini e delle donne che si muovono in prima linea, stargli vicino anche sul campo, nei momenti di difficoltà e di maggiore bisogno.

Questa è leadership. Questa è una modalità di vita.

È la scelta di chi stabilisce di non stare nelle retrovie ma di stare sul fronte, immergersi nelle tante battaglie umane e sacrifici che la vendita strategica impone a chi decide di giocare questo gioco. E di gioire per i successi.

La negoziazione è certamente un gioco difficile, ma non un gioco d’azzardo. La negoziazione seria non si prefigge mai di produrre danni gratuiti alla controparte, ma – ovunque possibile – porta avanti il principio delle “relazioni d’aiuto” (essere di aiuto agli altri) e costruire relazioni che creano valore per tutti.

Relazioni vincenti che creano benefici ad entrambe le parti.

matrimonio

Questo vale anche in un matrimonio, quando due persone riescono a fissare i propri spazi di libertà per i propri interessi personali (sport, cultura, giardinaggio, viaggi, etc.) senza che il matrimonio stesso divenga una gabbia, ma piuttosto una piattaforma che dia forza ad entrambi.

Vale anche tra due aziende, quando da una buona negoziazione emerge un progetto che nessuna, da sola, sarebbe riuscita a fare.Nessun risultato, tuttavia, avviene per magia. Negoziamo da quando siamo nati, e lo faremo per tutta la vita.

Serve un’attività di negoziazione e lavoro certosino sulla chiarezza dei ruoli, e dei confini dei ruoli.

Le relazioni vanno coltivate, se vogliamo vederne i frutti.

curare

La comunicazione parte da un bisogno primario, il bisogno di entrare in relazione, in contatto con qualcuno o con qualcosa e per coloro che operano professionalmente con la negoziazione, prepararsi da professionisti è il minimo che si possa fare. 

Questi bisogni richiedono un lavoro di formazione adeguato.

Prepararsi da professionisti

Esiste una grande confusione in campo aziendale su cosa sia la formazione. Alcuni pretendono di preparare negoziatori e venditori tramite un paio di ore di lezioni teoriche in cui vengono propinate teorie e concetti astratti, affidandosi a professori universitari che non hanno mai venduto niente in vita loro.

Più che una formazione classica, serve una forte “sensibilizzazione”, qualcosa che vada oltre le regole stereotipate. Ad esempio, imparare a vedere come noi reagiamo alle comunicazioni altrui, come funziona il nostro dialogo interno[2]capire come esaminare una conversazione e cogliere le sue mosse strategiche, preparasi ad essere analisti.

training

La formazione seria è una forma di apprendimento molto forte, parte da un’autoanalisi che nessun PowerPoint può sostituire, e ci chiede di fare i conti con chi siamo veramente. 

Al contrario dei seminari tenuti dai “corsifici”, un buon coaching in profondità (coaching personale o team coaching) può aiutare la persona e il team a prestare attenzione a ciò che prima gli sfuggiva, e questo non ha niente a che fare con la formazione classica.

Bisogna aiutare le persone a muoversi da professionisti, a “pensare” come professionisti. La ricerca del Potenziale Umano che si nasconde in ogni persona non è né facile né immediata, lo sappiamo tutti benissimo. Ma, a volte, cerchiamo scorciatoie che non esistono. 

Le situazioni in cui la comunicazione cambia le cose sono tante. 

Possiamo avere un colloquio di lavoro nel quale si decide una svolta nella vita, nel quale far emergere chi siamo e cosa valiamo.

Gli effetti di ogni parola e di ogni gesto saranno sommatori e decisivi.

Lo stesso bisogno di essere comunicatori efficaci tocca il problema di trovare un finanziatore per progetto, o un sogno da concretizzare.

Tante situazioni, un denominatore comune: il risultato delle attività di comunicazione e negoziazione cambia la vita. Affrontare questo mondo intrigante richiede l’esame di molte variabili.

Una prima consapevolezza di fondo è il bisogno di una grande serietà in chi opera nel mondo della comunicazione e della negoziazione complessa: essere coscienti del fatto che dagli esiti di una trattativa strategica dipendono svolte di tipo professionale, effetti che cambiano la vita, propria o altrui. 

Se condotte bene, gettano le basi per un futuro migliore. Se condotte male, producono danni enormi.

Una seconda certezza: per comunicare bene serve formazione specifica, l’abito mentale di chi si prepara alla negoziazione, dedica ad essa risorse mentali, la gestisce come un’attività professionale e strategica (approccio mentale del Get-Ready Mind Set), e non trascura i dettagli[3].

energie

Una terza certezza è il bisogno di curare la “macchina” del venditore, negoziatore o comunicatore, ancora prima di preoccuparci delle sue prestazioni esterne. Una persona che sta bene, piena di energie fisiche e mentali, avrà ottime chance di esprimere anche il suo potenziale comunicativo. Al contrario, una persona fisicamente debilitata o esaurita, e psicologicamente stanca o che si sente fuori ruolo, non farà altro che errori continui.

Come sottolinea un collega e amico, importante psicologo e counselor italiano, allenatore della nazionale italiana di Apnea e di campioni del mondo di apnea, quando ci si “immerge” nelle relazioni e nelle negoziazioni si va incontro, come fa un apneista, anche a se stessi e al proprio inconscio

Possono emergere paure o incongruenze, ansie e timori ragionevoli o irragionevoli, coscienti o subcoscienti. 

Se questi ci bloccano, ci rallentano, ne subiremo gli effetti negativi.

Al contrario una persona che abbia fatto un lavoro profondo su di sé può “immergersi” tranquillamente sia in acqua che nella più difficile trattativa, senza perdere in consapevolezza emotiva e rimanendo sostanzialmente sereno nonostante l’ambiente difficile che lo circonda[4].


[1]

Cleary, Thomas (2008) (a cura di), La Mente del Samurai: Il Codice del Bushido, Mondadori. Scritto di Adachi Masahiro, Samurai (scritto risalente al periodo 1780-1800).

[2] Per il dialogo interiore nelle situazioni di consumo e scelta di acquisto, vedi Bahl, S. e Milne G. R. (2010), Talking to Ourselves: A Dialogical Exploration of Consumption Experiences, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[3] La preparazione mentale a compiti successivi, e l’utilizzo delle risorse mentali, nella Consumer Research, è stata affrontata in un articolo specifico. Vedi Bosmans Anick, Pieters Rik e Baumgartner Hans (2010), The Get Ready Mind-Set: How Gearing Up for Later Impacts Effort Allocation Now, in Journal of Consumer Research, Vol. 37, June 2010.

[4] Manfredini, Lorenzo (2010), Appunti di counseling, materiale didattico riservato, Associazione Olos e Istituto di Dinamica Mentale, Ferrara.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Definizione dei budget della campagna di comunicazione

Poiché non sarà possibile disporre di un budget di comunicazione infinito, sarà necessario definire delle priorità di intervento, che si prefiggano diversi obiettivi.

Le priorità potrebbero essere le seguenti :

  1. Campagna di informazione attivazionale : fornire informazioni operative (dove andare, cosa fare, come) alle aziende che non abbiano ancora definito un piano formativo, ma siano interessate a farlo. Su queste aziende non dovrà essere “venduto il concetto” della formazione. Si tratta semplicemente di aiutarle ad attivare, a rendere concreto, un atteggiamento positivo preesistente.
  2. Campagna di rafforzamento: portare informazioni e testimonianze di successo di aziende che hanno deciso di attivare percorsi di formazione continua nell’impresa, utilizzando promoter che realizzano incontri personali con amministratori aziendale. Dissipare dubbi e fornire prospettive e dati di supporto. In questo caso lo sforzo persuasivo esiste, ma non parte da pregiudizi negativi che richiedono maggiore sforzo persuasivo.

In questo modo, il budget disponibile consente di raggiungere il massimo obiettivo possibile, se l’obiettivo è misurato come “numero di corsi attivati nel campione d’imprese”. 

Diverso discorso è quello invece di “acculturare alla formazione” le aziende arretrate e che vedono in essa una perdita di tempo o energie. Questo obiettivo, tuttavia, è del tutto diverso da quello sopra indicato (attivare il maggior numero di corsi con il budget disponibile), e chi confonde i due obiettivi commette un grave errore sia strategico che politico (se in buona fede) o un grave atto di ipocrisia (se fatto nel tentativo di nascondere l’incapacità gestionale tramite la definizione di obiettivi poco chiari, che possano essere facilmente confusi a posteriori). 

Una decisione poco manageriale, dove l’unico risultato è quello di disperdere il budget su aziende poco o per nulla interessate, sulle quali la probabilità di successo sarebbe pari a zero, salvo miracoli. Dato lo sforzo persuasivo (quantità e qualità) estremamente superiore che esse richiedono, eventuali ricavi sarebbero minimali.

Seminare sulla sabbia richiede semi particolarmente robusti e tanta acqua, e spesso l’acqua è poca e preziosa.

Metodi per la fissazione dei budget

Esistono diverse “scuole di pensiero” o metodi nella fissazione dei budget di comunicazione: 

Le opzioni disponibili sono:

(1) assegnazione del budget in base agli obiettivi da raggiungere: consiste nel determinare il costo delle diverse fasi della campagna, per poi giungere tramite una sommatoria ad una preventivazione di costo finale.

(2) definizione per budget disponibile: consiste nella realizzazione di una campagna utilizzando le risorse disponibili al momento, o fissate in un apposito capitolo di bilancio.

(3) definizione in corso d’opera o a consuntivo: la campagna viene finanziata senza limitazioni, e le risorse vengono fornite man mano che se ne presenta la necessità, praticamente senza una programmazione.

target

Il primo metodo (prima gli obiettivi, poi il budget) produce indiscutibilmente i risultati più alti, in quanto al primo posto – per definizione – vengono gli obiettivi da raggiungere. 

Se le risorse non sono sufficienti, gli obiettivi non verranno raggiunti. Quando il computo di preventivazione fa emergere una spesa troppo elevata per i budget aziendali disponibili al momento, è molto più opportuno ridurre realisticamente il target, ridimensionare il numero di soggetti da raggiungere, piuttosto che realizzare azioni approssimative su un target troppo ampio. 

In altre parole, gli eventuali tagli di spesa non devono andare a discapito della qualità della comunicazione ma piuttosto della quantità (ridefinizione dei confini di campagna).

Per quanto riguarda la realizzazione dei preventivi di campagna, i programmi di project management moderni dispongono di moduli che associano ad ogni step e risorsa un costo specifico. È così possibile svolgere la preventivazione di costo già all’interno del project-management, collegando in modo esplicito e riconoscibile i costi alle diverse fasi di campagna.

Il secondo metodo (prima il budget, poi gli obiettivi) presenta la limitazione di adattare il risultato atteso alle risorse disponibili. È un metodo lacunoso, ma molto utilizzato da diverse aziende. Il suo limite è di assecondare una tendenza egoistica e miope innata nell’uomo: voler raggiungere un risultato elevato senza destinare risorse adeguate (con la spesa necessaria per fare “A” voglio ottenere anche “B” e “C”, senza aumentare il budget). 

La modalità standard con cui vengono fissati i budget annuali di comunicazione (l’affordable method, o un x% del fatturato, nel migliore dei casi) riflette un orientamento alla “gestione finanziaria della comunicazione” opposto ad un orientamento di “gestione dei risultati da produrre tramite la comunicazione” [1].

Il terzo metodo (“intanto iniziamo, poi si vedrà”) è molto praticato ma estremamente approssimativo, rischioso per lo scarso controllo sui costi che presenta. Inoltre si presta poco ad attività di comunicazione che avvengono tramite communication campaign planning.

I costi della progettazione

Uno dei punti nodali da sottolineare è che tra i costi da computare in una campagna di comunicazione o campagna commerciale vi è la stesura stessa dello schema o impianto di campagna – la fase progettuale che definisce la struttura portante e strategica di tutte le attività da realizzare.

L’approccio vincente per la realizzazione del progetto richiede una competenza trasversale di marketing e management, comunicazione interpersonale e public relationsmedia-planning, tecniche di vendita e marketing relazionale, webmarketing e comunicazione in internet, skills di ricerca di marketing qualitative e quantitative, con competenze trasversali di project management in grado di sinergizzare le diverse azioni.

Questa fase, di solito condotta dal consulente in comunicazione, è un lavoro professionale impegnativo che richiede esso stesso un budget. Sbagliare questa fase farebbe saltare l’intero impianto del progetto.

cost

Così come per la realizzazione di un ponte esistono costi di progettazione, (anche molto elevati), per la realizzazione di una campagna di comunicazione di qualità devono esistere costi di progettazione. La campagna realizzata senza adeguata progettazione equivale ad un edificio su fondamenta d’argilla. 

Un progetto che non include costi di progettazione dovrebbe immediatamente indurre sospetti sulla qualità del progetto stesso. L’assenza di un budget di progettazione denota di per sé una campagna di scarsa qualità, qualcosa che è persino meglio non fare. Una comunicazione di scarsa qualità o una campagna mal progettata (di comunicazione, di formazione, o di marketing) producono effetti negativi e demotivanti sulla struttura stessa. 

I risultati che non arrivano, i costi che non trovano ritorni, messaggi ed azioni che producono effetti negativi sono da eliminare in partenza. 

Questi costi aziendali e motivazionali sono errori che un’azienda moderna non può nemmeno considerare di pagare, per risparmiare su un capitolo di spesa (la progettazione) che è il fondamento di tutto l’impianto comunicativo.

Un’interessante osservazione da Slade[2], evidenzia come la necessità di consapevolezza su come le persone distribuiscono le proprie risorse per raggiungere i goals, poiché :

“l’importanza del goal è proporzionale alle risorse che l’agente è disposto a spendere per raggiungere quel goal”. 

Questa formulazione rafforza la nostra considerazione primaria: senza risorse adeguate (culturali, manageriali, ed economiche) non è possibile realizzare azioni comunicative di qualità ed ottenere risultati.

Il training come fattore di successo

Il training deve essere svolto professionalmente, secondo lo schema collaudato che prevede:

  • Progettazione dell’intervento formativo (includente analisi e diagnosi dei bisogni)
  • Sperimentazione delle metodiche formative su iniziative pilota
  • Ri-taratura degli interventi e allargamento del training
  • Immissione a regime delle nuove competenze
training

Non possiamo lontanamente pensare che una campagna si possa svolgere senza training.

Ciascuna di queste fasi rappresenta un costo da preventivare. Gli errori nelle prime fasi sono cruciali e si ripercuotono a catena sulle fasi successive producendo danni. Ogni euro speso in diagnosi e progettazione ritorna invece a cascata sotto forma di beneficio per l’azienda e i suoi manager. 

Non è possibile saltare la fase progettuale/diagnostica e passare direttamente al training, i risultati saranno scarsi o persino controproducenti. 

Ancora una volta, sottolineiamo che ogni azienda deve porsi prima di tutto il problema di fornire alle risorse umane gli strumenti per agire, poi affidare loro compiti e obiettivi sfidanti. Non si poteva ieri, e non si può oggi, andare ad una sfida disarmati. 

I costi variabili e gli incentivi per i goals raggiunti

Quando un progetto raggiunge gli obiettivi, è necessario che i membri del team siano premiati. Bisogna assolutamente premiare chi è stato responsabile e protagonista del successo sia per l’impegno umano che per i risultati tangibili.

Esiste un’ampia letteratura manageriale sul tema dell’incentivazione e remunerazione incentivante, ma il concetto è questo. 

Diventa elemento vincente di una campagna la remunerazione incentivante e le forme di premiazione monetaria anche non monetaria, per i risultati raggiunti. 

incentivo

Il programma di remunerazione deve considerare:

  • La natura degli incentivi: un piano di incentivazione include sia incentivi monetari e tangibili (premi in denaro, beni e servizi), che riconoscimenti immateriali e gratificazioni umane (incentivi intangibili e psicologici o relazionali).
  • La progressione degli incentivi: è possibile fissare obiettivi del tipo pass/fail (conseguimento totale o fallimento), oppure scale di incentivi. In una scala di incentivi, si fissa un budget incentivi (poniamo 100 come base) e su questa base si applica una progressione: 0 al raggiungimento di meno del 60% dei goals, 80% del premio al raggiungimento del 90% dei goals, 110% al raggiungimento di oltre il 90%, o altre forme più o meno graduate e progressive.
  • L’equità degli incentivi: i membri del team devono percepire che viene tenuto conto del grado di sfida in essere. Obiettivi numericamente simili (es: acquisire 10 aziende) possono comportare sforzi enormemente diversi (pensiamo alla differenza tra acquisire 10 piccole imprese artigianali vs. 10 clienti multinazionali). Devono esistere sistemi premianti che includano un meccanismo di computazione del “peso qualitativo” per i risultati conseguiti.

[1] Affordable method: Metodo usato per definire il budget pubblicitario. Consiste nel valutare la spesa che ci si può permettere di destinare alla pubblicità, solo dopo la decisione degli obiettivi generali di spesa e profitto dell’impresa e dopo aver stanziato il denaro corrente per tutte le altre spese. Fonte: Nuovo Dizionario Illustrato della Pubblicità e della Comunicazione a cura di Fausto Lupetti e Giuliana Manfredini, Lupetti Editore.

[2] Slade, S. (1994). Goal-based Decision Making: An Interpersonal Model. Lawrence Erlbaum. Hillsdale.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il project management : fasi, tempi e responsabilità.

Il tema centrale di un programma di comunicazione strategica è il project management. Saper gestire progetti complessi (ma anche semplici) richiede tecnica, e questo vale anche per i progetti di comunicazione. 

project

Il project management competitivo, richiede una Information Superiority, una superiorità informativa rispetto al semplice buon senso e alla mediocrità, e persino superiorità rispetto ai competitor.

La gestione di una campagna non presenta sostanziali diversità rispetto ad ogni altra attività di project management. Con la differenza che a spostarsi non sono travi o bulloni, ma idee e tracce mentali.

Il project management, pertanto, si prefigge di :

  • dare struttura ai progetti
  • assegnare responsabilità
  • evidenziare i passaggi critici
  • tenere sotto controllo le scadenze
  • evidenziare le azioni di monitoraggio e dare ad esse una collocazione e responsabilità precisa nel progetto.
project

Al centro del PM si trovano alcune esigenze di base:

  1. disaggregare le fasi di un progetto in sotto-fasi (project breakdown), per identificare i task (compiti) e poterli assegnare a chi è più preparato ed in grado di svolgerli con successo;
  2. evidenziare i collegamenti tra task, per far si che le attività siano integrate e non scollegate;
  3. fissare date di inizio e date di conclusione per i diversi task, in caso contrario le attività si protrarranno all’infinito e senza concludere alcunché;
  4. identificare responsabili di fasi e sottofasi, con una chiarezza nominale, il che significa avere specifici nominativi di responsabili;
  5. definire chi funge da controllore di processo, da verificatore di scadenze e di stati di attuazione, da coordinatore tra task diversi. Senza quest’ultima condizione, ogni piano di project management è destinato a fallire:
  6. verificare i risultati in progress e a conclusione del progetto, per poter correggere gli errori di impostazione e accrescere continuamente la cultura manageriale di project management, facendola diventare un modo di essere dell’organizzazione.
diagrammi

La pianificazione della campagna utilizza metodi grafici e tabellari (diagrammi di Gantt), nei quali si specifica chi, fa cosa, quando e come, togliendo ogni spazio all’improvvisazione e alla ricusazione di responsabilità personali.

Il follow-up della campagna di comunicazione

Ogni campagna di comunicazione, se ben condotta, produce risultati. Anche piccoli, anche ritardati, anche inferiori, a volte superiori.

La fase di “ricaduta dei risultati” va esaminata attentamente

Include azioni di follow-up – azioni – orientate alla “raccolta di risultati” che si producono per effetto della campagna stessa.

Il problema del follow-up si presenta quando i risultati accadono in tempi esterni alla campagna stessa, o su target non programmati.

coltivare

Le azioni di comunicazione “coltivano” i risultati ma i frutti possono emergere in tempi remoti rispetto alla campagna stessa. 

Una delle indicazioni importanti da seguire è quella di includere una fase di follow-up come elemento della campagna stessa.

Ad esempio:

un team impegnato nel gestire una campagna di vendita, non potrà considerare la campagna “conclusa” dopo le fasi di contatto preliminare e le visite aziendali, ma sarà necessario includere un tempo (una settimana, due settimane) per la conclusione dei contatti avviati.

L’errore più grave è invece quello di lanciarsi in una campagna nuova, successiva, senza avere concluso la precedente.

In sintesi è necessario:

  • includere la fase di follow-up nella progettazione stessa della campagna (e quindi nella Gantizzazione): deve esistere un tempo preciso e delimitato (“tempo finito”) per le azioni di follow-up;
  • per le campagne di marketing: comunicare chiaramente al cliente che la campagna ha dei tempi, delle scadenze, e i benefici (es: promozioni particolari) sono ottenibili solo all’interno di questi tempi e non oltre (limiti motivanti ad agire entro un tempo predefinito).

Una riflessione conclusiva. Siamo tutti comunicatori, siamo nati per esserlo, siamo nati con strumenti di ogni tipo per comunicare. Basta solo scoprirlo, e lavorarci sopra. Abbiamo il destino e l’orgoglio. Lasciamoli fluire assieme.

tatoo

«In realtà, il processo d’individuazione è quel processo biologico…attraverso il quale ogni essere vivente diventa quello che è destinato a diventare fin dal principio». [3]

Talvolta, quando si è etichettati, quando si è marchiati, il nostro marchio diventa la nostra vocazione. (pag. 72)“– John Irving


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi dei costi / benefici intangibili di comunicazione

La activation research qualitativa strutturata nel metodo ALM, si occupa di:

valutare quanto tempo il management dedica alle attività di comunicazione (costi manageriali) e con che risultati;

  • valutare quanto tempo il management dedica a singole iniziative di comunicazione e con che risultati, per identificare dissonanze in termini di efficienza ed efficacia gestionale;
  • scoprire aree di interesse comunicativo che non ottengono sufficiente attenzione da parte del management;
  • scoprire progetti di comunicazione che assorbono tempo manageriale e costo/tempo strutturale (il tempo e le risorse dell’azienda) superiore ai ritorni pratici.

Sono numerosi i casi in cui l’intero management o manager chiave si “innamorano” di progetti aziendali che non hanno però riscontri, e finiscono per assorbire completamente il tempo manageriale, oppure ancora ne assorbono troppo rispetto ai risultati che producono. Questa analisi permette di affrontare il fenomeno con metodo e rigore scientifico.

È limitativo ed errato misurare l’efficacia della comunicazione solo in termini di vendite generate nel brevissimo periodo. Prima che accadano comportamenti di acquisto devono prodursi – nella mente del cliente – altri avvenimenti psicologici che costituiscono il presupposto del successo comunicativo. 

Dobbiamo quindi :

  1. misurare con rigore anche il raggiungimento di questi pre-obiettivi
  2. creare le condizioni affinché gli obiettivi di vendita possano essere raggiunti.

L’investimento comunicativo è efficace quando accresce il grado di conoscenza del marchio o del prodotto (risultato importante), o quando modifica l’atteggiamento verso l’impresa (altro risultato importante), senza che nel giorno stesso si debbano produrre risultati di vendita istantanei. 

coltivare

I risultati devono certo accadere, ma non dobbiamo incorrere nell’errore di misurarli nel momento sbagliato, e tralasciare altri risultati essenziali. 

Con una metafora agreste, stiamo seminando il terreno, stiamo irrigando il raccolto, stiamo togliendo le erbacce, o stiamo raccogliendo i frutti già maturi? 

La comunicazione che ricerca i frutti già maturi (i clienti pronti all’acquisto) ma non si preoccupa di creare le condizioni (dissodare il terreno, coltivarlo, irrigarlo, ripulirlo) otterrà ben poco dal mercato. 

La cultura della comunicazione aziendale deve occuparsi di tutti i diversi livelli: dal creare le condizioni per la vendita, al coltivare le condizioni di vendita tramite comunicazione relazionale, al raccogliere i risultati tramite comunicazioni orientate alla “chiusura negoziale”. 

L’approccio coltivativo richiede l’utilizzo di più canali, anche diversi (dal telemarketing sino alle forme antiche come la pubblicità postale o i volantini, per concludersi con la negoziazione B2B, e ogni altro canale opportuno, attuale e futuro), senza preclusioni di sorta. Un ingrediente importante del successo è la cura dei propri strumenti di coltivazione del cliente. 

coltivare

Quando l’agricoltore semina con cura, andrà a raccogliere con altrettanta cura, e quindi farà manutenzione alle macchine per la raccolta. Se il manager non fa manutenzione tramite formazione alle risorse umane (venditori e comunicatori front-line) che andranno a raccogliere i frutti della comunicazione, otterrà una raccolta estremamente inefficiente. E in più avrà sprecato le risorse precedenti.

Ecco quindi che aree diverse, dalla comunicazione alla formazione, si fondono per giungere al risultato aziendale di vendita che rappresenta l’obiettivo finale, con la consapevolezza che dobbiamo creare le condizioni per essere persuasivi ancora prima di essere giunti sul luogo di vendita.

Coltivazione comunicativa

Per spiegare meglio il concetto di coltivazione comunicativa, ricorriamo ad un modello estremamente basilare degli effetti comunicativi, il modello A.I.D.A. (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione). 

Il modello A.I.D.A. espone un fenomeno semplice: prima di ottenere azione (esempio, un acquisto), deve nascere un desiderio d’acquisto, una pulsione. 

Affinché nasca una pulsione, il cliente deve provare interesse verso il prodotto/servizio, deve percepirvi valore. Ma perché il cliente percepisca valore, è necessario che egli sia esposto ad uno o più messaggi da cui ricevere ed elaborare dati e informazioni. 

Senza questo passaggio minimo la catena di eventi non avrebbe luogo e nessun effetto si produrrebbe.

Questo modello semplice è utile per divulgare un concetto: 

  • se una campagna di comunicazione crea attenzione, questo è un primo risultato, 
  • se crea interesse è un ulteriore risultato, 
  • se si crea desiderio, questo è un risultato. 
  • Il comportamento, l’azione, non avvengono se prima non otteniamo le condizioni basilari e minime affinché esso si manifesti.
pulsione

Ogni passo in avanti nella sequenza persuasiva è un risultato importante, poiché la persuasione non accade “per magia” ma grazie ad una serie di azioni comunicative di qualità.

Ecco quindi che la activation research deve occuparsi anche di quanto una campagna di comunicazione accresce la conoscenza del marchio, quanto modifica o accresce la percezione di immagine aziendale o di un gruppo sociale, l’atteggiamento verso il prodotto, quanto incide inoltre sulla sensibilizzazione del cliente e sull’apertura di nuovi budget mentali, cioè di tutti i precursori dell’atto di acquisto.

La comunicazione come processo difficilmente ottiene tutti i risultati con un solo messaggio. Solo una continuità nella comunicazione, una “coltivazione del cliente”, permette di ottenere risultati certi.

È necessario analizzare:

  • la Frame-Activation: i risultati prodotti sa un singolo frame comunicativo, o singolo evento/iniziativa;
  • la Total-Activation: i risultati prodotti dall’intera catena di frames comunicativi.

Nel metodo ALM, l’Activation Research Coltivazionale (A.R.C.) si occupa di capire quali sequenze di eventi comunicativi ottimizzano il risultato finale.

È necessario divenire consapevoli che ogni media possiede peculiarità diverse, e ad un media o modalità di comunicazione non dobbiamo chiedere ciò che non sa fare. 

Non pretendiamo da una pubblicità postale che esso produca l’effetto finale (conclusione della trattativa) per un prodotto ad alto valore: non lo farà. Per ogni media esistono obiettivi specifici: non commettiamo l’errore di mandare un’email a negoziare per noi, a concludere una vendita difficile, non ne sarà in grado. Chiediamo ad ogni media ciò che il media può dare. 

Chi misura unicamente le azioni di breve periodo (risultati immediati) compie un grave errore, così come chi misura unicamente le variazioni psicologiche senza preoccuparsi dei risultati tangibili. 

Risultati intangibili della comunicazione si manifestano chiaramente quando essa riesce ad eliminare condizioni di scarsa credibilità che impedirebbero acquisti dai clienti. 

Poniamo il caso di una società di consulenza che non abbia un sito web. La sola assenza del sito produce un danno d’immagine, molti clienti potenziali la scarterebbero a priori. È quindi sbagliato chiedersi solo “quanti clienti nuovi ha generato un investimento sul web” senza chiedersi “quanti clienti mi ha permesso di non perdere”. Se la presenza del sito ha permesso di condurre una trattativa con maggiore sicurezza, questo effetto di comunicazione deve essere considerato tra i benefici produttivi di “condizioni positive di vendita”.

I mercati nel contesto competitivo odierno premiano solo chi si adopera con costanza, intelligenza, e impiega le proprie risorse investendo in un mix adeguato di formazione e comunicazione. 

Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare un prodotto per ottenere vendite e profitti. Chi semina oggi un campo non arato, non irrigato, non concimato, sta sprecando semi. L’approccio alla coltivazione del cliente rende attuale un antico modo di essere: essere seri, essere affidabili, essere credibili. E farlo con applicazione, impegno, costanza, rigore, volontà, e soprattutto continuità.

Servono obiettivi chiari per misurare le cose giuste. Focusing e Consulenza di Processo aiutano a definirli

La activation research può misurare gli effetti dell’investimento in comunicazione, formazione e marketing, i suoi ritorni, i suoi costi, i suoi benefici pratici così come quelli intangibili. Tuttavia, poniamoci una domanda: se non abbiamo chiarito esattamente gli obiettivi a priori, cosa misuriamo?

La sindrome del misurare per misurare è alta e potente.

Ogni azienda dovrebbe invece fare almeno 2 “ritiri” all’anno di Focusing, focalizzazione degli obiettivi, e dopo, solo dopo, iniziare a misurare.

Quasi sempre, dopo un ritiro di focusing, gli obiettivi che misuriamo cambiano, le variabili che ci interessano cambiano.

cambiamento

Ad esempio, al di la delle letture di una pagina web (impressions), potrebbe interessarti di più chi si iscrive ad un tuo notiziario personalizzato.

Una scarsa precisione dell’obiettivo di comunicazione produce sempre campagne e sforzi improduttivi. 

Il primo compito del consulente di comunicazione è quello di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo, adottando un approccio di consulenza di processo[1].

Il compito del cliente è quello di partecipare attivamente alla definizione di obiettivi misurabili, assumendosi una quota di responsabilità e di impegno. 

Il manager o amministratore può delegare l’esecuzione di un obiettivo, ma è indispensabile che egli partecipare alla sua definizione.

Partecipare alla comunicazione, formazione e marketing significa realizzare un primo e importantissimo step di consulenza per chiarificare: 

  • cosa stiamo cercando
  • quali sono le variabili sulle quali vogliamo intervenire tramite la comunicazione, la formazione o il marketing
  • in quali tempi intervenire
  • in quali luoghi intervenire
  • su quali clienti o soggetti intervenire
  • con quale gamma di metodologie intervenire – mix di metodologie
  • come misureremo il risultato.

Una definizione così precisa degli obiettivi richiede tempo manageriale elevato e competenze specialistiche in marketing e comunicazione. 

L’importanza del ruolo consulenziale è qui determinante. Qualora il cliente dei servizi di comunicazione sia in grado di strutturare gli obiettivi chiaramente, i progetti sono in buona parte avviati verso la soluzione. Tuttavia, senza confronto raramente si giunge alla chiarificazione precisa del quadro.

In molti casi è opportuno ricorrere ad una apposita consulenza di processo atta ad identificare i goals (focusing e goal setting) e il mix di strumenti di intervento da attivare. 

Eliminare questo passaggio cardine è improduttivo sia per il cliente che per il fornitore di servizi comunicazionali, formativi e di marketing.

Chi pratica comunicazione deve sapere su quali variabili sta lavorando. Comunicare per creare immagine professionale nel lungo periodo è qualcosa di molto diverso dal realizzare una promozione speciale in un periodo di calo di vendita. 

Una promozione di prezzo (sconti e abbuoni) può aumentare le vendite del momento e deprimerle per un lungo periodo successivo, e questo non è un risultato positivo di marketing.

Nel caso di interventi formativi, dobbiamo chiarire quale mix di tecniche formative utilizzare: è più produttivo utilizzare sessioni seminariali, coaching, role-playing, affiancamenti sul campo, o un mix di diversi metodi? Dobbiamo lavorare solo sul “sapere”, o anche sul “saper essere” e sul “saper fare”? Sulla parte cognitiva o anche sul corpo? 

Che tipo di cambiamento vogliamo produrre?

Il budget di comunicazione (o budget di progetto, per interventi di formazione e marketing) va quindi concentrato su obiettivi chiari e produttivi.

Se il cliente disperde un budget ristretto su troppi target e troppi prospects (clienti potenziali, o fruitori di progetto) egli rischierà di ottenere solo i primi risultati (attenzione, o al massimo un vago interesse), ma di non arrivare mai al punto (vendite, cambiamento, risultati tangibili).


[1] Schein, E. H. (1999). La consulenza di processo: come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Cortina. Tit. orig. Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship, 1999, Addison Wesley.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online