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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Le persone hanno bisogno di tante cose: cibo, acqua, amore, denaro oggetti, ma, ancora di più, hanno bisogno di radici su cui poggiare (grounding) e ali per volare, strumenti per raggiungere i propri scopi, sogni, aspirazioni, e non spegnersi.

Lavorare su entrambi i piani è il nostro credo fondamentale. È un lavoro diretto ad un potenziamento generale della persona, ad un suo radicamento solido, un ancoraggio su piattaforme salde, per poi poter guardare in alto. È un rafforzamento indispensabile, necessità sulla quale non è bene chiudere gli occhi.

Questo bisogno è mosso da due grandi classi di motivi: (1) potenziarsi per il desiderio di raggiungere obiettivi che solo con energie elevate possiamo toccare, (2) sviluppare la resistenza esistenziale, saper incassare, farsi forti e assorbire i colpi che arrivano con forza, quanto più la vita si fa complessa e competitiva, e centrano l’individuo da ogni lato (fisico, psicologico, economico, esistenziale). Colpi a volte durissimi e imprevisti.

Gli unici a non subirli sono coloro i quali hanno abbandonato, sono protetti, o possono permettersi di non avere obiettivi. Anche per loro tuttavia, quando la situazione cambia, farsi trovare forti e preparati piuttosto che deboli e impreparati farà la differenza. 

Per tutti gli altri, la giostra è aperta qui ed ora, non è possibile scendere, ma solo imparare a potenziarsi, capire cosa succede, prendere coscienza, smontare i meccanismi del gioco, prendere in mano qualche leva di comando, e governare il timone dell’imbarcazione che ci conduce. 

Prepararsi e potenziarsi ha senso non solo peri l’oggi ma anche per un domani in cui vogliamo farci trovar pronti rispetto alle sfide che ancora non possiamo prevedere, l’imprevisto. E, come evidenzia l’umanista e scrittore francese Rabelais, verso il futuro è meglio essere preparati. 

Bevo per la sete che è da venire.

François Rabelais (1494-1553)

Per approfondimenti vedi:

Progetto a cura di:
Cristina Turconi, Executive & Business Coach ICF, Formatrice e Facilitatrice Aziendale, Master Practitioner Certificata Metodo HPM Human Potential Livello 2

Sito Cristina Turconi – Sviluppo del Potenziale Individuale, dei Team e delle Imprese
Cristina Turconi – Linkedin

Qualche giorno fa in un esercizio dì brain-storming finalizzato a estrapolare un nuovo “naming prodotto”, la parola che si è rivelata più gettonata è stata la parola: FEEL. 

Guardando quel team lavorare, confrontarsi, discutere e dibattere su proposte e parole anche molto divergenti tra loro, mi sono letteralmente fermata un istante a sentire il “feeling di quel team”.

Quel flusso positivo, che pur nella diversità, era percepibile come un’energia viva e pulsante che fungeva da collante alla moltitudine di esperienze e di vissuto dei componenti di quel gruppo. Quel flusso positivo generato da persone che condividono un obiettivo chiaro e comune, che si impegnano a lavorare insieme per costruire e cementare la fiducia reciproca e il raggiungimento di traguardi importanti. 

Bret Hedican (professionista olimpico di Hockey) paragona quell’energia positiva al ritmo del cuore:

“Un Team vincente è come un cuore che batte
e continua a pompare indipendentemente dall’obiettivo.
Se il Team è in testa, non c’è distensione.
Se è nelle parti basse della classifica, non c’è panico. 
Il cuore della squadra continua semplicemente a pompare.
E il cuore è veramente il “core group” dei ragazzi
che impostano un ritmo positivo che si estende a tutti i giocatori. “

Lavorare in gruppo è un lavoro complesso, è una sfida intellettuale che può mettere a dura prova la pazienza, la presenza mentale, il focus e l’energia del Leader e dei componenti del gruppo. Imparare “come” farlo presuppone saper distinguere in quale tipologia di gruppo ci si trova ad operare, l’intenzione e lo scopo, la composizione e il grado di sviluppo dei partecipanti, il livello di abilità presente nel gruppo in relazione al risultato da raggiungere e lo stadio di sviluppo e maturità del gruppo stesso.

Le energie che formano e governano i processi di gruppo (il modo in cui il gruppo si è costituito, come le persone diventano un gruppo, come crescono, come da gruppo diventano un team) creano delle dinamiche che possono rivelarsi funzionali o disfunzionali influenzandone i risultati e il relativo benessere.

Lavorare in gruppo significa “agire” ogni giorno la volontà di diventare sempre più abili a comprendere le proprie esigenze e a conoscere a fondo le esigenze degli altri; a imparare ad avere a che fare con la diversità degli altri, mettendo in pratica quelle abilità sociali e quelle competenze emotive che sono alla base della cooperazione e della collaborazione.

In azienda, in famiglia, nelle associazioni, in ogni gruppo di persone che si trovino a cooperare insieme, possiamo trasformare la sfida del lavorare insieme in qualcosa di molto simile a quel “battito del cuore”, quel rispetto della squadra che ci aiuta a vincere nutrendoci del farlo insieme.

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Se ti trovi in una situazione di stallo incapace di agire come vorresti per costruire il tuo destino, o se invece senti quella voce interiore che ti esorta a fare qualcosa di diverso per esprimerti liberamente, per essere migliore, per lasciare un segno e dare un senso al tuo viaggio della vita, ti troverai immancabilmente a dover fare i conti con il tuo potenziale. 
Ti troverai a cercare di capire come esplorarlo a fondo, come svilupparlo e utilizzarlo al meglio nel tuo percorso di crescita personale.

Può trattarsi di un percorso finalizzato al tuo sviluppo professionale, aziendale o semplicemente il perseguire quella pulsione ancestrale legata all’evoluzione a quel bisogno di auto-realizzazione che porta all’espressione del vero sé. 

«Un musicista deve fare musica, un pittore deve dipingere,
un poeta deve scrivere, per poter essere definitivamente in pace con sé stesso.
Ciò che uno può essere, deve esserlo.
Egli dev’essere come la sua natura lo vuole.
Questo è il bisogno che possiamo chiamare di auto-realizzazione.»

– A. Maslow –

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere team e imprese incapaci e demotivati. 

Nei miei progetti di business coaching, di consulenza, di facilitazione del lavoro in team e di formazione aziendale, trovo estremamente utile l’utilizzo del metodo HMP™ Human Potential Modeling del Dr. Daniele Trevisani per supportare persone, gruppi di lavoro e aziende a trovare le direzioni di crescita necessarie attraverso un’analisi del potenziale globale, localizzando quelle macro e micro-aree su cui si può agire, verificando come queste interagiscono tra di loro a livello sistemico.

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:
-> la crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling e
-> lo sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il fulcro di questo metodo è l’analisi dell’essere umano inteso come un “complesso di energie circolanti”, il suo lato umano, il suo spirito vitaleuna sinergia di forze fisiche e mentali, di micro e macro-competenze, di progettualità e aspirazioni. 
Il metodo identifica 6 specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno, indipendentemente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi piccoli o grandi. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuove possibilità che invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

In sintesi, le sei “celle di lavoro” prendono in considerazione:

  1. Le energie fisiche – lo stato bioenergetico: 
    che energie fisiche sono richieste per questa prestazione? Forza, potenza, resistenza, concentrazione mentale, attenzione? Mai sottovalutare la dimensione corporea di una prestazione, soprattutto di quelle intellettuali o la possibilità di elevare gli stati spirituali con il supporto del corpo.

  2. Le energie mentali – lo stato psico-energetico: 
    le energie della motivazione, la liberazione da ansia e tensioni inutili, capacità di liberarsi da emozioni parassite e controproducenti, il sentire l’attivazione in sé e il volere fortemente realizzare idee o azioni.

  3. Il fattore delle macro-competenze: 
    conoscere quanto serve, avere fatto l’esperienza allenante e di studio che permette di padroneggiare un campo di azione e anche le sue zone limitrofe.

  4. Il fattore delle micro-competenze: 
    saper cogliere i dettagli che sfuggono ai più, saper fare l’introspezione necessaria sui processi mentali, anche minuziosi, che avvengono durante una prestazione. Saper inquadrare i dettagli comportamentali che faranno di una prestazione qualcosa di speciale.

  5. Il fattore della progettualità: 
    saper individuare “quando fare, cosa, in che sequenza”, e altri aspetti molto pratici di una prestazione. Organizzare risorse, stendere su carta un’idea sotto forma di passi da compiere, sviluppare ipotesi di linee di azione da intraprendere.

  6. Il fattore dei principi e valori, degli ideali e delle aspirazioni e il senso di missione: 
    per cosa lo fai? Cosa c’è dietro? Ci credi veramente in quanto stai facendo o sei obbligato da qualcosa, quanto è volontà e quanto è necessità? Quanto più un’azione è centrata rispetto alle nostre credenze più profonde, tanto più sarà forte la nostra concentrazione e attivazione. Ma non basta fermarsi ai valori attuali e allo stato spirituale attuale. Tutti possono trovare nuovi valori, accrescerli, liberarsi da valori e credenze false, trovare i propri “ancoraggi spirituali forti” in un punto di esistenza più alto, e questo è un fattore assolutamente determinante per la prestazione e la vita.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”; trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito o persino trascurato, denutrito, abbandonato. Al crescere della carica nei diversi sistemi, aumenta l’energia complessiva della persona, del team e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. 

Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e di nutrirli.La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi. Attraverso questo metodo le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio, efficace e sostenibile sulle singole aree, abbracciando e valorizzando allo stesso tempo l’espressione di quella spinta di autorealizzazione che ha una propria sacralità, al di là del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Imparare a conoscere e a sviluppare il tuo potenziale ti offre la possibilità di amplificare al massimo quella certezza nel tuo “senso di scopo” che può donare spessore e valore a ogni tua esperienza e un senso più profondo del vivere a pieno la tua vita.

Per approfondimenti vedi:

Progetto a cura di:
Cristina Turconi, Executive & Business Coach ICF, Formatrice e Facilitatrice Aziendale, Master Practitioner Certificata Metodo HPM Human Potential Livello 2

Sito Cristina Turconi – Sviluppo del Potenziale Individuale, dei Team e delle Imprese
Cristina Turconi – Linkedin

Questo articolo parla dell’importanza del poter vivere con pienezza il nostro viaggio della vita restituendo un significato più profondo al nostro agire quotidiano.

Perché facciamo le cose?

Un gruppo di ricercatori che operano nella sfera della Psicologia Umanistica ha condotto uno studio per confrontare i diversi punti di vista sul senso della vita, analizzando sia persone comuni che personaggi eminenti (cultura, scienza, politica)[1a].Il senso fondamentale che emerge da questa ricerca è che l’essere umano ha bisogno di significati. Ha bisogno di ancorare la propria esistenza a qualcosa, ha la necessità di trovare una spiegazione. Il contrario è una “crisi di senso”: non sapere più cosa facciamo, non credere più a niente.

La spiegazione per il nostro agire può essere assurda, logica, razionale, mistica, scientifica, morale. La mancanza di una motivazione del fare, dell’essere, e dell’esistere, porta ad un profondo disagio esistenziale. Come evidenziano gli stessi autori:

Albert Camus (1955),Viktor Frankl (1992), e Lev Tolstoj (1980),  tutti credevano che, se la vita avesse o meno un significato in sè, fosse la domanda più importante della vita stessa. Per loro, tutti gli sforzi e imprese umane si confrontano con la questione del significato – senza significati, niente ha più importanza. Frankl (1978) vedeva la  mancanza di senso (meaninglessness) come la neurosi primaria dei nostri tempi (p. 2), e Carl Jung (1933) sosteneva che tutti i suoi clienti, visti in oltre 35 anni di terapia, avevano problemi che si collegavano alla questione dei significati (meaning). Negli studi empirici, l’esperienza soggettiva della meaninglessness (mancanza di senso) è stata collegata alla depressione (Beck, 1967; Seligman, 1990) all’abuso di sostanze e al suicidio (Harlow, Newcomb, & Bentler, 1986), così come ad altre psicopatologie (Yalom, 1980)[1b].

In sintesi, se non percepiamo un significato nelle cose, andiamo in crisi. 


La mancanza di significato porta a disturbi, o neurosi, e disagio esistenziale. Ogni azione connessa al potenziale umano deve quindi andare alla ricerca di significati profondi cui ancorarsi, siano essi in azienda, nello sport, nella vita, o in campo sociale e personale.

La psicoenergetica, nel metodo HPM, è una disciplina che deve analizzare, attaccare e aggredire la meaninglessness (mancanza di senso o caduta di significati del­la vita), e affrontare il senso di una prospettiva umana. I fronti per cui applicarsi e le cause per cui impegnarsi possono veramente essere molte, dalla fame, alla protezione dei deboli, dei bambini, degli anziani, ma anche credere in un progetto aziendale importante, o impegnarsi in un percorso spirituale. 

Il venire meno dei significati della vita o senso della vita generale distrugge qualsiasi volontà di affrontare un progetto o di impegnarsi in un’azione. 

Il nostro fine profondo è recuperare il senso, in ogni brano della vita: senso della giornata, senso di una settimana, senso di un trimestre, senso dell’anno in corso, o senso della vita, ma anche senso di un incontro (perché questo incontro?), senso di una relazione (perché questa relazione?), senso di un progetto (perché questo progetto?), senso di una sfida (perché questa sfida? Chi o cosa sto sfidando veramente?).

Lo scopo penetrante è di accrescere l’ancoraggio delle persone a obiettivi significativi, costruendoli e rinforzandoli (da un lato) e rimuovendo i blocchi (dall’altro) che impediscono a queste energie di manifestarsi.

[1a] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tridente, Nancy, Van Puymbroeck, Christina M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter 2003.

[1b] Camus, A. (1955), The myth of Sisyphus, Alfred A. Knopf, New York.Frankl, V. (1978), The unheard cry for meaning, Simon & Schuster, New York.Frankl, V. (1992), Man’s search for meaning (4th ed.), Beacon Press, Boston.Tolstoy, L. (1980), My confession, in S. Sanders & D. R. Cheney (Eds.), The meaning of life, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ.Jung, C. G. (1933), Modern man in search of a soul (W. S. Dell & C. F. Baynes, Trans.), Harcourt, Brace & World, New York.Seligman, M. E. P. (1990), Why is there so much depression today?, in R. E. Ingram (Ed.), Contemporary psychoanalytical approaches to depression (pp. 1-9), Plenum, New York.Harlow, L. L., Newcomb, M. D., Bentler, P. M. (1986), Depression, self derogation, substance abuse, and suicidal ideation: Lack of purpose in life as a mediational factor, Journal of Clinical Psychology, 42, 5-21. Yalom, Y. D. (1980), Existential psychotherapy, Basic Books, New York. Tolstoy, L. (1980), My confession, in S. Sanders & D. R. Cheney (Eds.), The meaning of life, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ. Jung, C. G. (1933), Modern man in search of a soul (W. S. Dell & C. F. Baynes, Trans.), Harcourt, Brace & World, New York.

Estratto dal volume “Il Potenziale Umano”. Franco Angeli editore, Milano.
Autore: Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it
Materiale divulgativo messo a disposizione dall’autore. 

Per approfondimenti:

Photo by Nick Fewings on Unsplash


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La COLLABORAZIONE ti chiede di “lavorare insieme” all’altro la CO-CREAZIONE di “attingere ai tuoi punti di forza e aggiungerli ai punti di forza dell’altro”. Il processo da seguire è diverso, così come è diverso il risultato che puoi ottenere.

Co-creare non significa soltanto collaborare. E’ un risultato che si ottiene quando ciascun individuo fornisce il proprio apporto a uno sforzo collettivo finalizzato e, nel medesimo  tempo, si apre a un’idea di fiducia più ampia, o più elevata. Qui, la  “paura di perdere qualcosa” è silenziata e ci si muove nel proprio “fare” con la convinzione più profonda di portare alla luce, un risultato che ancora nessuno ha concepito.

Collaborare all’interno di un gruppo di lavoro può essere molto faticoso, in quanto ogni membro, nel perseguire un risultato comune, mette in gioco l’esperienza che ha di se stesso, attivando tutta una serie di dinamiche psicologiche collegate ai bisogni più profondi di relazione, appartenenza, sicurezza e d’identità. Ecco allora che si attivano tutta una serie di resistenze che necessitano essere gestite, mediate e facilitate per confluire in un risultato di gruppo che possa considerarsi soddisfacente.

La capacità di co-creare si può tradurre invece, in un mix di maturità, competenza professionale, coraggio (cor agere = agire col cuore) e rispetto dell’altro, che scaturisce da una personalità in sintonia con quella forza vitale interiore, che tende alla realizzazione e all’evoluzione dell’essere umano. Agire questa competenza significa non accontentarsi di un compromesso, ma di perseguire solo e soltanto la gratificazione del co-creare, sapendo che ci si potrà fermare solo e soltanto quando ciascuno sente che il risultato è perfetto. La sensazione qui è quella di fluire. Il singolo non tenta di imporre le proprie opinioni, ma si unisce agli altri portando in dono le proprie idee, conoscenze e competenze che si combinano quasi magicamente, grazie all’attenzione a quella parte più nobile, autentica e gioiosa di chi siamo davvero. L’orientamento al creare insieme, trascende le singole identità.

In questo particolare momento dove i problemi economici, sociali e ambientali sono diventati ancora più sentiti, è richiesto a ciascuno di noi di essere protagonista e responsabile in prima persona della creazione di un nuovo futuro lavorativo al’interno delle nostre aziende. I gruppi di lavoro possono quindi trasformarsi in un luogo ricco di opportunità per relazionarsi in modo più autentico e una palestra per apprendere e sperimentare nuovi modi di creare risultati eccellenti insieme.

Sito Cristina Turconi
Linkedin Cristina Turconi

Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nella lettura di oggi andiamo a scoprire che non basta conoscere il prodotto al 100% per completare con successo una negoziazione interculturale, poiché si rendono necessari altri due elementi: “compatibility” e formazione trasformazionale.

In ogni team esiste un problema di selezione (come si entra, che caratteristiche ha chi entra) e di formazione (come far crescere i membri del team). Quando la prima fase è errata, quando le persone sono mal selezionate, gli errori si ripercuotono a catena.

La formazione generalmente si prefigge di incrementare le prestazioni e conoscenze esistenti (formazione incrementale), e raramente viene utilizzata con lo scopo di agire in profondità sulla personalità per cambiarla (formazione trasformazionale).

In ambienti estremi, l’American Institute of Medicine ha iniziato a studiare seriamente il “Crew performance breakdown” (rottura della performance dell’equipaggio) tra astronauti costretti a convivere in uno spazio limitato per lungo tempo.

Molti incidenti aerei e spaziali sono stati causati da dinamiche di incomunicabilità tra l’equipaggio (incomunicabilità intragruppo) o tra equipaggio e altri crew (crew: gruppi di lavoro, equipaggi) – quali i controllori di terra – (incomunicabilità intergruppo). Per questi motivi, la Human Factors Research and Technology Division della NASA ha inserito criteri addizionali di selezione per minimizzare i rischi della incomunicabilità intragruppo già partendo dalla selezione delle risorse umane, valutando quindi non solo le abilità scientifiche ma anche le competenze interpersonali e di comunicazione.

Tra i criteri di selezione, inoltre, non si valutano più solo skills individuali, ma viene svolta una analisi della “compatibility” (compatibilità con il gruppo e capacità di vivere nel gruppo).

Per le aziende esiste una implicazione: (1) non tutti sono adatti a negoziare, e (2) ancora meno a farlo interculturalmente. Ogni errore di comunicazione interculturale svolto da un venditore che opera all’estero (es: un area manager) o da un imprenditore, può significare un contratto in meno.

I negoziatori interculturali devono essere adeguatamente selezionati partendo dalla loro capacità di apertura alle culture diverse, flessibilità mentale e competenze comunicative, e non solo in base alla loro esperienza aziendale o preparazione sul prodotto.

Non importa quindi essere in un team di astronauti americani, cinesi e russi – nello spazio – per occuparsi di incomunicabilità e difficoltà interculturali. Gli studi sulla comunicazione interculturale toccano tutti – la scuola, l’educazione, la famiglia, l’azienda. Esplorano ad esempio nuovi strumenti di intercultural mentorship (supporto all’adattamento interculturale) e le strategie usate dai mentors per migliorare le competenze interculturali, oppure i problemi del World Business e della globalizzazione economica, le sue implicazioni sulla negoziazione tra persone che appartengono a culture diverse.

Questi studi analizzano i problemi degli stereotipi, dei cambiamenti di percezione reciproca provocati dalle esperienze di interazione diretta, della frustrazione o confusione sperimentata nelle cross-cultural business interactions.

libro "Negoziazione Interculturale" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: