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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Concludiamo questo ciclo di 3 articoli sul raggiungimento della comunicazione efficace, cercando di riconoscere la propria cultura e le sue fonti, di capire come le idee si diffondano e di imparare a ricercare un common ground comunicativo.

Una vita sana richiede consapevolezza di quali credenze, valori o insegnamenti stiamo mettendo in pratica e ci chiede di riconoscere il fatto che essi siano stati acquisiti dall’acculturazione e dall’ambiente circostante: sono “entrati”, e noi ne siamo impregnati. Gli esseri umani sono pieni di memi, di tracce mentali, idee, credenze, apprese dagli altri esseri umani o da fonti mediate.

La memetica, come nuova disciplina nel panorama delle scienze sociali, si occupa di come le idee o memi si trasmettono da persona a persona, da gruppo a gruppo, proprio come la genetica si occupa della trasmissione dei geni e dei patrimoni ereditari. 

Non appena due culture si incontrano, scopriamo che i nostri memi sono diversi da quelli altrui, ma in termini “riproduttivi” cerchiamo di replicare i nostri piuttosto che di accettare quelli degli altri.  Al centro della comunicazione, infatti, non c’è solo la questione di chi abbia ragione sui dettagli, ma addirittura il tentativo di far sopravvivere i propri memi, di riprodurre la propria visione delle cose, a volte di imporla. Questo comportamento è normale e risponde ai principi di conservazione della specie. 

Esiste quindi una prima forte consapevolezza che rende il comunicatore più efficace: la consapevolezza della propria cultura, dei propri memi attivi.  

Questa consapevolezza non significa rifiuto e non deve produrre automaticamente rifiuto di quanto appreso culturalmente, ma solo e semplicemente consapevolezza di quanto appreso, delle fonti, e della storia dei propri apprendimenti.  

Dopo avere svolto l’analisi del “cosa ho appreso”, quando e da chi, è necessario prendere queste tracce memetiche e sottoporle ad un vaglio fondamentale: cosa voglio tenere e consolidare da un lato, e di cosa mi fa bene liberarmi e perché, dall’altro.

Lo stesso tipo di analisi si può applicare agli apprendimenti organizzativi e alle regole vigenti in un’organizzazione, ai memi che vi circolano, in modo palese, o in modo più nascosto. 

Il successo della comunicazione dipende quindi dalla consapevolezza: 

  • delle fonti personali; 
  • delle fonti mediate; 
  • dei tempi dell’assimilazione, delle sue fasi significative e delle pietre miliari; 
  • della profondità di assimilazione nel Self di regole culturali, leggi e insegnamenti che si adottano; 
  • dalla capacità di riconoscere i fattori e le persone da cui si sono assimilate specifiche abilità, atteggiamenti e comportamenti oggi praticati sul lavoro e a livello professionale. 

Si può accettare di tenere con sè una regola culturale, o si può decidere consapevolmente di tentare di eliminarla dal proprio modo di essere, ma solo dopo avere preso coscienza della sua esistenza (autodeterminazione culturale). 

Nel metodo ALM, l’individuo, nella comunicazione, deve saper eliminare le tossine culturali che impediscono il buon funzionamento del Self, e sapersi aprire all’immissione di nuovi elementi, nuove energie, nuovi apprendimenti: aria pura per la mente

Il comunicatore è vivo quando è aperto al proprio cambiamento e allo scambio con l’ambiente. È morto e produce esiti nefasti quando rifiuta di accettare che le diversità esistono e devono essere capite e analizzate, ed è altrettanto morto quando non possiede una propria identità, quando accetta incondizionatamente la memetica altrui e rifiuta il proprio patrimonio. 

Dobbiamo essere consapevoli che le parole hanno un potere, il potere di aggregare interi “mondi di significato” e trasmettere valori attraverso le persone e attraverso il tempo. 

Come in molte delle attività umane, un buon esito richiede la capacità di trovare un equilibrio tra:

  1. tendenza all’accettazione incondizionata della cultura altrui (ipocrisia culturale)
  2. tendenza all’imposizione incondizionata della propria cultura verso l’altro (imperialismo culturale). 

Gli stati di coscienza alimentano le identità culturali: per esempio arrivare a tavola tardi e andarsene prima non è culturalmente corretto nella cultura italiana standard, ma è normale nella cultura americana. Si tratta di memi diversi che circolano, presenti in ogni comunicazione.

Il problema delle culture è che le loro norme non scritte entrano senza bussare, per osmosi, e diventano tangibili solo quando avviene un contatto con una cultura diversa. 

Anche le aziende hanno culture tra loro diverse, così come le aree aziendali. A causa della grande varietà di input a cui si è esposti, non esiste una creatura che ragioni con gli stessi identici schemi mentali di un’altra. In questo contesto, le persone si trovano a negoziare e a comunicare.

Due soggetti che possiedono visioni identiche e obiettivi identici, però, non hanno bisogno di entrare in una vera comunicazione e non potranno costruire nulla di originale. Quando invece emergono diverse visioni, concezioni ed esigenze, la comunicazione entra in campo, così come la possibilità di costruire creativamente attingendo da più bagagli diversi. 

Negoziare significa impegnarsi attivamente nella ricerca di una soluzione che soddisfi due o più interlocutori che partono da posizioni culturalmente diverse, facendo emergere sia le differenze latenti, che le basi comuni su cui poggiare. 

Stiamo negoziando mentre trattiamo un prezzo o un acquisto, ma anche mentre discutiamo su quale film vedere, o cosa fare nel weekend o in vacanza partendo da gusti e preferenze diverse.  

 Il successo della comunicazione dipende infine: 

  • dal grado di impegno/volontà di ciascun soggetto nella ricerca attiva di una soluzione di reciproca soddisfazione; 
  • dalla capacità di riconoscere esattamente i fattori che rendono diversa la posizione di partenza o gli interessi delle parti; 
  • dall’utilizzo delle diversità passate allo stato cosciente come motore propulsivo e creativo; 
  • dalla ricerca e costruzione delle basi comuni (common ground).
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nell’articolo a seguire tratteremo diversi argomenti: in primis si parlerà della formazione alla comunicazione efficace, successivamente si tratterà l’irrigidimento cognitivo, come riconoscerlo e superarlo, ed infine si approfondirà il tema della cultura come stato di coscienza.

Un progetto o corso/percorso sulla comunicazione efficace e sullo sviluppo personale può e deve insegnare alle persone a scoprire ciò che non sanno, le cosiddette “incompetenze inconsapevoli”.

I grandi capitoli formativi per apprendere a ridurre l’incomunicabilità sono:

  • la nostra identità e le identità multiple, il nostro ruolo e i ruoli multipli e il modo in cui influenzano la nostra comunicazione.
  • codici comunicativi e gli stili comunicativi, sul piano sia verbale che paralinguistico e non verbale, sino alla comunicazione polisensoriale e multicanale. Imparare a comunicare anche con codici comunicativi diversi dai nostri abituali è fondamentale, poiché la comunicazione è una competenza, e va allenata portando le persone fuori dalla zona di comfort, a sperimentarsi su nuove modalità comunicative. 
  • comprendere come si manifestano i nostri valori, le convinzioni, le credenze più profonde e gli atteggiamenti centrali e periferici e come trasmetterli nel modo più efficace. Imparare a cercare la base comune (common ground). 
  • comprendere come il nostro vissuto relazionale, esperienziale ed emotivo può essere elaborato e analizzato per scoprire lezioni di vita e auto-casi.
  • Cercare momenti di vita vissuta comuni, common ground sul piano delle emozioni vissute o altri tipi di common ground esperienziale. 
  • imparare l’ascolto, l’empatia e le tecniche di ascolto attivo. 

Tutto ciò deve essere fatto tramite la formazione attiva ed esperienziale che ci porti verso il nostro obiettivo e risultato. La formazione in comunicazione è un’arte espressiva, deve dare voce alla comunicazione degli aspetti emotivi così come a quelli informativi, perché la realtà è composta da entrambi. 

Lo sviluppo della capacità comunicativa parte sempre dal rendersi conto che non sappiamo fare qualcosa (1), per poi prenderne atto (2), lavorarci sopra anche se l’esecuzione è ancora incerta (3), proseguire fino a che l’esecuzione diventa fluida (4).

Questa operazione di crescita personale continua può farci arrivare anche allo stato di flusso (flow), lo stato di grazia e di piacere che può accompagnare una performance, anche difficile, quando sentiamo che il nostro corpo e la nostra mente stanno rispondendo perfettamente e riusciamo ad entrare in risonanza con l’azione.

Uno dei punti importanti che un corso di comunicazione e sviluppo personale affronta, quando ben condotto, è il fatto di affrontare l’incomunicabilità.  Questo ci aiuta a cambiare la modalità che usiamo nel rapportarci agli altri, uscendo dalla nostra corazza pesante di stereotipi e aprendo nuovi canali di comunicazione, aiutandoci anche ad affrontare situazioni comunicative in cui si insinuano rabbia, litigi, incomprensioni. 

Gli errori o i fallimenti diventano momenti di apprendimento.

Il progresso nelle competenze porta con sé una forza espansiva, aumenta la nostra zona di comfort, fa entrare questioni prima per noi impossibili entro la nostra area di sfida, amplia la nostra visione di ciò che è possibile.

Un corso di comunicazione e sviluppo personale può incidere su: 

  1. le nostre credenze potenzianti e limitanti; 
  2. le nostre convinzioni più radicate su come sia bene agire; 
  3. le nostre abitudini
  4. la nostra identità e come la esprimiamo al di fuori dei nostri contatti comunicativi; 
  5. i nostri valori profondi, inserendovi il valore di una comunicazione di qualità come nuovo riferimento per una vasta gamma di situazioni di vita. 

Possiamo anche affrontare: 

  1. distorsioni comunicative
  2. ambiguità
  3. finzioni, anche attraverso l’osservazione dei segnali deboli che le persone emettono; 
  4. metafore e figure logiche, cioè gli strumenti che danno forza ed enfasi al messaggio, lo rendono più bello, meglio strutturato, più potente ed efficace. 

Quando una persona migliora la propria comunicazione, questo miglioramento si estende ad ogni ambito e territorio della vita, in famiglia e nel lavoro. È bene sviluppare le abilità, coltivare i talenti, dare spazio al potenziale personale di ciascuno, in qualsiasi direzione esso si possa esprimere.

Il problema dell’incomunicabilità ha origini sociali. Nel pieno dello sviluppo della propria espressività, il bambino e l’adolescente imparano che ad essere sinceri nascono problemi, e che dedicare tempo agli altri è una perdita di tempo, o almeno così viene loro fatto credere. Mentre i sistemi educativi formali sostengono l’importanza dell’espressività e della comunicazione, i comportamenti educativi reali insegnano invece esattamente il contrario.

Anche le aziende insegnano questo: la regola basilare del “non fidarsi” è tramandata dall’esperienza degli “anziani” d’azienda ai giovani, creando una condizione di allerta permanente, un clima di sospetto che permea ogni avvio di relazione e ogni comunicazione. 

Tuttavia, tale condizione di “allerta” deve diventare una scelta tattica consapevole da applicare in alcuni momenti, non sempre, e non uno stato costante fissato a priori, una “ingessatura inamovibile” o un blocco cognitivo che impedisce un percorso di crescita. 

Poco a poco, il blocco delle espressioni esterne diventa incapacità di riconoscere ciò che ci accade all’interno e all’esterno. La realtà dei fatti è piena di persone che non riescono a spiegare il proprio bisogno (se si acquista) o il proprio valore (se si vende). 

In queste condizioni, il manager ingessato si trova a fare business, a negoziare, a dover comunicare, esprimersi, a volte persino a dover capire gli altri e ascoltare, e non ci riesce.  Esiste quindi un meta-obiettivo per ogni persona e gruppo: lo sblocco delle rigidità cognitive

È indispensabile lavorare per riconoscere i propri stereotipi e le proprie credenze, agire attivamente per capirli, identificare i propri stati di incomunicabilità, impegnarsi per eliminarla o ridurla, non attendere che la comunicazione migliori passivamente o “per miracolo”, ma impegnarsi in prima persona, come se fosse una priorità assoluta. 

La comunicazione può essere concepita come un contatto tra diversi stati di coscienza, un ponte tra universi mentali distanti.  Ogni cultura mette il soggetto nella condizione di prestare più attenzione a certi aspetti del mondo e di trascurarne o ignorarne altri. 

Secondo l’ipotesi Sapir-Whorf e gli studi di psicolinguistica, lo stesso linguaggio forma una struttura della realtà e plasma la realtà che vediamo. 

Ogni essere umano percepisce la realtà in modo diverso, per cui non esiste “una realtà” ma più realtà, a seconda degli schemi mentali utilizzati per la percezione (multiple reality theory). Un fenomeno esterno (presunta realtà oggettiva) non produce automaticamente la stessa esperienza soggettiva del fenomeno (realtà percettiva). 

Questo per alcuni è inaccettabile: il rifiuto di tale concetto produce rigidità umana e manageriale. L’incomunicabilità nasce persino all’interno dell’individuo stesso, che si trova dissociato tra il proprio Sé cosciente e il proprio inconscio.  

L’individuo che non comunica con sé stesso ha difficoltà a riconoscere i propri stati emotivi, non capisce alcuni dei suoi comportamenti o non sa darsene una spiegazione, vorrebbe essere in un modo e si trova nella condizione opposta. 

Allo stesso tempo, l’individuo che “non si conosce” agisce senza consapevolezza di quali norme, principi, precetti, canoni, direzioni, usanze, linee guida o teorie implicite stia utilizzando. 

In conclusione, il successo della comunicazione dipende: 

  • dalla capacità di mettere in contatto tra di loro le componenti intraindividuali e sbloccare la comunicazione tra le diverse componenti del soggetto stesso; 
  • dal grado di consapevolezza acquisita dal soggetto stesso rispetto alla propria cultura, in termini di valori, credenze, schemi, atteggiamenti e altri tratti culturali acquisiti; 
  • dalla capacità di rimuovere il “rumore di fondo” intrapsichico e attuare una forte presenza mentale durante gli incontri e scambi comunicativi. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nelle prossime righe riassumiamo i concetti del Modello delle Quattro Distanze, cercando di riunirle sotto quella che viene definita “distanza relazionale”, cioè l’insieme delle differenze e delle similitudini che creano rispettivamente lontananza o vicinanza comunicativa verso l’altro.

La distanza relazionale complessiva tra persone può essere visualizzata come la distanza che separa due quadrilateri, dove ciascun quadrilatero rappresenta un sistema-persona. 

distanza referenziale

Il soggetto A è portatore:  

  1. della sua biologia e fisiologia, della sua identità, ruolo e visione di sé; 
  1. ha il suo personale codice comunicativo, un personale repertorio linguistico-comunicazionale; 
  1. ha una propria ideologia, visione del mondo, valori e credenze; 
  1. ha un proprio passato, un proprio patrimonio di esperienze e vissuto. 

Lo stesso accade per il soggetto B:

  1. ha una sua biologia e fisiologia, una sua identità, ruolo e visione di sé, simili o diversi rispetto ad A; 
  1. ha il suo personale codice, un repertorio linguistico-comunicazionale, che può essere diverso o simile a quello di A; 
  1. ha una propria ideologia, una visione del mondo, dei valori e delle credenze, simili o diversi rispetto ad A; 
  1. ha un proprio passato, un proprio patrimonio di esperienze e di referenti, simili o diversi rispetto ad A. 

I due soggetti, quindi, esperiscono distanza, diversità. Possiamo rappresentare fisicamente tale distanza e diversità come un modello fisico, ove i due riquadri siano posti ad una certa distanza l’uno dall’altro. 

Ogni persona detiene un proprio repertorio, una “bolla di contenuti” che ricopre i punti cardinali della propria matrice. L’incontro tra persone, essenza stessa della comunicazione, è un incontro tra queste aree:  

  • l’incontro tra due biologie diverse e due diverse identità
  • l’incontro tra lingue, stili comunicativi e sistemi di codifica diversi  
  • l’incontro tra ideologie e visioni del mondo diverse  
  • l’incontro tra esperienze e storie di vita diverse. 

Il problema dell’incomunicabilità è proprio relativo a quanta area comune esista tra queste sfere. 

Una delle attività più significative è quella della definizione dei confini delle proprie sfere personali e della comparazione con quelle altrui, per valutare quale sia il possibile grado di interculturalità e di diversità, e quali siano le reali possibilità di comunicare. 

Comunicare, per definizione, è mettere in comune, condividere, e questo è possibile solo quando riusciamo a creare qualche forma di common ground, di “terreno comune”. Ogni volta che riusciamo a comunicare, si compie un miracolo. 

Le due principali attività nella definizione dei confini sono: 

  1. conoscere e rivisitare noi stessi, i nostri diversi ruoli, i modi con cui comunichiamo, i nostri valori, la nostra storia personale; 
  1. comprendere l’altro, sia con uno sforzo empatico che con una osservazione e un ascolto attivi, e in particolare comprendere le identità che si attribuisce, gli stili comunicativi che usa, i valori che trasudano dal suo parlare, le esperienze e la storia personale che emergono dal discorso. 

Delle due, certamente l’area del “conoscere sé stessi” è la più importante, perché le persone di fronte a noi cambiano, ma conoscere noi stessi meglio ci permette di avere almeno la metà di un processo comunicativo sotto controllo, la nostra. 

Ma cosa accade quando la distanza tra Self è assoluta?

Una relazione fallisce quando le persone che sono coinvolte non accettano in alcun modo il ruolo che l’altro propone, e avviene una negazione reciproca del ruolo. 

Questa casistica include i fenomeni per i quali la comunicazione viene interrotta o a volte nemmeno iniziata per via di ruoli incompatibili tra di loro e include anche i fenomeni di natura fisico-biologica, come il tentativo di comunicare concetti complessi ad un infante, o viceversa il tentativo di comunicare ad un anziano con capacità cognitive completamente deteriorate. 

Con portata inferiore, ma pur sempre inerente la rottura della D1, sono i dinieghi cortesi, formule di cortesia per dire no senza creare offesa esplicita, considerati una forma di down-keying conversazionale (riduzione del tono emotivo). I fenomeni di up-keying sono invece i momenti di incremento della temperatura emotiva di una conversazione. 

Continua…

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: