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Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Negoziare con i venditori e fare il patto psicologico

Patti chiari amicizia lunga.

(Proverbio)

Il patto psicologico tra direzione vendite e venditore viene promosso dalla direzione in un apposito incontro, già in fase di ammissione/ingresso nel team, e include:

  • le regole del team, i suoi valori fondanti;
  • le dichiarazioni esplicite di cosa ci si attende (attese, comportamenti, atteggiamenti) dal venditore, atti concreti connessi alle regole del team, con esempi;
  • le regole da seguire in caso di malintesi, incomprensionidifficoltà, con esempi;
  • la durata dei periodi: collaudo relazionale, verifiche, punti di arrivo e milestones (pietre miliari) del rapporto;
  • tipo di verifiche cui si sarà sottoposti;
  • tipo di feedback (e reportistiche) da dare alla direzione vendite, e con che frequenza (ogni quanto, in relazione a cosa);
  • confini esatti dei ruoli di direzione e del venditore, margini e confini di manovra, casi dubbi (zone oscure/grigie del territorio di competenza – con esempi concreti) e comportamento atteso;
  • regole di uscita dal team (quali condizioni provocano l’espulsione), condizioni di permanenza nel team, comportamento atteso in caso di fuoriuscita dal team;
  • comportamento atteso verso la trasparenza dei dati;
  • dichiarazione sulla proprietà dei dati e delle relazioni (aziendale);
  • anticipazione dei possibili cambiamenti e variazioni di impegni (es: rotazione dei territori, job rotation, affiancamenti direzionali);
  • stili di comunicazione attesi e precisione del linguaggio attesa con casi concreti, es: una e-mail, un report di visita;
  • …..altri punti da inserire a giudizio della direzione.

Il colloquio di patto psicologico va simulato e preparato tramite role-playing!

Riunioni con le forze vendita

“Se un problema causa molte riunioni, alla lunga le riunioni diventeranno più importanti del problema.”

Legge di Hendrickson

Le riunioni sono momenti essenziali ma vanno tenute brevi, concise, concentrate sui punti che si vogliono trattare. Meglio più riunioni focalizzate, che una singola riunione fiume.

Quando si fa una riunione, occorre distinguere nettamente tra:

  • riunioni informative;
  • riunioni decisionali strategiche;
  • riunioni di ascolto dei collaboratori, ascolto “dal basso” o bottom-up;
  • riunioni di patto psicologico;

Ogni riunione ha un formato specifico e un timeline che va deciso e fatto rispettare.

Occorre sensibilizzarsi alle deviazioni dal format e – ogni volta che una riunione devia – applicare la leadership conversazionale per riprendere le redini della riunione.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Libertà di valori e libertà ideologica. Come queste diventano libertà nei comportamenti di tutti i giorni

La libertà della persona di assumere sistemi di valori che sente propri, di cambiarli.  Esaminare il sistema di valori ritenuti importanti nella vita, priorità tra valori e eventuali aspettative divergenti. Si tratta di un esame delle ideologie, dei “credo” valoriali, delle scelte di fondo che ci possono rendere un’attività soddisfazione o sacrificio. In cosa credi? Cosa è importante per te? Cosa da senso alla vita? 

Questo tratto è il più difficile da far emergere, toccando le scelte esistenziali, il significato stesso dell’esistenza. Se però riusciamo a far emergere alcuni di questi elementi forti, essi possono costituire l’ancoraggio di qualsiasi motivazione al fare, al crescere al migliorarsi. Un faro che guida la persona nella nebbia e verso la libertà più vera.

Tacco 12 in borsa, e cravatte odiose d’estate. Passerelle e patologie dell’Homo Aziendalis, in fuga dalla libertà

Guardiamo bene, e siamo sinceri.

Si stanno creando comportamenti osservabili, nelle aziende soprattutto, che sono ripieni di patologia. Quando a Milano o Roma vedi signore e ragazze scendere dal motorino o metropolitana, sfilarsi scarpe comode, infilarsi scarpe con tacco 10 o 12 e entrare in azienda, capisci che quel comportamento è un segnale di valori che si stanno distorcendo. 

Non si sta andando ad un matrimonio, ma ad una giornata di lavoro. 

In una giornata di lavoro, si cerca di essere produttivi. Si valorizza la meritocrazia, non la taccocrazia. Come fa un tacco 12 a renderti più produttiva?

Bisogna allora essere sinceri e dire che dentro alle aziende vige molto più la regola dell’apparire che dell’essere o del fare, e che questo male è una cancrena.

Lo stesso si può dire per i manager in giacca e cravatta d’estate, visibilmente sofferenti nel doversi vestire e coprire tanto. Del resto quanto finalmente, appena entrati in macchina, possono sfilarsi le stupidaggini da dosso, e mandare a quel paese quel sistema di falsità e rilassarsi, si sentono sollevati. All’estremo, arriviamo al manager che prima di entrare in azienda va dalla parrucchiera per rifarsi l’onda che tutto il giorno passa ad accarezzarsi, ma questo è “oltre”.

Il problema è “perché”? Goffman parlerebbe di “rituali” e “abiti di scena” con cui i personaggi aziendali cercano di darsi un’immagine. Ma in azienda servono “personaggi” o “persone vere?”.

Uno psichiatra sano, vedendoti vestito come d’inverno con 40 gradi, ti inserirebbe in qualche struttura di ricovero e recupero molto volentieri.

Invece, no. Diventa normale, diventa la regola del branco, il Dress Code diventa un valore, il che è pazzesco perché dovrebbe essere il contrario. 

I Valori dovrebbero dettare i Dress Code.

E nei miei valori, meritocrazia, creatività, produttività, far crescere il Potenziale Umano e Potenziale Personale, non vedo grande consonanza con il mascherarsi con tacco 12 e cravatta estiva. Quelli vanno benissimo, magari ad un party, o se sono scelta libera, se invece a non metterli rischi il licenziamento o il gulag, o il declassamento d’immagine, non ci siamo.

Come ci fa notare Harrison[1], esiste una serie di comportamenti che ogni etnia, ogni tribù, fa propri, e guai a chi li mette in discussione. L’Homo Aziendalis sta prendendo proprio una brutta piega, molto lontana dalla libertà e dalla verità, molto vicina alla “passerella aziendale” che poi fa chiudere le aziende per mancanza di veri contenuti e vere proposte. Pochi progetti e tanto packaging, non fanno bene.

In altre culture, penso alla Silicon Valley, vediamo amministratori delegati di colossi dell’Information Technology tenere discorsi ufficiali con un bomberino di pelle o una camicia semplice, e non tanto per apparire e fare understatement, ma proprio perché quanto hanno da dire è talmente denso e forte, che sovrasta enormemente il bisogno di vestirsi in abito di scena speciale.

Per cui, tornare a “dire” cose importanti deve diventare una nuova moda, rompere la Spirale del Silenzio, rompere la passerella del corridoio, e tornare a ragionare su cosa fa bene all’azienda veramente.

Ciò che vale sempre – come riferimento per il coach – è di puntare a inserire memi che potenziano la ricerca di una soddisfazione soggettiva verso la vita (life satisfaction soggettiva), la verità e la libertà espressiva, rimuovendo la spazzatura mentale che troviamo in circolo, con un’enorme dose di etica professionale e di attenzione.

I memi (tracce mentali) fanno la differenza tra attività che l’individuo vorrebbe saper svolgere e quelle che riesce a svolgere, condizionano il senso di efficacia personale, gli obiettivi che vorrebbe raggiungere e quelli pensa di non poter mai effettivamente a raggiungere (senso di potere personale). Il potere personale dell’essere liberi da falsità e cercatori di verità, è un potere enorme. Vale la pena cercarlo, dovessimo metterci tutta la vita.

I valori determinano comportamenti, in azienda e nel privato

Un valore vero si trasforma sempre in comportamento. In azienda, se un imprenditore crede veramente nel valore delle persone, fisserà un budget per la formazione, imprescindibile. Sul piano privato, se un tuo valore è mantenerti sano, un tuo comportamento sarà mangiare molta verdura e frutta, e fare ogni giorno attività fisica. Se non succede, siamo di fronte ad una dissonanza pesante. E la scusa “non ho tempo” regge poco, pochissimo.

Non parlo di diventare “santi”, parlo di diventare sinceri con se stessi e lavorare sulle dissonanze che troviamo, quando andiamo a scavare tra quello che facciamo realmente e i valori che possediamo e enunciamo essere nostri.

Non è un lavoro che fai per gli altri. Lo fai per te.

C’è gente che riesce ad allenarsi anche 10 minuti al giorno, in modo molto efficace, in stanza d’albergo prima di fare una doccia. Per diversi miei clienti che viaggiano molto ho sviluppato un circuito serio di 10 minuti con 10 esercizi diversi da fare in camera, a corpo libero, e con attrezzi quali il pavimento, le seggiole e niente altro, che vi garantisco che “fa”.

E questo vale per tutto. Se un tuo valore vero è la meritocrazia, ci sono comportamenti che ne derivano, molto concreti.

Ogni intervento di formazione o di coaching inerente il potenziale personale deve obbligatoriamente comprendere lo stato attuale delle credenze (sfondo memetico della persona) e la coerenza valori-comportamenti, rispetto alle aree su cui vuole intervenire. 

Più specificamente, dovrà inoltre analizzare le credenze attive su specifici quadranti che riguardano la performance (sfondi memetici di dettaglio), rimuovere e modificare credenze dannose rispetto agli obiettivi di coaching, e costruire un quadro consonante rispetto agli obiettivi desiderati di crescita e sviluppo personale.

Come conseguenza, va ribadito che le azioni di coaching in profondità e di coaching analitico non si accontentano di cambiare il comportamento esteriore ma devono obbligatoriamente incidere sugli sfondi memetici, sulle credenze profonde delle persone, localizzando blocchi e limitazioni, e stimolando stili di pensiero positivi. 

Il coaching agisce sulla “cultura personale”, non su psicopatologie, e quando investiamo sulla nostra cultura, quando una persona lavora su di sè, diventa più libera. 

Non esiste investimento migliore. È probabile che la cultura dell’investire su di sè riguardi per ora un’elite di professionisti, di manager, di persone che non si accontentano di adagiarsi su un nido vecchio ma desiderano lavorare al proprio “nido interiore” e renderlo più accogliente sia per se che per gli altri. Questa, a mio parere, è una grande forma di libertà.


[1] Harrison, Gualtiero (1988). Antropologia Psicologica. CLEUP, Padova.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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