Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.
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Nella negoziazione interculturale, per poter trovare un accordo tra le parti, è necessario che i negoziatori superino non solo le barriere linguistiche, ma che riducano anche le distanze psicologiche, applicando un processo di avvicinamento, in modo da comprendere il più possibile la visione del mondo dell’interlocutore. Vediamo come nelle prossime righe.
Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo.
La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto.
Le barriere linguistiche però non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sé e gli altri, nonostante le apparenze.
Nella prima parte abbiamo iniziato ad accennare al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale; ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti.
Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.
Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.
Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.
Vediamo il seguente caso:
- per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
- in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.
Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.
Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.
Uno degli errori più naïve di chi affronta la dimensione interculturale è la presunzione che sia possibile tradurre i significati in modo esatto, trasponendo verbi e parole “come sono” e semplicemente portandoli nel linguaggio altrui.
La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui.
Vocaboli identici potrebbero suscitare un’immagine mentale diversa in ogni cultura: è illusoria l’idea che le immagini mentali tra due o più soggetti possano combaciare perfettamente.
Il metodo T2V (Trevisani 2 Variabili) sviluppato dall’autore affronta il problema delle “distanze” che separano i comunicatori – distanze psicologiche e comunicative, non certo fisiche – e da come queste possano o meno essere superate.
In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.
Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo.
Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così. Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno.
La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata.
Una delle principali aree della comunicazione interculturale è lo studio delle differenze tra emittente e ricevente del messaggio.
Nel nostro metodo utilizzeremo due variabili primarie che costituiscono differenze tra comunicatori – due principali differenze culturali, (1) il codice di comunicazione e (2) la visione del mondo (World-View).
L’unione delle due variabili ci permetterà di sviluppare una matrice di situazioni o stati della comunicazione (COMSITS).
Dall’analisi della matrice, proporremo alcune considerazioni sui limiti della comunicazione. In particolare, le implicazioni riguardano:
- (1) l’aspetto tecnico della qualità comunicativa, cioè, l’esattezza o accuratezza dello scambio di informazioni tra persone di culture diverse (understanding), e
- (2) il risultato della comunicazione in termini di accordo (agreement) sui contenuti e sulle visioni espresse fra i comunicatori.
La cultura è considerata in questo metodo come un insieme di modelli di pensiero, categorizzazione, comportamento e comunicazione, che vengono sia appresi (durante la crescita dell’individuo) che ereditati (frutto del codice genetico comportamentale). Questi modelli influenzano la percezione del mondo, la comunicazione ed il comportamento.
Inoltre, seguendo la prospettiva teorica di Watzlawick ed altri, si considera la comunicazione come processo che accade sia intenzionalmente che involontariamente.
Approfondiremo il metodo T2V nel prossimo articolo, cercando di analizzarne dettagliatamente tutti gli aspetti, che verranno messi a confronto con le categorie di Hofstede.
Per approfondimenti vedi: